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Victor era stato all’interno dello studio privato di molti individui riprovevoli: politici, signori della guerra, boss del crimine, trafficanti d’armi, dittatori e reali. Aveva scoperto che il luogo in cui passavano la maggior parte del tempo rivelava molto sulle loro personalità, come accadeva per i civili. La ricchezza e il potere erano misurabili e comprensibili perché erano osservabili, ma i disturbi della personalità e le psicosi potevano essere mascherate e nascoste. L’ufficio di Rados era sfarzoso, tutto al suo interno irradiava un’estrema ricchezza, dal lampadario di cristallo all’enorme scrivania di quercia rossa con intarsi dorati. Le pareti erano rivestite in legno e impreziosite da una serie di opere d’arte contemporanea. Il pavimento davanti alla scrivania era occupato da un tappeto persiano di forma circolare.

Rados si accomodò dietro alla scrivania in quercia rossa. Non c’era un posto a sedere per Victor, neanche se avesse voluto. Due degli uomini di Rados fiancheggiavano Victor ai lati opposti del muro. Intuì dalle zone consumate delle assi di legno tinte di scuro che quelle erano le loro postazioni usuali. Victor sistemò la sua posizione di conseguenza, indietreggiando di mezzo passo e piegando la testa in modo da averli entrambi nella sua visione periferica. Era impossibile arrivare a Rados. I due scagnozzi erano vigili e in guardia, sebbene non preoccupati. Loro erano armati e Victor non lo era.

Vicino alla scrivania di Rados, sotto a un faretto da parete, era posizionata una magnifica corazza medievale. I guanti di metallo erano posati sul pomolo di una spada della stessa epoca. Victor riconobbe i dettagli milanesi dell’armatura, e stabilì che risaliva agli inizi del XV secolo. L’armatura doveva essere costata una piccola fortuna, che solo un proprietario terriero o un piccolo nobile avrebbe potuto permettersi. Trovò interessante che Rados possedesse un simile oggetto da collezione, il quale, sebbene Victor lo trovasse affascinante per la competenza del lavoro artigianale e per l’eccezionale protezione che offriva, non era un’armatura da collezione bella secondo i comuni canoni estetici, tanto per quelli moderni quanto per quelli del 1400.

Il guerriero che l’aveva commissionata (poiché qualsiasi corazza del genere doveva essere fatta su ordinazione in modo che calzasse come un guanto su chi la indossava) aveva ignorato le norme di gusto e aveva utilizzato un elmo integrale al posto dell’agile bacinetto con visiera che lo aveva sostituito. Non gli importava della moda o delle convenzioni, aveva richiesto solo la miglior protezione. Era comprensibile, chiaramente, ma era curioso che Rados sfoggiasse una brutta armatura da collezione quando la sua ovvia ricchezza gli avrebbe consentito di comprare qualsiasi modello desiderasse.

«Cosa ne pensi?» chiese Rados, avendo notato dove si era posato lo sguardo di Victor.

«Notevole» disse Victor. «Mi piace.»

«Ti intendi di armature?»

Victor scosse la testa. «Non proprio.»

Rados sembrava deluso, come se chiunque invitasse nel suo ufficio desse sempre la stessa risposta e lui invece desiderasse intrattenere una conversazione su uno dei suoi interessi, ma ogni delusione rendeva la cosa più insopportabile anziché più tollerabile.

«Purtroppo, non è della mia taglia» disse Rados. «Altrimenti non la toglierei mai. Non ho le spalle abbastanza larghe.»

«Non può essere modificata?»

Rados rispose alla finta ignoranza di Victor con un sorriso che trasmetteva sia compassione che disprezzo. «Questo andrebbe in contraddizione con il concetto di corazza su misura, anche se il processo non ne rovinasse l’antichità.»

Victor annuì come se stesse imparando una lezione. «Sembra scomoda» disse, perché sapeva che era un errato luogo comune che quel genere di armature complete fossero pesanti e limitassero la libertà di movimento di chi le indossava.

