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Uccidere era la parte semplice. La vera abilità stava nel farla franca. Victor aveva fatto entrambe le cose per metà della sua vita. Questa consapevolezza lo aveva colto in uno dei suoi rari momenti di autoriflessione, ma era stata accantonata sbrigativamente, perché perdersi nei pensieri significava non avere il controllo su ciò che lo circondava. Finché pensava al suo passato, non valutava le persone intorno a lui, non determinava gli scenari possibili e il campo visivo, non prendeva decisioni sul miglior modo di bloccare, annientare o colpire per neutralizzare le minacce, e non poteva nemmeno scegliere il miglior metodo per la successiva fuga.
Uccidere richiedeva più della semplice abilità di mirare e sparare. Quasi tutti erano in grado di farlo. Fuggire significava riuscire a creare un diversivo. In qualità di assassino professionista, i moventi di Victor per uccidere erano il denaro o la difesa personale, il secondo era collegato al perseguimento del primo. Uccideva chi era pagato per uccidere e chi era necessario uccidere. Avendo pochissima o nessuna connessione con le vittime, poteva eludere quasi tutta la responsabilità. La colpa convergeva sui suoi clienti, ovvero coloro che traevano il maggior guadagno dall’impiego dei talenti di Victor.
Pensava all’idea di colpa mentre il suo sguardo si spostava per valutare gli uomini e le donne intorno a lui all’interno della carrozza. C’erano famiglie e coppie, e tra quelli che viaggiavano in solitaria la maggior parte erano troppo vecchi o troppo giovani o indossavano gli abiti sbagliati. Nessuno di loro produceva il benché minimo segnale verso il suo radar per le minacce.
C’era solo un altro uomo approssimativamente dell’età di Victor. Era seduto di fronte a lui, sorseggiando una tazza di tè freddo. Anche senza volerlo, Victor vide che c’erano nove cerchi marroni nella tazza, e nel tè rimanente si era formata della schiuma.
Il treno era il famoso Freccia Rossa che faceva il lungo viaggio notturno tra Mosca e San Pietroburgo. Si trattava di un itinerario di nove ore a nord attraverso la campagna russa, e l’unico che il Freccia Rossa percorreva da oltre mezzo secolo.
I veicoli ferroviari moderni facevano il medesimo viaggio nella metà del tempo, ma anche con la metà dello stile. La cabina privata di Victor nella carrozza della prima classe era piccola ma sfarzosa. Aveva persino la doccia al suo interno.
Un modo stravagante di viaggiare, ma per Victor, che dava un notevole valore alla sua privacy, valeva ogni singolo penny.
L’uomo seduto di fronte a Victor indossava dei pantaloni chino scuri e una camicia ampia di pesante cotone bianco, le maniche arrotolate fino ai gomiti. La camicia, indossata tutto il giorno, era stropicciata. L’uomo sembrava vigile ma anche stanco. Si stava avvicinando la mezzanotte e aveva gli occhi arrossati contornati da cerchi scuri, ma era del tutto sveglio e irrequieto. Victor permise ai loro sguardi di incrociarsi, e l’uomo lo interpretò come invito a iniziare una conversazione.
«È così che si dovrebbe viaggiare.» L’uomo era britannico, parlava in modo eloquente, con un forte accento. «Volare? No, grazie. È per chi non sa che esiste di meglio. Una macchina? È come essere l’autista di te stesso.» Si accigliò e gli angoli della sua bocca si rivolsero verso il basso. «I treni sono per la gente civilizzata.»
Sorrise per far intendere che non diceva davvero sul serio, ma Victor vide il suo sorriso per quello che era: un mezzo per sondare i confini di un estraneo sperando di trovare un terreno comune e qualcuno con cui ingannare il tempo.
Victor rimase in silenzio. Per la sua esperienza, quando si trattava di conversazioni era sempre meglio dire poco.
«Ho già fatto questo viaggio» disse l’uomo britannico. «Posso dirti da quale finestra guardare fuori e in quale momento. Per quando farà giorno intendo. Come una guida turistica. Non devi pagarmi ovviamente. A meno che tu non voglia.»
Questa volta il sorriso era sincero.
«Mi sono sempre piaciuti i treni» disse Victor. «O meglio, mi piacevano. Quando ero bambino.»
«È la prima volta che viaggi su questo?»
Victor annuì.
«Allora ne rimarrai stupito.» Gli offrì la mano. «Sono Leonard Fletcher.»
