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La pallottola colpì Rados sulla parte alta del braccio sinistro, e cadde tra le felci sotto un velo di sangue. Non era un colpo mortale, Victor lo capì intravedendo per una frazione di secondo l’impatto, prima che Rados uscisse dal suo campo visivo.

Victor si alzò, uscendo allo scoperto, per finire il suo bersaglio da un’angolazione migliore. Riusciva a vedere solo l’ondeggiare delle felci nel punto in cui prima si trovava Rados. Il sangue luccicava sul fogliame verde brillante.

Dietro al punto in cui Rados era caduto, arrivarono gli slovacchi.

Non avevano visto Rados cadere, ma l’uomo al comando vide Victor e non esitò. Lo slovacco sparò una raffica che fece a brandelli le foglie vicine. Victor ricambiò il fuoco (un colpo che aveva poche speranze di andare a segno) e corse, perché gli altri ormai lo avevano visto, e le loro pistole si stavano avvicinando.

La canna dell’AK dell’uomo al comando sputava fuoco a intermittenza, in fiotti gialli. Il tiratore urlava mentre inseguiva Victor, il grido di guerra era udibile solo nelle brevi pause tra una fucilata e l’altra.

Victor continuava a correre, preoccupandosi solo di creare distanza per la successiva manciata di secondi. Era in inferiorità, tre armi contro una; i suoi nemici avevano delle armi completamente automatiche mentre la sua era una semiautomatica.

Si girava per rispondere al fuoco in modo impreciso. Non c’era tempo per prendere la mira, ma i suoi nemici non erano del tutto impavidi. Dei colpi nella loro direzione, per quanto imprecisi, li rendevano esitanti, e questo faceva aumentare la distanza tra loro e Victor.

Il suono degli spari gli riempiva le orecchie. La fitta chioma degli alberi sovrastante incrementava il boato degli AK, trasformandolo in un frastuono assordante. Se fosse sopravvissuto, le orecchie gli sarebbero fischiate per giorni. Continuò a spostarsi, schivando e muovendosi a zig zag, sentendo i colpi sfrecciare e schiantarsi intorno a lui, scricchiolando attraverso il fogliame o conficcandosi con un tonfo nei robusti tronchi degli alberi.

Non poteva correre in eterno. Poteva seminarli, ma poi cosa avrebbe fatto? Rados era dietro di lui, vivo ma solo e ferito. Victor non avrebbe mai avuto un’occasione migliore di portare a termine il lavoro. Se avesse indugiato, sarebbero arrivati i variaghi.

Gli AK smisero di fare fuoco.

Aveva creato una distanza sufficiente da scomparire nella foschia. Si posizionò dietro a un albero per essere sicuro di non essere visto, e rimosse il mirino dal Dragunov. Era inutile per combattimenti corpo a corpo, anche se azzerato adeguatamente.

Respirò lentamente e regolarmente per controllare il battito del cuore, aumentato a causa dello sforzo. Notò una piccola sbavatura di sangue sui pantaloni, e si rese conto che la ferita da taglio sulla coscia si era leggermente riaperta per la corsa estenuante. Attese. Non riusciva a vederli, ma sapeva che stavano arrivando. Lo stavano rincorrendo, abbattendo le felci, con noncuranza, perché erano aggressori, pieni di adrenalina, sete di sangue e sicurezza nella loro superiorità numerica, e consideravano lui come una vittima che scappava per salvarsi la pelle.

Li sentì rallentare mentre si avvicinavano alla sua posizione, rendendosi conto che avrebbero dovuto vederlo correre davanti a loro, e se non stava correndo allora probabilmente si stava nascondendo. Si scambiarono alcune parole e si separarono per coprire più zone.

Uno di loro entrò nella sua visione periferica a circa trenta metri sulla sua destra. Era troppo lontano per affrontarlo, quindi Victor attese.

Un altro tiratore si avvicinò furtivamente.

Victor attese un istante e gli scivolò alle spalle. Cinque passi rapidi, il rumore smorzato dai movimenti dell’uomo stesso, e Victor gli fu abbastanza vicino da circondare con il suo braccio destro il braccio destro dell’uomo, tirandolo e bloccandolo dietro la sua schiena con l’AK puntato verso il terreno della foresta, mentre Victor gli avvolgeva il braccio sinistro intorno alla gola per esercitare una stretta soffocante.

L’uomo annaspò e lottò, ma un calcio dietro alle ginocchia gli fece perdere il sostegno delle gambe, aumentando la pressione sulla carotide. Si accasciò molto prima di riuscire a raggiungere con il braccio libero gli occhi di Victor.

Mantenne la stretta con il braccio sinistro mentre ispezionava l’area circostante, con la pistola di nuovo sollevata, ora che non aveva più bisogno del braccio destro per bloccare l’uomo. Vide un’ombra, si voltò e si girò usando l’uomo incosciente come scudo, mentre...

