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A Krieger piaceva Belgrado. In parte gli sembrava insignificante come qualunque altra città (i giovani giocavano con i loro telefoni; le coppie sorridevano e chiacchieravano bevendo caffè; i vecchi erano seduti da soli con le loro birre), ma gli piaceva il freddo e l’architettura, e più di ogni altra cosa gli piaceva il vento. Il vento a Belgrado non soffiava, fischiava; raggiungeva il culmine lungo le strette vie e nei vicoli, diminuiva nei viali e attraverso i parchi. Era un suono malinconico, venato di introspezione e rammarico.
Se fosse stato un uomo emotivo forse avrebbe pianto.
Era un po’ indietro rispetto al suo bersaglio, lo sapeva. L’informazione, dettagliata e accurata, era stata estremamente utile, ma Krieger non aveva intenzione di affrettare le cose per la seconda volta. Aveva imparato quella lezione sul treno per San Pietroburgo. Nessuno era infallibile, ma gli errori, se si voleva trasformarli in esperienze utili, dovevano essere compresi e assorbiti mediante un consapevole autoesame, altrimenti sarebbero rimasti dei meri fallimenti.
La vita non era altro che una lezione dopo l’altra. Una prova seguita da un’altra prova. A Krieger piaceva scalare la curva dell’apprendimento.
Valeva lo stesso per il suo obiettivo?
Era un uomo difficile da incastrare, e ancora più difficile da eliminare. Krieger scosse la testa. Sminuirsi era sbagliato. Il suo bersaglio non era difficile. Difficile era piazzare un colpo alla testa da una lunga distanza in pieno vento. Krieger aveva sanguinato. Si biasimava per questo. Sottovalutare era stupido. Aveva imparato da quel primo errore. Non lo avrebbe ripetuto.
Krieger non sapeva esattamente dove trovare il suo bersaglio, ma non ne aveva bisogno. Come sul treno per San Pietroburgo, tutto quello che Krieger doveva fare era trovare il bersaglio del bersaglio. Krieger era in possesso dello stesso dossier su cui lavorare, ed era giunto a una conclusione inconfutabile circa la preparazione del suo bersaglio.
Krieger aveva passato il suo tempo nella città raccogliendo informazioni su Milan Rados, come immaginava avesse fatto il suo bersaglio prima di lui. Krieger aveva parlato con i trafficanti di droga e le prostitute, con i senzatetto e con i poliziotti corrotti, aggiungendo ogni volta qualcosa al suo archivio di conoscenza, avvicinandosi.
Aveva scoperto che molti conoscevano il nome di Rados, ma pochi erano entrati in contatto con lui a parte qualche breve incontro con quelli associati al suo braccio destro, Zoca. Krieger aveva esaminato il magazzino al porto e il deposito ricambi vicino al fiume. Aveva letto di alcune segnalazioni relative a degli spari nelle vicinanze del secondo luogo, e poteva quasi sentire l’odore del suo bersaglio, ancora fresco nell’aria. Krieger era vicino.
L’informazione più utile acquisita da Krieger proveniva da un vecchio gentile con una gamba sola che aveva incontrato all’interno di un club per veterani in una zona malfamata della città. Un club che si trovava vicino al luogo in cui tre drogati del posto erano finiti in ospedale dopo un pestaggio feroce che si diceva fosse il lavoro di un solo uomo. Krieger scoprì dall’amputato ubriaco dentro al club che Rados era generoso con chi aveva servito nell’esercito serbo. Li aiutava, a volte con cibo o denaro, a volte in altri modi, non meno essenziali.
Krieger aprì una porta, fingendosi timido, con gli occhi abbassati e le spalle curve, e si avvicinò alla donna dietro alla cassa che gli chiese come potesse aiutarlo. La sua risposta lo fece sembrare insicuro e nervoso.
Ma voleva tutto quello che potesse essere fornito. I soldi non erano un problema. Aprì goffamente un portafoglio pieno di banconote nuove di zecca.
Questo lo condusse al piano superiore, tra corridoi verniciati di rosa e porte rosse. Un giovane con l’acne lo fece accomodare su un divanetto. Mentre Krieger aspettava, entrò un uomo con i capelli bianchi e gli occhi neri. L’uomo gli diede un’occhiata sospettosa.
«È la mia prima volta» disse Krieger con il più innocente dei suoi sorrisi.