A Victor non piacevano le strette di mano. Non gli piaceva il contatto fisico in generale. Le persone che volevano toccarlo solitamente volevano fargli del male. Tuttavia gli strinse la mano, perché quell’uomo non rappresentava alcuna minaccia e Victor aveva bisogno di impegnarsi in tali azioni per mantenere la sua facciata di normalità.
«Mi chiamo Jonathan.»
«Piacere di conoscerti Jon. Temevo che ci sarebbero state solo coppie e persone anziane. A volte è così. Nessuno con cui parlare. Il bellissimo panorama è grandioso e tutto il resto, ma non si riesce a vederlo di notte, giusto? Andare a dormire presto è fuori questione; sono una sorta di animale notturno. Non ti sto interrompendo, vero?»
«Assolutamente» disse Victor.
«Come pensavo. Ho immaginato che anche tu fossi annoiato. Spero non ti dispiaccia che mi sia avvicinato.»
«Assolutamente» disse di nuovo Victor.
Venne trasmesso un annuncio dal sistema di avviso ai passeggeri. La carrozza ristorante stava per chiudere.
«Hai provato il rosso croato?»
Victor scosse la testa. «Non sono un gran bevitore di vino. A meno che sia un buon vino da dessert.»
L’uomo britannico non si scoraggiò. «Dovresti davvero. Il merlot è una delizia. Ed è anche a buon mercato, il che è sempre un incentivo.»
«Lo terrò a mente.»
Rimasero seduti in silenzio per qualche minuto. L’uomo britannico cominciava ad agitarsi nel silenzio; voleva parlare, e si sforzava di mantenere viva la conversazione. Le risposte formali di Victor obbligavano l’altro a fare il grosso del lavoro.
L’uomo ritornò su quanto era già stato detto e trovò qualcosa a cui aggrapparsi: «Prima hai accennato al fatto che ti piacevano i treni quando eri bambino. Eri un tipo ossessionato dai treni?»
Sorrise alla provocazione. Voleva indurlo a una risposta, qualsiasi essa fosse.
Victor scosse la testa. «Avevo hobby più pratici quando ero bambino. Mi piaceva costruire cose, quindi non so esattamente perché mi piacessero i treni. Li vedevo dalla mia finestra, andare e venire dalla stazione ferroviaria. A volte li guardavo per tutto il giorno. Forse era il rumore; il brontolio continuo dei treni può essere calmante, come la musica.»
«Aspetta un attimo, stai dicendo che veramente li guardavi per tutto il giorno? Dici sul serio?»
Victor annuì.
«Nessuna televisione a casa tua?»
Victor scosse la testa.
L’uomo disse: «Però, la tua infanzia deve essere stata noiosa da far schifo. Mi dispiace per te.»
«Non sentiamo la mancanza di ciò che non abbiamo mai avuto, sbaglio?»
«Non saprei. Ero un moccioso viziato. Avevamo ogni tipo di gioco e arnese. Mia madre beveva e ci lasciava alla tata, e mio padre non sapeva come comunicare con noi, quindi fare il genitore per lui significava comprarci roba di cui non avevamo bisogno. È curioso che tu dica che ti piacevano i treni, perché lui aveva un trenino elettrico su in soffitta. Suppongo che fosse il suo gioco personale. Una buona scusa per evitare i mocciosi e starsene un po’ in pace. Poteva passare ore lassù. Una volta provò a portarmici, ma io non ne capivo il divertimento. Una volta che vedi il treno completare il giro, hai già visto tutto. Non so per quale motivo qualcuno dovrebbe pensare che sia divertente. Secondo me è proprio lì che si cela la follia.»
«Questo è il punto» disse Victor sporgendosi in avanti. «Non si tratta soltanto del treno che gira intorno alla pista. Riguarda il mondo in miniatura. Il dettaglio. La perfezione. Sono l’erba immobile e gli alberi costruiti a mano con cura da ramoscelli e licheni colorati, e i piccoli modellini delle persone che vivono la propria vita in un paesaggio idilliaco e senza tempo. Racchiude un’incredibile bellezza, ma devi volerla vedere.»
Fletcher risucchiò l’aria tra i denti, sentendosi a disagio.
«Oh... certo. Scusa, non avevo intenzione di offenderti. Non avevo capito che ne avessi uno anche tu. Avrei dovuto immaginarlo, no? Avevi detto che ti piacevano i treni da bambino.»
