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La Range Rover di Rados era un modello nuovo. Gli interni erano in pelle, color crema, e odorava di tabacco. Victor notò che né la carrozzeria né i finestrini erano blindati. Tuttavia, Rados era protetto da tre scagnozzi, incluso l’autista che viaggiava insieme a lui. Victor viaggiava sul sedile del passeggero, come da istruzioni di Rados, il quale era nel retro, strizzato tra due dei suoi uomini. Sembrava non gli importasse. La Range Rover era decisamente spaziosa, e le due guardie del corpo che lo fiancheggiavano facevano del loro meglio per lasciargli quanto più spazio possibile.
Non aveva detto a Victor dove erano diretti, e lui non lo aveva chiesto. Sapeva cosa si aspettava da lui. Rados era un uomo che non tollerava le domande non necessarie, e chiunque le ponesse non poteva sperare di guadagnare la sua fiducia.
Era metà pomeriggio. Il viaggio fu breve. Nessuno chiacchierò. Non c’era musica e la radio non era accesa. Gli uomini di Rados non erano vigili ma nemmeno distratti. Quella non era una squadra di sicurezza professionale. Non cercavano attivamente minacce né dall’interno né dall’esterno. Non giocherellavano con i cellulari, ma erano annoiati.
Solo gli occhi di Rados non smettevano mai di muoversi.
La Range Rover fu parcheggiata contro il marciapiede di una strada laterale, in uno dei quartieri più poveri di Belgrado. Erano ben lontani dal centro città. C’erano molti bar e kafana e negozi che vendevano abiti scadenti e prodotti nazionali.
Rados si sporse tra i sedili per indicare attraverso il finestrino. «Le porte del mio impero.»
Un cartello pubblicizzava un centro massaggi.
All’interno, il salone massaggi era caldo e umido e aveva un’aria quasi rispettabile. Una donna vestita di bianco asettico era seduta dietro al banco. Era di mezza età e aveva la schiena eretta, con un’aria di autorità. Nella sala d’aspetto erano distribuiti dei divanetti in pelle e un tavolino da caffè era ricoperto di giornali e riviste. Al suo fianco era posizionato un distributore d’acqua. Non c’era nulla che suggerisse che qualsiasi cosa accadesse in quel posto andasse oltre il puro relax.
Rados non salutò la donna dietro al banco e lei non salutò lui. La superò e si diresse verso una porta su cui era indicato INGRESSO RISERVATO AL PERSONALE. Victor lo seguì insieme agli altri due uomini di Rados. L’autista rimase nella Range Rover.
Oltre la porta, delle scale conducevano al primo piano.
Lì l’atmosfera non era così rispettabile. Le pareti erano rosa chiaro. Le porte erano rosse e numerate. Rados condusse Victor lungo un corridoio e all’interno di un atrio. Victor sentì dei grugniti e il cigolio delle molle di un materasso.
Zoca era lì, disteso su un’ottomana.
Scattò in piedi appena vide Rados. A giudicare dall’espressione tesa, il movimento rapido gli causò dolore, nonostante ce la mettesse tutta per non darlo a vedere. Se anche Rados lo aveva notato, non mostrò alcuna reazione né interesse.
«Dove sono gli ultimi arrivi?» disse Rados.
Zoca batté le mani, convocando assistenza, la quale si presentò sotto forma di un giovane con la testa rasata e un’acne cistica su tutta la faccia.
«Vai a prenderle. Veloce» disse Zoca.
Il giovane aveva paura di Zoca come Zoca ne aveva di Rados, si allontanò in fretta, remissivo e servile. Zoca evitò di incrociare lo sguardo del suo capo, ma Victor colse alcune occhiate lanciate nella sua direzione. Non erano amichevoli.
«Ho una spedizione da spostare nel giro di qualche giorno. Vorrei che tu contribuissi a metterla in sicurezza» disse Rados a Victor.
«Che genere di spedizione?» disse Victor, notando dal linguaggio del corpo che Zoca era scioccato e contrariato.
«Un genere estremamente redditizio.»
«Capisco» disse Victor.
Un angolo della bocca di Rados si sollevò nella premessa di un sorriso, come se Victor non potesse capire. Il che era intrigante.
«Perché pensi che ti voglia lì?»
«Per mettermi alla prova.»
Rados scrollò le spalle. «In parte, ma anche perché ho qualche problema di affidabilità tra i miei uomini.»
Zoca distolse lo sguardo.
«Di me non deve preoccuparsi» disse Victor.
Il serbo lo esaminò per un lungo istante. «Una simile garanzia è insignificante. Per me le parole da sole hanno poco valore. È ciò che facciamo, non ciò che diciamo, a definire chi siamo.»
Victor non sapeva cosa rispondere, ma non ce ne fu bisogno perché Dilas entrò nella stanza. Era ben vestito come l’ultima volta che Victor lo aveva visto, ma sembrava affaticato e aveva le guance arrossate.
Rados gli sorrise apertamente. «Non dovresti essere là fuori a governare la nostra bella città?»
Dilas ricambiò il sorriso. «Non si può governare se si è distratti dai propri istinti.»
«Spero che siano stati soddisfatti adeguatamente» disse Rados.
«Sempre.»
Dilas si rivolse a Victor. «Bella mossa ieri sera con la Bestia. Ho guadagnato un bel gruzzolo scommettendo su di te contro ogni probabilità.»
«Non c’è di che» disse Victor.
«Un vero stratega, non trovi?» disse Rados a Dilas, il quale annuì.
Il giovane goffo ritornò, accompagnando quattro donne dentro alla stanza. Erano tutte state al deposito, ma ora erano pulite e indossavano abiti nuovi.
