21

Tentò di agevolarne l’apertura il più delicatamente possibile, ma nonostante i suoi migliori sforzi, provocò il forte stridore previsto, mentre i cardini arrugginiti raschiavano e sfregavano. Nel silenzio del deposito rottami, il suono trafisse la notte, rimbombante e inequivocabile, impossibile ignorarlo o classificarlo come suono innocuo. Anche all’interno della cabina ufficio, tra le conversazioni rumorose e le risate, sarebbe stato sentito; sarebbe stato riconosciuto.

Victor lo aveva messo in conto. Aveva detto alle donne di correre.

La prima apparve, correndo in modo instabile, fuggendo dal container con tutte le forze che le erano rimaste. Il terreno era bagnato e scivoloso, e lei era a piedi nudi. Riuscì a evitare una caduta, ma perse un po’ di velocità prima di riprendersi. Fece ciò che le era stato detto. Non guardò indietro.

La seconda donna era appena dietro di lei, uscendo a sua volta di corsa dal container, ma poi si fermò, bruscamente e senza preavviso.

Si voltò rapidamente indietro con la testa, poi si girò per guardarlo in volto. Non c’era niente che potesse fare per impedirle di vedere la sua faccia. Aveva capito dal suo sguardo che era la donna con cui aveva comunicato attraverso la porta. Vista da vicino era ancora più giovane di quanto avesse immaginato. Una ragazzina, probabilmente non aveva nemmeno diciotto anni. Era magra e malnutrita, ma fomentata dalla volontà di sopravvivere e dalla prospettiva della libertà. Il suo viso era sporco e i suoi capelli aggrovigliati, il biondo nascosto sotto una poltiglia oleosa di sporcizia, ma i suoi occhi, anche se in quel momento erano contornati di rosso e umidi di lacrime, erano del blu più intenso che avesse mai visto.

Gli ricordarono, suo malgrado, una spiaggia, un luogo da surfisti, e degli occhi simili che una volta aveva contemplato, pelle bagnata contro pelle bagnata, promesse infrante, e un debito che non avrebbe mai potuto saldare.

«Grazie» sussurrò, riportandolo al presente che non avrebbe mai dovuto concedersi il lusso di lasciare, anche se per poco.

«Vai» la esortò. «Sbrigati.»

«Come ti chiami? Voglio sapere chi mi ha salvata» disse.

L’altra donna era sparita fuori dalla visuale, correndo con forza.

«Non c’è tempo» le disse. «Corri

Annuì. «Grazie» disse ancora.

Nonostante la paura era felice per la gentilezza che aveva percepito. Pensava che fosse un eroe. Pensava che la stesse salvando per la sua bontà d’animo. Appena la ragazza si voltò di spalle, i suoi occhi sembrarono lasciarsi dietro una scia di blu incandescente, che mutò colore, incupendosi di rosso.

Sangue, zampillò all’improvviso da un varco nel suo collo.

I colpi d’arma da fuoco ruppero il silenzio.

Era accecato, il sangue gli era schizzato negli occhi, e tra il cruento assalto di rumore nelle orecchie e la coltre rossa che gli copriva la visuale, perse l’orientamento.

Victor non aveva bisogno di vedere l’arma per sapere che si trattava di un AK47. Gli fu subito chiaro dalla violenza del colpo di ciascun proiettile ad alta velocità. I suoi istinti erano forti, affinati dalle innumerevoli battaglie, e lo trascinarono in basso, verso le ombre dietro al container, verso la salvezza, mentre spari roventi squarciavano l’aria intorno a lui. Il tiratore puntava alla ragazza dagli occhi blu, ma se un proiettile vagante lo avesse colpito, sarebbe stato letale quanto un colpo mirato.

Uno degli uomini di Zoca era uscito fuori dall’ufficio con uno slancio, reagendo al trambusto, con un’arma da fuoco completamente automatica. Forse era consapevole di star sparando alle donne che scappavano (il carico in fuga). Forse no.

Victor urtò il terreno prima della ragazza. Lei cadde un istante dopo, ma mentre lui era atterrato in una discesa controllata, attutendo la caduta usando braccia e gambe come ammortizzatori, lei era un insieme disomogeneo di arti, senza controllo e sgraziato, che ricadeva nel fango.

Sfregò via il sangue dagli occhi in tempo per vedere i suoi ultimi rantoli e sentirla farfugliare, lottando per continuare a esistere; un misto di disperazione, terrore e agonia mentre il sangue si spargeva dallo squarcio aperto nella sua gola.

Lesse il labiale delle sue ultime parole: ‘Aiutami.’

Non lo fece. Non poteva. Se fosse stato in grado, non lo avrebbe fatto. Non avrebbe rischiato di esporsi nemmeno se avesse potuto fare qualcosa per lei. Non era un eroe, qualsiasi cosa lei avesse pensato.

Quegli occhi blu non smisero mai di fissarlo.

I proiettili affettavano l’aria notturna, la mira cambiò per inseguire l’altra donna in fuga, mentre, ancora viva, correva più veloce di quanto avesse mai potuto immaginare di riuscire.