Victor scosse di nuovo la testa, rimettendosi comodo sul sedile. «No, non ho mai avuto neanche il trenino elettrico. Ne volevo uno più di qualsiasi cosa al mondo. Ma niente tv. Niente trenino elettrico. Solo la sponda della finestra su cui dovevo arrampicarmi per guardare fuori. La cosa più vicina a un trenino elettrico era la fotografia che avevo strappato da una rivista. Quando fuori era troppo buio per vedere i treni veri, usavo una torcia che avevo costruito, e guardavo la foto immaginando che il treno si muovesse lungo la pista, potevo sentire il ronzio del motore elettrico mentre muovevo i comandi.»
Fletcher lo fissava. «Ti stai prendendo gioco di me?»
«Neanche un po’. Che tu ci creda o no, quella fotografia era la cosa più preziosa che possedessi.»
«Be’, per te questa è l’immaginazione di un bambino. Dove va a finire? Non credo di averne mai avuta una perché avevo una Nintendo. Non hai motivo di crearti mondi fantastici quando puoi trovarli sullo schermo, dico bene? Credo di non aver mai letto un libro fino a diciassette anni, e quando l’ho fatto è stato solo per fare colpo su una ragazza del college.» Rise battendo il palmo della mano sul tavolino. «Ho sprecato un’intera settimana per leggere questo enorme e noioso tomo di merda, e ci ho guadagnato a malapena una pomiciata. Cosa non facciamo per le donne, eh? Allora, cos’è successo alla fotografia? La tieni ancora nel portafoglio?» Stava scherzando.
Victor disse: «Non esattamente. Ma si trova in una borsa a tenuta stagna dentro a una cassetta di sicurezza all’interno del più sicuro caveau della Svizzera.»
Fletcher rise di nuovo, più forte e più a lungo, e una volta ripreso il controllo dovette asciugarsi le lacrime dagli occhi. Poi si accorse che Victor non stava scherzando.
«Mi prendi in giro?» disse l’uomo riprendendo fiato. «Deve costarti una piccola fortuna.»
Scrollò le spalle. «Ho passato anni a tenerla nascosta agli altri. I ragazzi più grandi se la sarebbero presa o l’avrebbero strappata per puro divertimento. Generalmente non sono nostalgico. Non penso al mio passato se posso farne a meno. Ma quella fotografia del trenino elettrico rappresenta una connessione con la persona che ero un tempo e che non sono riuscito a seppellire completamente. Se a quel tempo per me quella fotografia era preziosa, ora ha un valore inestimabile. Suppongo che si possa dire che non ho mai smesso di proteggerla.»
«Devo ammettere,» disse Fletcher grattandosi il mento con un dito «è molto probabile che tu sia la persona più strana che io abbia mai conosciuto in questo tragitto. E ne ho incontrate un bel po’. Non intendo in modo negativo» aggiunse velocemente.
«Non l’ho pensato» disse Victor. «Sono un uomo che difficilmente si offende.»
«Quindi, qual è la tua storia? Come mai sei da solo su un treno notturno fottutamente costoso?»
«Per lavoro» disse Victor. «Tu?»
«Ti ho detto che non mi piace volare. Be’, la verità è che non sono in grado volare. La mia azienda detesta questa cosa, ma non possono farci niente perché è classificata come patologia. Abbiamo un’ottima tutela dei lavoratori nel Regno Unito. Evviva il socialismo, giusto?»
«Per chi lavori?»
Fletcher esitò... solo per un istante, ma Victor se ne accorse, poi disse: «Una società di revisione contabile a Londra.»
«Sei un contabile?»
Fletcher annuì.
Victor annuì a sua volta. «Sai, nella mia esperienza, le persone che non vogliono ricevere domande sul loro lavoro spesso dicono di essere dei contabili. Nessuno ha voglia di parlare di percentuali e debiti, sbaglio?»
Fletcher rise ancora una volta nonostante l’espressione neutrale di Victor.
«Lo so,» disse Victor «perché a volte anche io dico di essere un contabile.»
La risata si dissolse in un sorriso mentre lo sguardo dell’uomo esaminava Victor cercando risposte a domande non ancora poste. Victor rimase in silenzio mentre lasciava che l’uomo riflettesse. Non gli servì molto tempo per dire:
«Tu sai chi sono, vero?»
«Sì» disse Victor.
Fletcher considerò la risposta. Le sue dita tamburellavano sul tavolino. «La cattedrale di St Paul...»
«Un tempo era trenta metri più alta» finì Victor.
«Cleric?» chiese Fletcher.
Victor annuì e disse: «Il pinnacolo originale fu distrutto nel grande incendio di Londra. Il piombo del tetto diede origine a un fiume di metallo fuso che attraversava la strada.»
