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«Ancora non ci credo» disse Banik a bassa voce. «Fletcher è morto soffocato con un pezzo di controfiletto, in una carrozza ristorante piena di testimoni che giurano che stava mangiando da solo. Non è neppure stato identificato un uomo corrispondente alla tua descrizione nella stessa carrozza. Le TVCC sono inconfutabili. Nessuna traccia di crimine. Nessuno da incolpare.» Banik aveva gli occhi spalancati.

«Il rapporto del coroner: morte accidentale. Come diavolo ci sei riuscito?»

Delle ombre danzavano e ondeggiavano sull’erba. L’aria era satura di rumore.

Victor sollevò un sopracciglio. «Un mago non rivela mai i propri trucchi.»

Banik scosse la testa come se non esistesse alcuna spiegazione possibile e diede un morso al suo pasticcio di carne. Era fumante nell’aria fredda, e Banik lo masticava con la bocca aperta tentando di espellere l’eccesso di calore.

«Mi piace che lo chiamino pasticcio di carne» disse parlando tra un boccone e l’altro. «Non un pasticcio di maiale o di manzo-e-cipolla o di pollo-e-funghi. Solo carne. È confortante sapere che in realtà potrei star mangiando un tasso.»

Era un agente operativo di trentasei anni che lavorava per i SIS, parlava con un accento colto, derivante dalla sua istruzione privata e dalle qualifiche ottenute a Oxford. Victor conosceva le esperienze pregresse e i dettagli personali di quell’uomo nello stesso modo in cui avrebbe saputo quelli di un obiettivo, in parte grazie alle sue ricerche, ma la maggior parte delle informazioni gli erano state fornite dallo stesso Banik, sotto forma di fascicoli dei SIS.

«Voglio che ti fidi di me» aveva spiegato Banik prima del loro primo incontro faccia a faccia. «Altrimenti questo accordo non può funzionare.»

Il fascicolo era un atto di buona fede. Diceva: ‘Non te lo darei se ti credessi pericoloso.’ Ciononostante, Victor non si fidava di lui, perché qualsiasi persona con cui avesse a che fare in veste professionale non era degna di fiducia per associazione. Ma Banik ci teneva in ogni caso a mostrare a Victor di non rappresentare un problema di cui doversi occupare. Era figlio di immigrati indiani, il più grande di sette fratelli. Era inoltre un irriducibile fan del West Ham United. Questo era il motivo per cui erano seduti in una folla di oltre trentamila tifosi che si stavano godendo il sole invernale più della performance della loro squadra. Banik, da vero fan, rifiutava di perdere le speranze.

«Non hanno fatto neanche un tiro decente verso la nostra porta» disse masticando a bocca aperta. «Non dobbiamo far altro che attaccare.»

«Se lo dici tu» disse Victor.

«Non sei proprio un amante del soccer, vero?»

Victor sollevò un sopracciglio per la pronuncia americana e per il pessimo accento con cui era stata espressa la parola, stando al gioco con una certa ambiguità, perché sapeva che anche Banik stava giocando. L’uomo dei SIS si comportava come se in qualche modo avesse dedotto le vere origini di Victor, fingendo di essere un po’ ottuso, un po’ ingenuo. Faceva sempre parte del tentativo di Banik di dimostrare che non costituiva una minaccia. Quindi Victor (senza mai dimenticare che la lealtà era una parente più stretta della convenienza che non della fiducia) permise a Banik di credere che fosse riuscito nel suo intento di farsi sottovalutare. Con i tifosi che cantavano e urlavano intorno a loro, non c’era alcuna possibilità che qualcuno li ascoltasse, ma dopo aver finito il suo pasticcio, Banik si avvicinò per ridurre ulteriormente il rischio. Questo fatto richiese a Victor di tollerare l’intrusione nel suo spazio personale. Sebbene riuscisse a controllare l’istinto di bloccare Banik, gli era impossibile non ripassare mentalmente le mosse necessarie per fratturare e menomare.

