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Victor non si era mai trovato tanto impreparato in vita sua. Non aveva previsto che avrebbe parlato con Rados in quella fase della sua preparazione... un uomo che era stato nascosto per sei anni; un uomo la cui organizzazione era appena stata attaccata; un uomo che affidava la gestione dei suoi affari quotidiani a dei sottoposti.
Il suo bersaglio era in piedi di fronte a lui, a distanza ravvicinata, ma avrebbe anche potuto trovarsi a un miglio di distanza in un bunker di cemento. Victor era disarmato e circondato da almeno tre minacce armate, con la possibilità che ce ne fossero altre nei dintorni. Anche se avesse afferrato una chiave inglese e fosse riuscito a uccidere Rados con un colpo ben piazzato alla tempia, Victor non aveva speranza di sopravvivere alle conseguenze.
Considerato che in quel momento era un assassino che si trovava proprio alla mercé dell’uomo che stava tentando di uccidere, non era per niente scontato che sopravvivesse all’incontro.
Rados non sembrava un gangster e non sembrava un ex capo militare. Sembrava piuttosto un uomo d’affari sulla cinquantina, o un politico forse. La sua corporatura era ordinaria e il suo atteggiamento neutro. Era il sorriso a tradirlo. Era l’imitazione di un sorriso, perché Rados era uno psicopatico.
Indossava un completo blu navy fatto su misura, con scarpe brogue marroni e una camicia in twill bianca. L’abito aveva un taglio sartoriale netto. La fodera interna era color rosso vivo, in raso. La cravatta era di seta, grigio acciaio. I gemelli, in oro, erano dei badili in miniatura (forse perché aveva seppellito innumerevoli cadaveri).
Gli occhi erano di un blu sbiadito, come se un tempo fossero stati intensi, ma il colore si era come prosciugato, lasciandosi dietro solo il ricordo. La pelle era liscia, sembrava più giovane di quanto rivelassero i capelli grigi. Le sopracciglia erano sottili, ma ancora scure, come la barba leggermente accennata.
Sembrava invecchiato rispetto alla fotografia nel dossier di Banik, ma al tempo stesso ringiovanito. Nessuno aggiunge un decennio alla propria vita senza pagarne il prezzo, ma la ricchezza può comprare molte cose, salute inclusa. Rados sembrava in salute. Come un uomo che faceva esercizio ogni giorno e che aveva uno chef personale che gli preparava pasti nutrienti usando solo gli ingredienti migliori (solo carne derivante da animali nutriti con foraggio e da allevamento all’aperto, prodotti biologici e non lavorati). Non sembrava vanitoso, ma molto attento al suo benessere. Sapeva più di altri quanto la vita fosse fragile, o forse aveva paura della morte e di quello che poteva trovare oltre di essa.
«Sai chi sono?»
Victor annuì. «Lei è Milan Rados.»
«Bene» disse Rados. «Questo ci risparmia del tempo. Ma come fai a sapere chi sono?»
«Tutti nel mio business sanno chi è lei.»
Rados tentava di nasconderlo ma i suoi occhi sorridevano. Gli psicopatici erano solitamente narcisisti.
«Non mi piace la fama» finse. «Non la rincorro, ma ha i suoi vantaggi, presumo. Non faccio code molto spesso, ad esempio. Sono le piccole cose che fanno la differenza maggiore, non sei d’accordo?»
Victor non disse nulla perché la sua prima impressione su Rados era che non era il tipo d’uomo al quale piaceva circondarsi di tirapiedi.
«Sapevi che avresti incontrato me?»
«Non ne avevo assolutamente idea.»
Quella era probabilmente la risposta più onesta che Victor avesse mai dato a una domanda.
Rados studiò Victor per qualche momento, poi fece cenno a Hector. «Tu cosa ci fai qui?»
Hector balbettò, indicando Victor. «Lui, ehm, voleva che lo accompagnassi.»
Gli occhi sbiaditi restarono bloccati su Hector, ma la domanda era per Victor: «Paura di venire da solo?»
«Preferisco fare un salto nel buio con una merce di scambio.»