Fletcher lo fissò per un po’ mentre ripensava agli eventi, e si rese conto che Victor conosceva abbastanza cose sul suo conto da sapere che avrebbe cercato un uomo dallo sguardo annoiato con cui chiacchierare.
«Non ne sapevo niente dell’incendio» disse Fletcher. «Sapevo solo il codice. Era pianificato che ti incontrassi a Helsinki.»
«Un cambio di piano dell’ultimo minuto.»
La fronte di Fletcher si aggrottò. «Non cambiano mai il piano. Hai una vaga idea di quanto lavoro, di quante scartoffie servano?»
Victor rimase in silenzio.
«Non sei come ti avevo immaginato» disse Fletcher. «Voglio dire: nel tuo fascicolo non ci sono fotografie o dettagli fisici.»
«Il che era una condizione per i miei servigi.»
«Servigi? Lo fai sembrare così squallido.»
«Non lo è?»
«Quasi non credevo ad alcune delle cose che ho letto su di te. Mi aspettavo che tu fossi, be’, spaventoso. Invece... sembri così dannatamente normale. Come se fossi semplicemente un tipo a posto.»
«Lavoro molto su questo punto.»
«Be’, ci sei riuscito. Non avrei mai indovinato che tu fossi Cleric se non lo avessi detto chiaramente. Ma, suppongo che sia il motivo per cui ti pagano così tanto.»
«Non è l’unica ragione.»
Fletcher fece una breve risata per mascherare il suo nervosismo. «Perché ti sei perso in chiacchiere all’inizio? Perché non arrivare prima al codice?»
«Volevo essere certo che non mi conoscessi. Volevo avere la certezza che non ci fossero fotografie nel mio fascicolo.»
«Stai dicendo che non sarei stato in grado di bluffare?»
C’era un certo tono di offesa nella domanda di Fletcher.
«Sì» disse Victor. «È ciò che stavo dicendo.»
Le labbra di Fletcher rimasero serrate per un momento, il suo viso rigido, ma si rilassò nel momento in cui decise di lasciar perdere l’insulto alle sue capacità. «Quindi, perché il faccia a faccia sul treno e non a Helsinki come pianificato?» disse.
«I servizi segreti cinesi ti seguiranno non appena arriveremo a San Pietroburgo.»
«Dannazione» disse Fletcher. «Non mi hanno mai lasciato solo da quando ero di stanza a Hong Kong.»
«La perseveranza è una virtù dei cinesi.»
«Non è forse la verità? Be’, questa carrozza è un posto come un altro per discutere il tuo prossimo incarico. Immagino tu lo abbia controllato.»
Victor annuì. «Nessuno sta guardando o ascoltando.»
«Certo» disse Fletcher. «Altrimenti non avresti parlato della tua infanzia, non è vero?»
«Esatto.»
«Ma potrebbero essere state tutte bugie per quanto ne so. Non ci sono dettagli personali nel tuo fascicolo, dopotutto.»
«Ti assicuro che stavo dicendo la verità.»
Fletcher accettò la risposta e si grattò dietro il collo.
Come prima, Victor lo lasciò arrivare alle sue conclusioni. Ci volle di più questa volta, perché Fletcher non voleva giungere all’inevitabile realtà.
«Non ci sono dettagli personali nel tuo fascicolo» disse Fletcher per la seconda volta.
«Sarebbe un grosso problema se ci fossero.»
«Le fotografie e la descrizione fisica sono state omesse su tua richiesta. Ma a parte il tuo lavoro per noi e quello che sappiamo dei tuoi lavori per la CIA, non c’è nient’altro su di te perché non sappiamo niente di te.»
«Bravo» disse Victor mentre Fletcher lo fissava.
«C’era una riga che diceva qualcosa tipo ‘il soggetto dà valore all’anonimia e la protegge spietatamente’...»
«Le informazioni sono accurate. È necessario per la protezione dalle minacce attuali e dalle potenziali minacce future.»
«Questo lo capisco. Non vuoi che sappiamo di te più del minimo necessario, in caso ci mettessimo contro di te.»
Victor annuì.
«Invece ora io so della fotografia del trenino elettrico depositata in un caveau svizzero.»
Victor non disse nulla.
«Ma non importa se lo so» disse Fletcher, tagliente, dopo aver capito. Il suo sguardo era serrato su Victor. La pelle alla sinistra del suo pomo d’Adamo tremava, a causa del battito scalpitante sotto di essa. «Non importa cosa so sul tuo conto, perché non diventerò mai una minaccia per te. Perché sei qui per uccidermi, vero?»
«Sì» disse Victor.