«Quindi,» disse Banik con noncuranza «come hai fatto?»

Victor non disse nulla.

«Oh, ma dài» urlò Banik, ma non a Victor.

Un centrocampista del West Ham aveva tentato una volée da quindici metri di distanza dall’area. La palla era sfrecciata così in alto oltre la traversa, che il portiere era rimasto impalato a guardarla uscire. La tifoseria avversaria fischiò.

«Perché si fanno tanti problemi? Quando mai quel genere di tiro finisce in porta?»

Victor sedeva inespressivo.

Banik lo guardò. «Sei tifoso di qualche sport?»

«Intendi chiedere se mi diverte osservare un’attività fisica organizzata, di per sé inutile, con il solo scopo di perpetuarsi all’infinito per il profitto?»

«E dicono che noi britannici abbiamo la puzza sotto il naso.»

Banik si rannicchiò in avanti per guardare la partita, i gomiti sulle ginocchia e il mento sui palmi. «Tre punti in casa dovevano essere una passeggiata. Dovremo accontentarci di un pareggio.»

Victor non rispose perché sebbene conoscesse le regole e sapesse come funzionava il campionato, non gli importava.

Lasciò che Banik guardasse, mentre lui aspettava. Erano lì per concludere il rapporto sull’ultimo incarico e per discutere le istruzioni del successivo. Anche se i dettagli sarebbero stati inviati attraverso canali elettronici, a Banik piaceva incontrarsi di persona il più frequentemente possibile. Gli piaceva il contatto diretto, come lui lo chiamava. Victor non incontrava mai i contatti se possibile, ma era inevitabile lavorando per i SIS.

«Affinché questo accordo funzioni, non può essere fatto come si deve online» aveva spiegato Banik. «Nell’MI6 facciamo le cose alla vecchia scuola.»

«In altre parole,» rispose Victor «non riuscite a impedire all’NSA di leggere le vostre email.»

Quando si fu stufato di guardare la palla calciata avanti e indietro inutilmente, Banik disse: «Sai, non ero davvero sicuro che sarebbe andato tutto così liscio.»

«Sono bravo nel mio lavoro» disse Victor.

«Un uomo davvero modesto. Be’, dopo tre incarichi portati a termine non posso essere in disaccordo. Ma non è quello che intendevo. Dopo tutto quel disastro a Londra l’anno scorso, non pensavo rispettassi la tua parte dell’accordo.»

«Non incolpo la vostra intera organizzazione per le azioni di un singolo individuo.»

Banik annuì. «È molto dignitoso da parte tua.»

Victor sollevò un sopracciglio. «La modestia non è la mia unica virtù».

Banik sorrise, poi disse: «Come te la cavi con il serbo?»

«Nije loše, ali moglo biti bolje» rispose Victor.

«Potresti aver detto la scimmia è sull’albero per quanto ne so.»

Victor scosse la testa. «Ja ne znam srpsku reč za scimmia.»

«Bene, se le tue abilità linguistiche sono all’altezza, ho bisogno che tu vada a Belgrado. C’è un individuo ignobile di nome Milan Rados, ti saremmo molto grati se potessi rimuoverlo dalla faccia della terra. Rados è ricercato per crimini di guerra commessi durante il piccolo tête à tête che chiamiamo ‘la disintegrazione della Jugoslavia’. Era il capo di un gruppo paramilitare a cui piaceva dar fuoco ai civili nelle proprie case.»

«Allora perché è ancora libero?»

«Ha vissuto nascosto per gli ultimi sei anni, da quando una squadra di deportazione SAS ha tentato di prenderlo in custodia.»

Victor ci pensò su e disse: «Non è dal regime fallire. Cos’è successo?»

«Be’, questo dipende se sei un tipo da bicchiere mezzo pieno o da bicchiere mezzo vuoto.»