Gli spari cessarono, all’improvviso e inaspettatamente, e sentì delle urla, non di dolore o paura, ma di rabbia.

Era Zoca, che rimproverava i suoi uomini per aver aperto il fuoco, per essere stati avventati, impetuosi e stupidi. Diede un manrovescio in faccia all’uomo che aveva sparato, e fendette l’aria con le dita, indicando la direzione verso cui la seconda donna stava correndo, ordinando a due dei suoi uomini di inseguirla.

«Riportatela qui o non tornate» gridò loro.

Gli altri due e Zoca si diressero verso il punto in cui Victor giaceva nascosto (nascosto solo in prospettiva). Se si fossero spostati lateralmente sarebbe stato nascosto solo dalle ombre. Si fermarono vicino al cadavere.

I due uomini rimasero immobili, ma Zoca girò intorno al corpo. Victor era a meno di due metri di distanza. Rimase fermo, riparato dalle ombre, una forma scura e irregolare contro uno sfondo scuro e irregolare. Non lo videro.

«Merda.» Zoca sputò.

«È morta?» chiese l’uomo che aveva sparato, cauto e confuso... e spaventato.

La ragazza fissava ancora Victor, ma era morta.

Dell’aria le fuoriuscì dall’interno, emettendo un leggero fischio, mentre il sangue sul collo gorgogliava e formava una schiuma.

«È morta?» chiese di nuovo.

Zoca tirò fuori una pistola e con colpo improvviso e selvaggio la spinse nell’addome dell’uomo. Il braccio destro di Rados era forte e veloce.

L’uomo ricadde sulle ginocchia, gonfiando il petto nel tentativo di respirare, la faccia tesa dal dolore.

«Sei morto?» chiese Zoca, imitando il tono dell’uomo.

L’uomo, senza fiato, non avrebbe potuto rispondere neanche se la domanda non fosse stata retorica.

«No?» chiese Zoca. «Non sei morto, vero? Sei ancora vivo. Perché sei ancora vivo?»

Usò la pistola per colpire l’uomo su un lato della testa, percuotendo la tempia con la volata, il colpo istantaneo e feroce come quello all’addome. L’uomo rotolò a terra, rantolante e disorientato, gli occhi vitrei e torbidi al tempo stesso.

«Sei morto?» chiese di nuovo Zoca.

Si chinò sull’uomo, lo colpì con la pistola e con il tacco della scarpa, intervallando le sferzate con la stessa beffarda domanda retorica:

«Sei morto?»

«Sei morto?»

«Sei morto?»

Si fermò solo quando della testa non era rimasto letteralmente più nulla da colpire. In seguito, passò la sua pistola all’altro uomo, che era rimasto a guardare in silenzio. La pistola era ricoperta di sangue, ossa e materia cerebrale luccicanti. L’uomo la prese senza una parola o una smorfia.

Zoca ansimava per lo sforzo e per la rabbia. La sua faccia era macchiata di sangue, reso ancora più evidente dal contrasto con la sua pelle e i suoi capelli bianco osso. Si pulì lo stivale sui jeans dell’uomo morto.

Il petto si alzava e abbassava, Zoca gesticolò verso l’uomo che aveva picchiato a morte. «Volevo solo una risposta. Perché non mi ha risposto?»

L’altro uomo poteva solo alzare le spalle. Alzò le spalle con condiscendenza, non con ignoranza. Sapeva che Zoca era pazzo. Gli altri due uomini tornarono poco dopo, rossi in faccia e affannati. La banda di Rados non era in forma. Fumavano e bevevano senza fare allenamento. Uno dei due uomini di ritorno portava l’altra donna penzoloni su una spalla. Era morta o svenuta, le sue braccia e le sue gambe erano rosse di sangue fresco.

«Cosa le è successo?» sibilò Zoca.

«Si è arrampicata sulla recinzione» spiegò uno dei due, ansimando ancora per riprendere fiato. «È rimasta impigliata nel filo spinato e si è tagliata. È da lì che viene la maggior parte del sangue. L’ho tirata giù, ma ho dovuto picchiarla per farla stare buona.»

Zoca esaminò i tagli e prese una manciata di capelli per sollevarle la testa ed esaminarle il viso.

«Le hai rotto il naso.»

L’uomo si difese velocemente. «Ho dovuto colpirla, non la smetteva di urlare.»

«Gliel’hai appiattito. Ora è rovinata.»

«Ho dovuto» disse l’uomo, ma più sommessamente. Arretrò nervosamente di un passo.

Zoca non avendo né una pistola in mano per malmenare l’uomo, né l’energia per farlo, dovette accontentarsi di scoprire i denti in un’espressione di rabbia delirante. Durò poco: c’erano questioni più importanti di cui occuparsi. Passò lo sguardo dalla donna priva di sensi ai due cadaveri, quindi al container stesso. Si diresse verso di esso.

«Come hanno fatto a uscire?»

Nessuno dei tre uomini rispose.