«Dài un’occhiata alla mia merce» disse Rados a Victor.
«Queste donne valgono molto più di qualsiasi polvere o resina. Sono oro.»
Victor fece come gli era stato detto, il suo sguardo si strinse sulle donne, le cui teste erano abbassate per evitare il contatto visivo.
«La merce è stagionale» spiegò Rados. «Arriva in lotti, come il raccolto accumulato durante la mietitura. Quando la stagione è finita, le cose sono più tranquille. Se la stagione è stata generosa allora avremo una buona annata. Se invece è stata una cattiva stagione, l’annata non sarà così buona. Capisci?»
«Credo di sì.»
«Quello che voglio dire è che il tempismo è tutto. Ti ho detto di aver avuto un intoppo. Un secondo, specialmente subito dopo il precedente, causerebbe un danno irreparabile.»
Ora per Victor aveva tutto più senso. Rados non poteva permettersi di reclutare nuovi uomini come era solito. Quella era la stagione del raccolto. Non c’era tempo. Aveva necessità di aumentare l’organico, e aveva bisogno di farlo velocemente.
«Perché stagionale?» chiese Victor. «Le donne crescono tutto l’anno.»
«Domanda e offerta, come per tutti i prodotti. Ma questo genere di raccolto può essere spostato solo in partite occasionali. Più spedizioni, più distribuzione, più mazzette, più costi, più rischi.»
«E una perdita maggiore se qualcosa va storto.»
«Come ho detto: un intoppo è più che sufficiente.»
«Capisco» disse di nuovo Victor. «Cos’è successo?»
«Questa è la domanda più interessante» disse Rados con gli occhi spalancati. «È passato molto tempo dall’ultima volta che ho avuto un problema con una spedizione. Perché ora?»
Victor alzò le spalle. «Non saprei.»
Rados inclinò la testa da un lato. «Non mi aspetto che tu lo sappia.» Si avvicinò alle donne. «Lo chiamano il fiore della giovinezza; quel periodo speciale in cui la vita ci dona una bellezza che non meritiamo; che sprecheremo e sciuperemo, per poi lamentarci che sia passata.»
«Io sono migliorato con l’età» disse Victor.
Rados fece una smorfia, poi continuò: «Lo chiamano il fiore della giovinezza perché nonostante la stanchezza e lo spavento, quel fiore è sempre visibile. Perché sotto la paura e la sottomissione, i suoi geni sono ancora forti; la sua capacità di avere dei figli rimane inalterata. Noi maschi alfa del branco, noi guerrieri, siamo in perfetta sintonia con quel fiore. I nostri stessi geni ne sono affamati. Uccideremmo per averlo.» Rados si voltò per guardarlo. «Non sei d’accordo?»
«È la natura» disse Victor, evitando di rispondere.
Rados accarezzò la guancia di una delle ragazze con il dorso della mano. «Questo è più prezioso dell’oro. Ha più valore di qualsiasi droga. L’oro è una merce. La cocaina è una merce. Più ce n’è, meno valore ha. La cocaina è temporanea, è deperibile, mentre l’oro è resistente e manterrà il suo prezzo anche dopo che il suo stesso peso in cocaina sarà finito nel cesso. L’oro non serve a niente. È prezioso perché lo diciamo noi. Non ne abbiamo bisogno e non ne traiamo beneficio, a meno che non decidiamo di volerlo. Questa ragazza, che lo vogliamo o no, ha un effetto benefico perché ne abbiamo bisogno. Dobbiamo averlo. Siamo guidati dal profondo della nostra anima verso di esso. Se si chiede a un uomo di scegliere tra questo e l’oro, se può avere solo uno dei due, sceglierà sempre questo. È il motivo per cui ho scelto questo come commercio.»
Victor ascoltava.
«Lo chiamano il fiore della giovinezza» disse Rados ancora una volta. «E gli uomini pagherebbero qualsiasi cifra per divorarlo.» Fece una pausa. «Prendila, è tua.»
«Io do più valore allo spirito rispetto alla giovinezza.»
«Allora forse c’è un errore nel tuo genoma e i tuoi geni cercano di compensare questa tua imperfezione di carattere.»
«Forse» concordò Victor.
«Scegline un’altra se preferisci. Una con più spirito.»
Il suo sguardo passò in rassegna le donne e si soffermò su quella più a destra, quella con i capelli corti che aveva sputato in faccia a Zoca nel deposito.
«Quella potrebbe avere troppo spirito persino per te» disse Rados.
«Per quale motivo?»
«Perché è qui con noi per la seconda volta.» Rados attese finché Victor non si voltò per porgli altre domande prima di continuare. «Fu qui proprio all’inizio della stagione del raccolto. Era stata difficile fin da subito, come lo sono alcune. Non si ammorbidiscono con le maniere dure, al contrario si rafforzano. È necessario tenerle a breve distanza. Non possiamo inviarle ai nostri clienti fedeli. Questa in particolare è rimasta qui a Belgrado. Mi piaceva. Il suo fiore era radioso. Ma ci ha lasciati. Ora quel fiore è svanito, non è vero?»
«È scappata?»
Rados annuì. «Si è allontanata di molto prima che riuscissimo a prenderla. La sua astuzia è pari alla sua forza di volontà.»
«Eppure, è di nuovo qui.»
«Alcune persone sono sfortunate. Per alcuni di noi le carte non girano mai. Ora, è tornata e il suo fiore è appassito. Ti piace lo stesso?»
Questa in particolare è rimasta qui a Belgrado.
«Sì,» disse Victor «mi piace.»