«Io direi che la capienza del bicchiere è al cinquanta percento. Cosa stai tentando di dire?»

Banik continuò: «Voglio dire, se sei una persona cinica potresti dire che Rados ha ricevuto una soffiata da dei nazionalisti solidali dentro ai servizi di sicurezza serbi, o in alternativa, se sei un’anima fiduciosa, gli è semplicemente capitato di fuggire dalla sua roccaforte un’ora prima che sedici veri bastardi di sua maestà, il ventiduesimo Special Air Service, arrivassero a bussare.»

«Capisco» disse Victor.

«Vive nascosto da allora. Il che come potrai immaginare non sorprende. La maggior parte dei capi militari di alto profilo ricercati per crimini di guerra sono stati mandati al tribunale dell’Aia e hanno ricevuto una condanna troppo breve e con condizioni troppo leggere, ma per ognuno di quei reietti ci sono dodici dei loro sottoposti che hanno realmente perpetrato quelle atrocità e sono riusciti a eludere i perseguimenti penali. Rados è uno di quelli, e uno dei peggiori, ma come il resto della sua specie è un eroe per qualche potente serbo ultranazionalista che continua a credere che a suo tempo fosse in gioco la loro stessa esistenza come popolo. Inoltre, non dimentichiamoci che la NATO continuerebbe a scatenare l’inferno sulla Serbia, e la gente del posto è ancora piuttosto arrabbiata per gli esplosivi ad alto potenziale sganciati sulla loro nazione, e questo non aiuta quando si tratta di convincere certi serbi che i loro stessi compatrioti sono stati criminali di guerra.

«Ora che i loro capi militari da prima pagina sono stati catturati, l’intera Serbia preferirebbe dimenticarsi del resto dei suoi panni sporchi. Ovviamente ci sono migliaia di cadaveri che non possono fare lo stesso.»

«Se Rados è scomparso, cosa posso fare io?»

Banik disse: «Rados è scomparso solo se credi alla versione ufficiale dei serbi. Io non mi fido molto. Anche senza informazioni sicure, sappiamo che come molti dei suoi simili dell’epoca si è spostato all’interno del crimine organizzato e dirige una rete consistente a Belgrado. Lui resta fuori dalla circolazione, ma sappiamo che è ancora all’interno dello Stato e possibilmente nella stessa Belgrado, o in una grande villa antica in periferia.

«Probabilmente non si sta neppure impegnando molto nel nascondersi, considerato che pensiamo sia sotto la protezione dei suoi potenti amici.»

Un tifoso nel posto a sedere dietro a Banik gli finì addosso mentre si alzava. «Scusa amico.»

Banik sollevò la mano per fargli vedere che stava bene, e l’uomo si allontanò. Ne aveva abbastanza dell’esibizione degli Hammers.

«Allora» disse Banik a Victor quando l’uomo se ne fu andato. «Accetterai l’incarico?»

«Attenderò i particolari prima di prendere una decisione.»

«Infatti, ti stanno già aspettando nella tua casella email.»

Victor non commentò la presunzione di Banik. Pensò alle parole di Fletcher: ‘Non sei altro che una pedina.’

«Perché vuoi Rados morto? Perché non mandare delle persone a scovarlo e portarlo alla Corte penale internazionale?»

Banik scrollò le spalle. «A che serve tentare? I serbi non collaboreranno, quindi ogni tipo di raid è destinato a fallire. Oppure, collaboreranno ufficialmente, ma qualcuno coinvolto farà di nuovo una soffiata a Rados. E se non glielo diciamo sarà visto come un atto di guerra. Quindi, vecchio mio, abbiamo bisogno di un uomo come te.»

Victor annuì accettando la spiegazione. «Ma cosa ci guadagna l’intelligence britannica? La guerra è terminata molto tempo fa. Non ci sono vantaggi politici da ottenere nell’assassinare Rados, giusto? Quindi perché preoccuparsene?»