Rados guardò in sua direzione. «E tu pensi che l’unico fratello di mia moglie rientri in quel tipo di merce?»
Finalmente Victor capì come Hector era riuscito a sopravvivere alla malavita di Belgrado. Aveva la miglior protezione che si potesse desiderare. Andava in giro con un giubbotto antiproiettile fatto della reputazione di Rados.
«No» disse Victor. «Perché non sapevo chi stessi venendo a conoscere. Ma se non fosse stato ciò che avevo richiesto, lui sarebbe stato la sua stessa merce di scambio.»
Hector era lento nel capire cosa intendesse Victor, ma Rados afferrò al volo.
«Ed è quello che avevi richiesto?» domandò il serbo.
Anche in quel caso non c’era niente di male nell’essere onesti, quindi Victor rispose: «Sì.»
Rados fece un sorriso, quindi ordinò a Hector: «Vattene.»
Il faccendiere sembrava più che contento di andarsene.
Quando la porta sul retro si chiuse sbattendo, Rados disse: «Stai cercando lavoro.»
«Esatto.»
«Hai mai ucciso un uomo?» chiese Rados. Parlava come se la domanda fosse irrilevante, sebbene la risposta di Victor non lo sarebbe stata.
«Uno o due» rispose Victor.
«Che cosa sei?» chiese Rados. «Non hai l’aria di uno spezzaossa.»
«Mi ritengo un consulente.»
«E in merito a cosa offri la tua consulenza?»
«Se una persona deve rimanere viva o no.»
«Capisco» disse Rados. «Puoi raccontarmi di qualche assassinio degno di nota?»
«No.»
«Perché no?»
«Perché è il mio lavoro assicurarmi che non siano degni di nota.»
«Allora come faccio a sapere se sei bravo come dici?»
«Deve accontentarsi della mia parola.»
Le unghie di Rados tamburellavano su un tavolo da lavoro. «Hector mi ha detto che sei ungherese. È corretto?»
«Così dice il mio passaporto.»
«Come regola generale non mi piacciono gli ungheresi. Trovo che il loro senso dell’umorismo sia così diverso dal nostro. Li trovo maleducati.»
«Non devo piacerle per farmi assumere» disse Victor. «Il mio senso dell’umorismo non la aiuterà ad aumentare il suo business. Le mie buone maniere non offrono alcuna protezione.»
Rados dondolava la testa da un lato all’altro mentre rifletteva. «Ma devi piacermi per restare vivo» disse.
Victor scosse la testa. «Non mi ucciderà. Ha bisogno di uomini. Sono qui per questo. Non sottopone qualcuno a un colloquio se non ha una posizione da fargli ricoprire. E visto che ha bisogno di rafforzare il suo personale, non rischierà certo di perdere altri uomini nel tentativo di farmi uccidere.»
Rados considerò per un momento le parole di Victor. «Sei decisamente presuntuoso, non è vero?»
«Non proprio» disse Victor. «So cosa sono in grado di fare. Sono anche molto bravo a capire cosa possono fare le altre persone. Solitamente celo entrambe le abilità.»
«Ma non ora con me?»
«Sarebbe più propenso ad assumermi se mi sottostimassi? Non credo. Non vuole al suo fianco uomini modesti. Nessuno nel suo business rispetta gli umili.»
«Come fai a sapere quello che voglio?» chiese Rados.
«Non sarebbe qui se non avesse bisogno di nuove reclute.»
Rados si prese il suo tempo per rispondere. «Hai ragione, mi servono uomini. Di solito non mi occupo di questo genere di cose, ma un recente intoppo mi ha costretto a intraprendere una piccola... chiamiamola ristrutturazione aziendale. Se non posso fidarmi della gente per gestire i miei affari in modo adeguato, come posso fare affidamento su di loro nel rimediare ai danni che mi hanno causato?»
«È una domanda retorica?»
«Ovviamente» disse Rados. «Ma perché dovrei considerare di assumere qualcuno di cui conosco così poco, un forestiero, uno straniero, per questo ruolo?»
«Perché ne stiamo parlando, malgrado quel genere di preoccupazioni, quindi starà momentaneamente considerando di assumermi.»
