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L’aria era intrisa di umidità. Gli alberi bagnati, le foglie e il sottobosco si mescolavano insieme creando una forte essenza naturale. La foresta era velata dalla foschia. Sembrava infinita. Attraverso alcuni buchi nella chioma degli alberi, la foschia grigia si fondeva con il cielo altrettanto grigio.
Victor contò quattro uomini, ma non riuscì a distinguere tra loro due che sembrassero fratelli. Quando Rados avanzò da solo, uno degli slovacchi fece lo stesso. L’uomo in questione era magro, stretto dalle spalle ai fianchi. Tra il suo collo e il colletto della sua camicia c’era uno spazio di almeno un centimetro. I polsi penzolavano da dei polsini così abbondanti, che sembrava un bambino con indosso i vestiti di un adulto. La pelle del viso era tesa su tutto il cranio. Aveva degli zigomi prominenti e le guance scavate, rese scure dall’ombra. I suoi occhi a palla sporgevano dalle orbite, e non smettevano mai di muoversi, avanti e indietro tra Victor e Rados. I capelli dello slovacco avevano una consistenza e uno spessore innaturali, erano una specie di toupet o extension che non sarebbero riusciti a ingannare nessuno. Sembrava avere la stessa età di Rados, ma mentre Rados sembrava forte e in salute, lo slovacco sembrava debole e malato.
Si salutarono come vecchi amici, sorridendo, stringendosi le mani e toccandosi le braccia, nonostante il commento di Rados sul non toccare nessuno eccetto sua moglie e le sue amanti. Recitava il ruolo che era necessario recitare. Smisero presto di abbracciarsi, ma il loro affetto, se Victor non fosse stato informato del contrario, gli sarebbe sembrato reale.
«Dov’è tuo fratello?» chiese Rados.
Lo slovacco ridacchiò. «È una storia divertente.»
I due uomini si avvicinarono per conversare, sorridendo e ridendo. Victor riusciva a cogliere solo occasionalmente alcune parti di frasi:
‘...tranciato di netto...’
‘...meglio, ma sai come vanno queste cose...’
‘...non dirlo neanche per scherzo...’
I tre uomini slovacchi aspettavano e osservavano, attenti ma rilassati. Dietro di loro erano parcheggiati due veicoli, lungo lo sterrato. C’erano una Toyota a trazione integrale, nuova e lucente, e un furgone segnato dalle intemperie.
Quando ebbero concluso le loro chiacchiere, Rados fece cenno a Victor e lui si avvicinò, attendendo di essere presentato.
«Ecco,» iniziò Rados «questo è il mio nuovo uomo: Bartha l’ungherese.»
Lo slovacco lo esaminò, apparentemente né colpito né interessato abbastanza da preoccuparsi di chi Victor fosse, ma stando al gioco per assecondare Rados: «Lo hai portato per fargli muovere i primi passi?»
«Qualcosa del genere.»
Lo slovacco disse: «Dimmi, Bartha l’ungherese, cosa ti rende così speciale?»
«Sono capace di strofinarmi lo stomaco e picchiettarmi la testa contemporaneamente.»
Rados rise, ma l’espressione dello slovacco non mutò. Rados fece cenno a Victor di lasciarli, e lui indietreggiò.
Lo slovacco distolse lo sguardo da Victor. «Quante me ne hai portate questa volta?»
«Ne ho portate tre» disse Rados.
«Questa è una bella delusione» disse lo slovacco. «Sono sicuro che la mia caparra fosse per cinque.»
«È vero, era per cinque, ma il nostro commercio al momento è più difficile che mai. Ne ho perse due durante il trasporto, e l’altra sarebbe stata un’offesa offrirtela come parte del pacchetto.»
«Capisco» disse lo slovacco. «Suppongo che tu abbia portato una ricompensa per le due che non riceverò.»
«Terremo conto della caparra, sì.»
«Non è ciò che ho detto. Ne aspettavo cinque e me ne hai portate tre. Ho fatto degli accordi per cinque. Ho fatto delle promesse. Le tue scuse e il rimborso della caparra non basteranno a sistemare la situazione. Non è semplice come rimborsare la mia caparra. Dovrò riscattarmi. Potrò anche non rimetterci subito, ma ci rimetterò più avanti.»
«Cosa suggerisci di fare allora?» chiese Rados.