«Un cavaliere non era un carro armato. Chiunque possedesse quella sarebbe stato in grado di saltare sul suo cavallo dal posteriore, come anche di esibirsi in verticali e ruote. Le piastre sono più sottili di quanto si pensi e la distribuzione del peso è incredibile.»

«Non lo sapevo» disse Victor, perché lo sapeva.

«Questo pezzo proviene da Milano, come del resto tutte le migliori piastre di quel tempo, ma era stato fatto per un cavaliere teutonico. L’aveva indossata durante la battaglia di Grunwald, dove il suo ordine andò incontro alla sconfitta.»

Victor non chiese altre informazioni. Non si trovava lì per discutere la storia, anche se gli sarebbe piaciuto saperne di più sul cavaliere. Rimase in silenzio come se non fosse interessato.

Rados non si accorse del disinteresse o non gli importava.

«A quei tempi c’era onore nella guerra. Per uccidere un uomo dovevi affrontarlo, spada contro spada. Dovevi rischiare la tua vita per prendere la sua.»

«A meno che non utilizzassi una balestra, ovviamente.»

«Una volta bandita dal papa» disse Rados, raccontando a Victor qualcos’altro che già sapeva «fu considerato ingiusto che un contadino con pochissima esperienza potesse uccidere un re.»

Per qualche istante nessuno parlò. Victor notò che non c’erano orologi su nessuna delle pareti. Rados non indossava alcun orologio. Anche nel caso di un uomo che non aspettava nessuno e che al contrario tutti aspettavano, l’assenza di entrambi era indicativa. Rados aveva una fobia, oppure aveva paura del tempo stesso.

«Ho diverse armature complete. Una per ogni mio ufficio.»

«Ha molti uffici?»

Annuì. «Sparsi intorno alla città e oltre. Per motivi di sicurezza.»

Victor annuì a sua volta perché quella precauzione avrebbe funzionato. Non poteva usare quell’ufficio come punto d’attacco, senza sapere quando Rados sarebbe potuto tornare.

Rados frugò nel cassetto della scrivania, ne estrasse una piccola bottiglia di plastica e si spremette il gel antibatterico sui palmi delle mani. Li strofinò. «Non stringo le mani» disse Rados. «Tocco mia moglie. Tocco le mie amanti. Mi rifiuto di toccare chiunque altro.»

«Ha paura di prendersi qualcosa?»

«Per niente, ma ho paura che si rendano conto che sono esattamente come loro: un semplice essere umano.»

«Allora perché dirmelo?»

«Perché vedo attraverso la tua maschera di umanità, perché ne indosso una a mia volta.»

Victor non rispose.

«So tutto su di te» disse Rados poco dopo. «Non da quello che dici, o non dici, ma dalla tua postura, da come tieni le spalle e come reggi il mento, dove sono appoggiate le tue mani e il modo in cui tieni le dita aperte.»

«Cosa sta tentando di dire?»

«Lasciami spiegare» cominciò Rados. «Una volta, in piena guerra, mi trovavo con un piccolo gruppo dei miei guerrieri più fedeli. Ci ritrovammo nel mezzo di un conflitto a fuoco con un contingente di croati irregolari. Eravamo poco armati, avevamo solo fucili da assalto, ma i croati avevano un paio di mitragliatrici. Ci tenevano fermi in una foresta fuori da Sarajevo. I colpi delle mitragliatrici si portavano via grossi pezzi di alberi. Dalla foresta ci piovevano addosso rami, schegge e foglie strappate. I croati erano molto esperti e sapevano come fare fuoco in raffiche controllate, scaglionando le loro scariche in modo che sparasse solo una mitragliatrice alla volta, consentendo loro di ricaricarne una mentre l’altra faceva fuoco. Era implacabile. Pensavamo che non saremmo mai usciti vivi di lì.»

«Come avete fatto?» chiese Victor, perché era ciò che Rados si aspettava.

«Tentammo di lottare per uscire, ovviamente. Come risultato, alcuni di noi furono abbattuti. Le mitragliatrici erano calibro 50. Hai mai visto cosa può fare a un uomo un proiettile della grandezza del tuo dito?»

Victor lo aveva visto, naturalmente, ma scosse la testa.