Rados levigò qualche imperfezione sul suo bavero. «O magari sto aspettando che arrivino altri dei miei uomini, per essere sicuro di non perdere nessuno uccidendoti.»
«In tal caso significherebbe che non crede che questi tre siano sufficienti per occuparsi di me in modo pulito, nonostante io sia disarmato, il che significa che mi ritiene pericoloso, il che significa che pensa che io sia qualcuno che potrebbe esserle utile.»
Rados lo fissava. «Sei pazzo come sembri?»
«Mi trattengo» disse Victor.
Rados continuò a fissarlo. «Facciamo un gioco. Di tipo ipotetico. Nessun vincitore, nessun perdente. Solo per divertimento. Dici di essere un killer esperto, quindi, come porteresti a termine la tua missione se fossi assunto per... uccidermi?»
Victor non batté ciglio. «Con un fucile, dopo aver studiato i suoi movimenti.»
«Quindi sei un buon tiratore.»
«Ho imparato a sparare prima di imparare a scrivere.»
«Un colpo alla testa o al corpo?»
«Corpo» disse Victor. «Petto.»
«Perché non alla testa? Hai detto di essere un buon tiratore.»
«Sono un tiratore eccezionale» disse Victor, senza arroganza. «Ma sono assunto per portare a termine un compito, non per mettermi in mostra. Morto è morto.»
«Non ti preoccuperebbe un giubbotto antiproiettile sotto la mia giacca?»
«Non esiste qualcosa che sia antiproiettile. E anche gli indumenti corazzati più all’avanguardia non riuscirebbero a fermare un proiettile di grosso calibro ad alta velocità.»
«Che tipo di fucile useresti?»
«La mia prima scelta sarebbe un Dragunov. Ma mi accontenterei della sua copia cinese.»
«Perché? Esistono armi più precise» chiese Rados.
«Mi piacciono le armi sovietiche. Mi piace l’affidabilità. La pistola più precisa del mondo è inutile se si inceppa.»
«Okay, ma perché uccidermi con un fucile in ogni caso? Sono difficili da spostare. Sono difficili da nascondere. Perché non una bomba o una pistola?» domandò Rados.
«Non mi piacciono gli esplosivi se posso farne a meno.»
«Perché no?»
«Non mi piace uccidere persone che non sono pagato per uccidere.»
«Ma ti piace uccidere quelle per cui sei pagato.»
«Non mi importa ucciderle.»
«Divertente. Allora perché non un coltello? L’arma più semplice da utilizzare. La più semplice da nascondere.»
«Non lavoro con i coltelli come regola generale» spiegò Victor. «Non mi piace sporcare, soprattutto me stesso. Un coltello non è l’arma di un professionista. È per gente che trae troppo godimento dal proprio lavoro, o per quelli che non hanno autocontrollo.»
Rados fece un cenno, e uno dei suoi uomini mise una mano nella tasca della sua giacca e ne estrasse una Beretta tirata a lucido, con la piastra in acciaio cromato, e la consegnò a Rados. «Okay, perché non una pistola come questa? Immagino tu non faccia obiezioni per le pistole? Minor rischio di sporcare rispetto a un coltello, ma più facile da nascondere rispetto a un fucile.» Tolse l’arma dalla mano dell’uomo e la puntò alla testa di Victor con un movimento rapido ed elegante. «Più veloce da puntare anche.»
Victor non poteva vederli ma percepiva che i due scagnozzi erano nervosi. Forse temevano che Victor potesse reagire attaccando, o magari erano preoccupati che la sua materia cerebrale raggiungesse i loro vestiti.
Rimase disinvolto e disse: «Con una pistola dovrei esserle vicino. Lei ha un’intera banda come protezione, e io non ho particolari tendenze suicide al momento.»
Rados rimase in silenzio per un istante. Fissava Victor attraverso il mirino in ferro della pistola. Da quella distanza il serbo non poteva mancarlo.
Tutto ciò che Victor udì fu il rumore dei piedi degli scagnozzi che si spostavano. Come Victor, non avevano idea di ciò che Rados stesse per fare o dire.
Rados piegò il pollice, tirò indietro il cane, e l’arma si inceppò.