Lo slovacco disse: «La questione è più che altro, cosa farai tu. Penso che sarebbe ragionevole se tu coprissi i costi a cui andrò incontro. Ho promesso cinque ragazze. Ne consegnerò tre. Suggerisco che tu mi risarcisca il costo di quelle due ragazze, sottraendolo dal prezzo delle tre ragazze che mi hai portato.»
«In altre parole: tu paghi per una ragazza sola.»
Lo slovacco annuì. «Ricevo solo il sessanta percento dell’ordine. In questo modo subirei una perdita.»
«In altre parole: pagherai il venti percento del corrispettivo concordato.»
«Hai infranto l’accordo» disse lo slovacco, il tono educato cominciava a svanire lasciando il posto all’asprezza. «Sei venuto qui con tre ragazze, non cinque, e con delle giustificazioni di cui non mi frega niente. Quando rompo un accordo, ne pago le conseguenze. Ma io non rompo gli accordi. E immagino che d’ora in poi non lo farai nemmeno tu.»
Rados rimase in silenzio a lungo. Lo slovacco attendeva la risposta serenamente, non era né a disagio né nervoso. Sembrava che la paura che Rados suscitava in tutta la malavita di Belgrado non si estendesse alla Slovacchia.
Anche Victor attendeva, ma usava il suo tempo per esaminare gli uomini dello slovacco. I tre uomini sembravano divertiti. Nella sua visione periferica controllò i suoi fianchi. Il variago era immobile con aria impassibile, osservava la discussione senza battere ciglio, mentre Zoca era nervoso.
Quando spostò la sua attenzione di nuovo sugli slovacchi, Victor si accorse che il loro divertimento era pervaso di euforia, gli ricordava la folla al club per combattimenti di Rados, mentre aspettavano la Bestia, sicuri che avrebbe soddisfatto le loro aspettative e avrebbe inflitto al suo nemico il massimo della sofferenza. Gli uomini dello slovacco avevano delle aspettative simili sul loro capo rispetto a questo incontro con Rados.
«Va bene» disse Rados. «E sia il venti percento per tre.»
Lo slovacco annuì, soddisfatto. «Molto bene. Sei un uomo d’affari molto onorevole.»
«Un accordo è un accordo.»
«Si dice così per una ragione» convenne lo slovacco.
«Vero,» cominciò Rados «ma tu non stai mantenendo la tua parte dell’accordo, vero? Io ti ho portato tre donne. Tre su cinque è il sessanta percento. Non il venti. Nemmeno il cinquanta. È il sessanta. Sei. Zero.»
Lo slovacco sospirò, rumorosamente e in modo esplicito, palesemente infastidito. «So contare, Rados. Mi sto stancando.»
Lo slovacco poteva anche essere stanco, ma i suoi uomini si stavano godendo ogni momento. Sapevano da prima che Rados sarebbe stato in svantaggio in questa negoziazione.
«Stiamo facendo uno scambio o no?»
«Sì» disse Rados. «Ma voglio che ti sia chiaro che tu sei quello che sta rompendo l’accordo, non io. Sei tu quello che si sta comportando senza onore qui. Voglio essere assolutamente certo che tu lo sappia.»
Lo slovacco fece una smorfia. «Allora sentiti libero di andartene con il cento percento dell’onore.»
I suoi uomini stavano ridendo. Uno di loro tirava delle pacche sulla schiena dei suoi compagni, soddisfatto di come il capo stava umiliando Rados.
Rados si grattò il mento. «È proprio come pensavo. Ho sempre saputo ciò che eri. Ho sempre saputo che eri un verme. Quindi, facciamola finita con questo dannato scambio.»
C’era solo un modo in cui gli slovacchi potevano aver previsto che l’accordo sarebbe andato così, pensò Victor. Si aspettavano che Rados si sarebbe presentato con tre donne al posto di cinque. Ed era impossibile che lo sapessero... a meno che qualcuno, che disponeva di queste informazioni dall’interno, non li avesse avvertiti in anticipo.
La smorfia dello slovacco si aprì in un sorriso. «Io sarò anche un verme, Rados, ma questo verme ti sta gettando gli avanzi della sua tavola. E i vermi, non dimentichiamolo, si nutrono di sporcizia.»
Victor si voltò e incontrò lo sguardo di Zoca.