Il terzo uomo apparve, uscendo fuori dagli alberi.

Victor sparò per primo, il proiettile colpì l’uomo alla gola, ma mentre cadeva rispose al fuoco. Lo scudo umano di Victor si prese una raffica di colpi nel petto, ma le grosse pallottole da 7,62 mm erano progettate per roteare nel momento esatto in cui fuoriuscivano dalla canna, per poi continuare il movimento dentro il corpo umano, in modo da creare un esteso trauma interno. Pertanto, non uscirono dalla schiena dell’uomo come sarebbe successo con dei proiettili tradizionali ad alta velocità.

Lo scudo umano, colpito numerose volte, sobbalzò e continuò a muoversi a scatti, il suo AK, in modalità automatica, continuò a sparare nel fango, mentre il suo sistema nervoso centrale morente gli causava degli spasmi muscolari.

Victor lasciò andare l’uomo-quasi-cadavere, perché l’altro uomo a trenta metri di distanza si stava unendo allo scontro a fuoco, sparando mentre si avvicinava correndo. Victor fece cadere il Dragunov e sollevò l’AK del suo scudo umano.

Sparò una raffica incontrollata (non c’era tempo per adottare una linea di fuoco adeguata) che andò a vuoto, ma passò abbastanza vicino allo slovacco in corsa, da fargli cambiare idea e cercare riparo.

Victor sparò di nuovo, l’AK era a corto di proiettili dopo gli spasmi muscolari, quindi cercò un caricatore di riserva nella giacca del cadavere ai suoi piedi. Niente. L’uomo doveva aver utilizzato il resto delle sue munizioni dando la caccia a Rados.

Tirò fuori il caricatore e vide che gli rimanevano nove colpi. Rimise il selettore in modalità colpo singolo, e diede un’occhiata fuori dal suo riparo. Le felci ondeggianti gli dicevano che il tiratore aveva cambiato posizione. Aveva imparato dalla morte di due dei suoi compagni che il suo nemico non era una vittima facile.

Victor non poteva né vederlo né sentirlo, ma si spostò in cerca di altre munizioni, verso il punto in cui l’uomo a cui aveva sparato al collo giaceva sul terreno in preda alle convulsioni. I suoi occhi erano aperti e lo fissavano. Le sue labbra tremavano per via di qualche attività post mortem del sistema nervoso, continuando a rispondere ai segnali che erano stati inviati mentre c’era ancora un cervello funzionante dentro al cranio.

Appena sentì un rumore alle sue spalle, Victor si buttò su un lato, tuffandosi nella boscaglia, nel frattempo una pistola sparava e i proiettili fendevano l’aria nel punto in cui poco prima si trovava la sua testa.

Il quarto tiratore, quello che aveva inseguito Zoca, aveva cambiato le sue priorità.

Victor sparò un colpo alla nuova minaccia, mirando attraverso la foschia e la boscaglia, ma non aveva modo di vedere se il proiettile avesse centrato il suo obiettivo. Il fuoco di rimando gli diede la risposta, la bocca del fucile lampeggiò, i proiettili superarono di molto la sua posizione, l’uomo era un tiratore scadente, anche senza la foschia e la visibilità limitata. Victor regolò la sua mira e sparò di nuovo. Non riuscì a vedere dove la pallottola avesse colpito, ma il tiratore sobbalzò e ricadde sulle ginocchia. Forse per un colpo di striscio, o forse solo per paura.

Restare lì per scoprirlo avrebbe solo aumentato il rischio di essere fiancheggiato e attaccato alle spalle dallo slovacco, quindi Victor si allontanò velocemente, spostandosi di albero in albero, consapevole che i suoi nemici non avevano delle radio e avevano uno scarso senso tattico, ma potevano comunque intrappolarlo in un fuoco incrociato senza nemmeno provarci.

Sentì un AK47 sparare nella sua direzione, i proiettili lo inseguivano perché il tiratore era inesperto e lo rincorreva sparando colpi anziché mirare in avanti, e poi un secondo fucile: il fiancheggiatore fu richiamato a esporsi.

Victor cambiò direzione, spostandosi sempre rapidamente, consapevole che il quarto uomo era riuscito ad affiancarlo e si sarebbe avvicinato di più ogni secondo che passava, senza sapere che Victor ne aveva uccisi altri due, senza sapere che ora l’aggressore era Victor.

Cambiò posizione mentre il secondo tiratore stava ricaricando, spostandosi in un punto da cui avrebbe potuto fare un’imboscata al nuovo arrivato. Il tempismo era fondamentale. Era impossibile affrontarli contemporaneamente, perché se lui fosse stato intento a occuparsi di uno, l’altro gli avrebbe coperto le spalle.