Banik sembrò offeso. «Perché preoccuparsi? Quello è un uomo malvagio, chiaro e semplice. Per non menzionare il fatto che abbiamo degli obblighi verso la NATO e la Corte penale internazionale come pure verso la fottuta società dei civili. Scusa il linguaggio.»

«Scusato. Per questa volta.»

«Se non possiamo consegnare Rados alla giustizia, spediremo la giustizia alla sua cortese attenzione, sotto forma di una graziosa e splendente 9 mm a punta cava, con tanto di confezione regalo. Oppure sentiti libero di usare una FMI, se preferisci.»

«Alquanto spietato per una nazione senza la pena di morte, non credi?»

«Non abbiamo governato il mondo facendo i gentili.»

«È da molto tempo che non governate il mondo.»

Banik sospirò. «E guarda quale caos è diventato da allora.»

Rimasero seduti in silenzio per qualche istante.

«C’è un’altra ragione per la quale volevo vederti» disse Banik. «In seguito allo sfortunato incidente di Fletcher, abbiamo scoperto che non stava solamente sussurrando segreti irrilevanti nelle orecchie della sua amante per continuare ad avere le sue attenzioni. Aveva iniziato di recente a scambiare informazioni con altre fazioni. Questa volta per il vile e freddo denaro.»

«Perché ho la sensazione che alcune di quelle informazioni riguardassero me?»

«Perché sei un’anima perspicace.»

«Vai avanti» disse Victor.

«A quanto pare c’è una taglia sulla tua testa. Fletcher era venuto a saperlo... non so esattamente quando. Al posto di passare la sua scoperta a me, ha deciso di trasmettere informazioni su di te.»

«A chi?»

«Un procacciatore indipendente. Al momento non ancora identificato, ma conosciuto con lo pseudonimo Phoenix. Fa il procacciatore da diverso tempo, e oltre a essere un mago nell’ingaggiare il giusto killer per il giusto lavoro, è persino più bravo nel mantenersi irrintracciabile. Nessuno sa chi sia, dove sia, o chi siano i suoi clienti.»

Victor ripensò al suo ingaggio più recente prima che iniziasse a lavorare per Banik. Come altri ingaggi precedenti, non aveva sicuramente migliorato la popolarità di Victor tra i potenti e gli assetati di vendetta. Forse questa taglia sulla sua testa ne era una conseguenza, oppure poteva provenire da uno qualsiasi dei molti nemici che aveva acquisito nell’ultimo decennio da killer professionista.

«Ho sentito parlare di Phoenix» disse Victor.

«Hai fatto qualche lavoro per lui? A dire il vero non so perché te lo sto chiedendo. Non me lo diresti mai, anche se lo avessi fatto, giusto?»

«Giusto» concordò. «Ma non confermerei nemmeno di non averlo fatto. Cos’ha trasmesso Fletcher?»

«Questo non lo so. Potrebbe essere tutto o niente.»

«Una così vasta gamma di possibilità non mi è particolarmente utile.»

«Se scopro qualcosa di più te lo faccio sapere,» disse Banik «ma per ora ti sto solo avvisando.»

«Intendi dire che sei preoccupato che possa venire ucciso prima di poter uccidere Rados per te.»

Banik rise; sarebbe stato ridicolo fingere il contrario. «Ti considero anche un amico.»

«Certo che sì.»

Ignorando la sfida, Banik disse: «Non sembri molto preoccupato nell’apprendere che qualcuno ti vuole morto.»

Victor scrollò le spalle. «Non è niente di nuovo. Procurarsi dei nemici fa parte del mio lavoro. Se non altro significa che sto facendo qualcosa di giusto.»

«Strano, perché per come la vedo io, più amici ho e meglio me la sto cavando nella vita.»

«Ah,» disse Victor «ma gli amici possono essere comprati. I nemici sono sempre guadagnati.»