Camminò avanti e indietro davanti al container, con lo sguardo fisso a terra. Mentre cercava, emetteva un ticchettio con la lingua. Quando ebbe individuato il lucchetto, si piegò per recuperarlo da una pozzanghera.

«È intatto» disse, voltandosi per guardare in faccia i suoi uomini.

Uno di loro disse: «Non capisco.»

«Come l’hanno aperto?» chiese un altro.

«Aperto? Pensi che siano riuscite ad aprirlo da dentro il container?» Gli occhi di Zoca erano sbarrati. «Pensi che abbiano fatto passare le mani attraverso l’acciaio e abbiano usato una chiave magica?»

L’uomo non rispose.

«Ricordatemi,» cominciò Zoca «chi dei due ha chiuso questo specifico container?»

Nessuno rispose. I tre uomini si guardarono l’un l’altro.

«Presumo che sia anche stato chiuso con la magia. Oppure, penso che possiamo affermare con certezza, che non sia stato chiuso affatto» disse Zoca. Uno degli uomini disse: «Penso che lo abbia chiuso lui» indicando il cadavere con il cranio fracassato.

«Davvero comodo» disse Zoca.

Si accostò alla donna morta, avvicinandosi al punto in cui Victor giaceva nascosto. Sembrava guardasse direttamente lui, ma la sua concentrazione era rivolta altrove.

Zoca tese le braccia in avanti a livello delle spalle, allargando le dita nell’oscurità della notte. Le dita della sua mano destra erano ancora bagnate di sangue luccicante, ma si stavano asciugando in fretta. Reclinò la testa all’indietro ed espirò, con un grido deliberatamente rumoroso ma controllato. I suoi uomini guardavano, ma il loro contegno dimostrava che era qualcosa che gli avevano già visto fare altre volte.

Quando ebbe finito raddrizzò la testa e si passò le dita tra i capelli, lasciando una strisciata di sangue tra le ciocche bianche. Il sangue agì come un gel, raggruppando i capelli che aveva toccato in ciuffi dritti, mentre i restanti rimanevano flosci.

I suoi uomini si spostarono, a disagio.

«Questo è un serio intoppo» disse Zoca, i suoi occhi ancora puntati su Victor, ma le parole erano dirette ai suoi uomini. «Lui non sarà contento. Tutti ne subiremo le conseguenze.»

I tre uomini rimasti si spostarono, sempre più a disagio. Potevano anche essere considerati criminali, ex paramilitari, ma avevano paura di Zoca e ancora di più di Rados.

Zoca si avvicinò agli altri due container. «Avete sentito?» urlò. «Una di voi è morta. Questo è ciò che succede se provate a scappare. Morirete. Vi spareremo e morirete. E sarà anche peggio se vi cattureremo ancora vive. Prendetelo come un avvertimento e non mettetemi alla prova.»

Fece cenno all’uomo con la ragazza svenuta appesa alla sua spalla. «Rimettila dentro al container per il momento, mentre penso a come sistemare questa cosa.» Agli altri due disse: «Ripulite questo disastro, e fatelo velocemente.»

Si diresse verso la cabina ufficio, ma poi si fermò, e disse senza voltarsi: «E assicuratevi che la porta sia chiusa questa volta.»

Victor rimase immobile. Ogni secondo che passava aumentava il rischio di essere scoperto, ma gli uomini di Zoca non lo stavano cercando. Non sapevano della sua esistenza, tantomeno che era disteso così vicino da poterlo quasi toccare. Rimase fermo mentre parlavano e si lamentavano tra di loro con voci smorzate; di Zoca e della sua follia, e di come le donne fossero riuscite a scappare e chi avesse sbagliato e chi sarebbe stato incolpato, e cosa Rados avrebbe fatto loro.

Dovevano spostare due corpi e ripulire un bel po’ di sangue, oltre a una donna priva di sensi di cui occuparsi. Fu rimessa dentro al container, e mentre i tre uomini erano concentrati su di lei, Victor si allontanò, strisciando sullo stomaco, in modo che quando il container fu richiuso lui non fosse visibile.

Non ci misero molto ad avvolgere i corpi in sacchi di plastica nera e a richiuderli con il nastro isolante. Avevano fatto altre volte questo genere di cose. In seguito, estrassero dal fango i pezzi di cranio più grossi, poi versarono un sacco di sabbia sul sangue. Lavoravano sfruttando la luce del prefabbricato, ma uno usava la torcia di tanto in tanto per controllare l’avanzamento del lavoro.

Quando furono soddisfatti della pulizia, portarono i corpi fuori dalla visuale di Victor, e rientrarono nell’ufficio. Lo prese come segnale per andarsene.

Era andato lì con l’intenzione di distruggere un carico di droga per provocare disordine nell’organizzazione di Rados. Non aveva funzionato secondo i piani, ma Rados aveva perso un uomo e un quarto della sua merce quella notte. Non pianificato e disordinato, il risultato era probabilmente persino migliore per gli scopi di Victor.

Il prezzo era stato una ragazza dagli occhi blu. Aiutami.