Victor trovò un raggruppamento di alberi con un piccolo spazio nel mezzo, e si mise in posizione. Mentre i colpi degli AK erano eccellenti per perforare la carne e le ossa, gli spessi tronchi degli alberi intorno a lui gli fornivano una copertura impenetrabile. Ma in una direzione alla volta.

Il nuovo uomo apparì dalla foschia. Era cauto e attento, ma inesperto come gli altri, si muoveva lungo il passaggio senza utilizzarlo come riparo come Victor...

...il quale sparò due colpi che centrarono l’uomo nel petto. Si contorse ma rimase in piedi, quindi Victor gli piazzò un terzo proiettile in fronte. L’uomo ricadde sulle ginocchia, con gli occhi spalancati, e scomparve nella boscaglia.

Victor stava già indietreggiando di spalle, girato dalla parte opposta, in tempo per vedere l’altro tiratore saltare fuori allo scoperto in risposta agli spari.

Spararono contemporaneamente, le bocche dei fucili lampeggiarono, la polvere da sparo e il fumo profumarono l’aria, i colpi affettarono le foglie e frantumarono la corteccia.

Tutti mancarono il bersaglio.

Victor corse perché gli era rimasto l’ultimo proiettile.

Il tiratore perse la visuale e gli spari cessarono, ma solo per un momento. Rincorse Victor, sparando in movimento, la raffica era imprecisa e a lunga distanza. L’uomo correva e sparava con scariche imprevedibili. Era più rischioso essere colpiti di rimbalzo che da un colpo volontario. Victor continuava a spostarsi, senza cercare riparo, perché stava contando le raffiche. Gli AK47 avevano una cadenza di tiro di seicento colpi al minuto, il che equivaleva a poco più di nove al secondo. Il tiratore sparava premendo velocemente il grilletto, raffiche di un quarto di secondo, espellendo tre o quattro colpi alla volta.

Victor smise di correre dopo la settima raffica, voltandosi per vedere il tiratore tirare fuori il caricatore vuoto. I suoi occhi erano sbarrati per il panico, perché era stato colto di sorpresa dal temuto clic dell’uomo morto.

Victor si avvicinò. Il tiratore stava armeggiando con il caricatore nuovo, faticando per estrarlo fuori dalla tasca della giacca, e inserirlo nell’arma. La sua adrenalina era alle stelle, il suo battito era probabilmente al novanta percento dei limiti massimi, la coordinazione ostacolata, non abituato a ricaricare quando la sua vita dipendeva da quello.

Victor attese fino a quando l’uomo ebbe inserito il caricatore nel fucile e la culatta fu chiusa con un colpo, prima di sparagli in faccia con il suo ultimo proiettile. Prese il caricatore e caricò il fucile dell’uomo.

Con un’arma completamente carica, Victor si affrettò attraverso la foresta per raggiungere il punto in cui era caduto Rados.

Trovò le foglie di felce intrise di sangue scintillante, ma nessuna traccia di Rados. Con l’AK sollevato osservando attraverso il mirino di ferro, Victor si incamminò nella foresta, spostandosi di albero in albero mentre si avvicinava allo sterrato, seguendo il percorso segnato dai rami piegati, dal fogliame schiacciato e dalle gocce di sangue occasionali.

Sentì, e poi vide, Rados che si teneva stretta la spalla sanguinante, ferito ma vivo e in salvo, protetto dalla seconda Range Rover dei variaghi, arrivati per rispondere allo scontro a fuoco. Anche Zoca era ritornato. Le donne non c’erano. Avevano approfittato del caos per fuggire.

Victor ponderò per un istante, poi abbassò il fucile.

I variaghi di Rados erano a un livello superiore rispetto agli slovacchi. Non aveva intenzione di affrontarne un intero gruppo in uno scontro a fuoco solo per portare a termine il lavoro.

Mise piede sullo sterrato.

«Sei vivo» disse Rados quando vide Victor.

Lui annuì in risposta.

«Gli slovacchi?» chiese Rados.

Victor scosse la testa.

Rados sorrise. «È un peccato che tu non abbia risparmiato quello che mi ha sparato.» Fece una smorfia, togliendo la mano dalla ferita. «È passato da parte a parte, ma diciamo pure che dolore è una parola miserevolmente insufficiente.»

«Sarebbe potuta andare molto peggio» disse Victor, pensando che un colpo otto centimetri più in basso sarebbe stato sufficiente per perforare un polmone e rompere i vasi sanguigni principali.

«Questi erano dei principianti» concordò Rados. «Fortunatamente.»

«Ma sarebbe stato molto più facile,» disse Victor al quartiermastro «se mi avessi dato un’arma funzionante.»

Rados rise. «Penso che tu te la sia proprio guadagnata. Ma ci sarà tempo più tardi per un rapporto post operazione. Ora dobbiamo andarcene.»