Rados non approfondì. «Quando risultò ovvio che eravamo in inferiorità sia numerica che di armi, facemmo l’unica cosa possibile: ci arrendemmo. I croati, con tutte le loro colpe, avevano umanità, e smisero di spararci quando deponemmo le armi. Ci diedero acqua e cibo, e un costoso brandy che avevano rubato dall’armadietto di un sindaco. Erano esattamente come noi, combattevano per la loro nazione in una guerra che non comprendevano fino in fondo. Eravamo tutti umani, tutti spaventati. Addirittura, uno dei mitraglieri pianse quando vide i resti degli uomini ai quali aveva sparato. Ci pregò di perdonarlo.»

«Ha passato il resto della guerra come prigioniero?»

Rados scosse la testa. «Non ho passato nemmeno una notte come POW. Un’unità del commando serbo è capitata da quelle parti e ha sorpreso i croati. Abbiamo ripagato la gentilezza dei nostri carcerieri dividendoli in coppie. Dicemmo loro che solo uno dei due sarebbe stato risparmiato.»

«Li avete fatti combattere l’uno contro l’altro?»

Rados annuì. «Erano riluttanti, ovviamente, quindi giustiziammo una coppia per mostrare agli altri che non avevano scelta. Usammo le loro stesse mitragliatrici. Bevemmo il loro brandy e brindammo, mentre loro combattevano a mani nude e con i denti, fin quando metà di loro furono morti e gli altri furono morti per metà dallo sfinimento e per le ferite, e piansero perché avevano ucciso i loro fratelli. A quel punto facemmo dividere quelli che erano sopravvissuti in altre coppie per combattere ancora. Ma si rifiutarono. Ormai avevano capito che non li avremmo lasciati andare. Quindi li chiudemmo in una casa e appiccammo il fuoco.»

«Perché mi racconta questa storia?»

«Perché forse, solo forse, avremmo dovuto lasciare andare quelli che erano sopravvissuti al secondo combattimento. Invece li abbiamo uccisi tutti.»

«Non penso che lo avreste fatto, qualsiasi cosa dica ora. Non avevate alcuna intenzione di lasciarli andare. Magari si guarda indietro nei rari momenti in cui la sua coscienza fa sentire la propria voce, e pensa a cosa avrebbe dovuto fare.»

Rados rise. «Stai parlando di me o di te?»

«Io non sono in conflitto. Non ho incubi. Semplicemente non sono una brava persona.»

«Esattamente» disse Rados. «Guarda i miei occhi. Vedi anche solo un’ombra sotto di essi? Io dormo come un bambino. Non mi sveglio mai durante la notte in preda ai sudori freddi. E sai perché?»

«Credo non importi cosa credo perché me lo dirà comunque.»

«Importa perché te lo dirò. Perché ogni cosa che ho fatto, a prescindere da quanto terribile e disumana qualcuno possa giudicarla, era completamente giustificata.»

«Anche ciò che avete fatto a quei croati?»

«Soprattutto a quei croati. Ognuno dei miei uomini ha perso amici e persone care in quella guerra, e ha visto i propri compagni colpiti e dilaniati. Vendicandoci sui nostri carcerieri siamo riusciti a dimenticare quell’inferno e recuperare la nostra... non umanità, ma sanità mentale. I croati tentarono di resistere con la loro umanità dimostrandoci misericordia e gentilezza, ma non c’è umanità nella guerra. Una volta che hai preso una vita, sei un guerriero. Da quel momento in poi o getti da parte la tua umanità o ne rimani ucciso, come lo sono stati quei croati. Noi, in ogni caso, abbiamo trovato pace attraverso la crudeltà.»

«Continuo a non capire.»

«Io credo che tu capisca, anche se fingi il contrario. Una volta che sei stato crudele, sarai crudele per sempre. Non si torna indietro. Dopo aver preso una vita, tutta la vita diventa inutile. Ti ho raccontato quella storia proprio perché tu capisci. Tu non sei in conflitto. Tu non hai incubi.»

Victor rimase in silenzio.

Rados lo osservò con un sorriso misurato. «Più di ogni altra cosa, il male si riconosce nel proprio riflesso.»