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Per quasi un minuto Rados tenne ferma la pistola, mirando alla faccia di Victor, il suo indice stretto intorno al grilletto, teso, esercitando pressione, ma probabilmente due dei tre chili necessari. Victor non sapeva se il serbo stesse mettendo alla prova la sua determinazione o la sua pazienza, ma sapeva che doveva mantenere entrambe.

«Qual è la tua formazione?» chiese Rados.

«Ho lavorato a Minsk e a Londra negli ultimi anni» rispose Victor.

«Per chi?»

«Danil Pentrenko a Minsk e Andrei Linnekin a Londra.»

«Non conosco Linnekin, ma il nome Pentrenko mi è familiare. Gli piaceva farsi chiamare il re di Minsk. Le nostre strade si sono incrociate un paio di volte. Ma non da quando è scomparso qualche anno fa.»

«Quello è stato il momento in cui ho smesso di lavorare per lui.»

«E prima? Non hai sempre lavorato per criminali.»

«Ero nelle forze armate» disse Victor.

«Lo avevo capito dalla tua postura. Forze speciali?»

Victor annuì. «Durante una parte del mio servizio, sì.»

«E in quale unità di preciso? Spetsnaz? SEALS? GIGN? GSG9? SAS

«Conosce bene i suoi berretti.»

Rados alzò le spalle, ma la pistola rimase immobile. «Quale?»

«Lo tengo per me» rispose Victor.

«I soldati sono per il campo di battaglia, ma questa è la civiltà. O perlomeno un affresco di civiltà. Il tuo sergente istruttore non ti ha insegnato come guardare una stanza e dove posizionarti per avere le mie guardie nella tua visione periferica.»

Victor rimase in silenzio.

«Quindi...» cominciò Rados, riflettendo. «Sei stato assegnato a un’agenzia di intelligence mentre eri nelle forze speciali, oppure è dove sei finito dopo aver lasciato le forze armate. Prima che iniziassi a lavorare per conto tuo, intendo. Quale delle due?»

«Forse entrambe.»

«Vorrei sapere di quale unità stiamo parlando. Vorrei sapere per conto di chi hai fatto la spia.»

«Lo tengo per me, se non le dispiace.»

«Perché non sei ungherese?» disse Rados.

«Sono qualsiasi cosa dica il mio passaporto.»

«Strano a dirsi, credo che tu sia sincero su questo. Credo che tu sia un licantropo, che cambia la sua forma in base a chiunque debba essere.»

«Qualcosa del genere.»

Rados si avvicinò. «Ti ricordi almeno chi sei veramente?»

«Ricordo un tempo in cui lo ricordavo.»

Rados fece una smorfia e abbassò la Beretta. La appoggiò sul tavolo da lavoro, e rimase per qualche istante fermo e in silenzio. La sua mascella era rigida, le labbra serrate. Il suo sguardo bruciava dentro quello di Victor.

«Il tuo serbo è eccellente. Dove lo hai imparato?»

«Ho lavorato con un bel po’ di serbi in passato.»

Le labbra di Rados si contrassero per un secondo. «Durante la guerra?»

«Non ho detto questo.»

«Ma non lo stai neanche negando.»

«Sono bravo con le lingue. Non mi ci vuole molto per impararne una. Sapevo parlarne tre prima di mettere piede in un’aula scolastica.»

«Che lingue erano?»

Victor non rispose.

«Tu vuoi che io ti assuma senza conoscerti» disse Rados.

«L’unica persona che possiamo sempre conoscere veramente siamo noi stessi» disse Victor. «Per tutti gli altri possiamo recitare un ruolo. Io perlomeno sono onesto riguardo al mio travestimento.»

«Alcune messe in scena sono più facili da riconoscere rispetto ad altre.»

Victor rimase in silenzio.

«Anche io un tempo ero un guerriero. Probabilmente non lo diresti guardandomi ora, ma ero temibile. Mai il più grosso o il più forte, ma la potenza di un guerriero non deriva dai suoi muscoli, bensì dalla sua mente. La volontà di vincere e il coraggio di ingoiare la paura sono le due armi più importanti. Diversamente da te, un mercenario, io ho combattuto per una causa. E sì, ho saccheggiato e guadagnato la gloria, ma sono andato in battaglia per proteggere la mia gente. Hai mai fatto una cosa simile?»

«No» rispose Victor, con la voce più neutra di cui fu capace.

«Quindi non conosci la schiettezza di un combattimento valoroso. Non puoi comprendere la forza che ottieni dall’assoluta consapevolezza che tu sei puro e il tuo nemico è macchiato.»

«Napoleone diceva che Dio combatte insieme a chi possiede l’artiglieria migliore.»

Rados rise. «Mi piace quella citazione, ma Napoleone era uno stupido, inebriato dalla sua stessa percezione di invincibilità. Avrebbe potuto comandare il mondo se avesse conosciuto l’umiltà.»

«Lei è umile?»

Il serbo ci pensò su. «Non mi interessa comandare il mondo.»

«Solo questo angolo?»

Rados fece una smorfia ma non rispose. Invece disse: «La debolezza attira solo l’ostilità dai forti e la compassione dai deboli.»

«Non so cosa stia cercando di dirmi.»

«Lo capirai» disse Rados con sicurezza. «Lo capirai.»

«Il mio tempo è prezioso, signor Rados, quindi se ha solo intenzione di chiacchierare temo di dover andare.»

«Puoi andartene quando lo dico io, non prima.»

Nella sua visione periferica, Victor notò che le due guardie, che si erano rilassate e persino annoiate durante la conversazione, si erano ora rimesse in posizione. Avevano riconosciuto il tono di voce del loro capo.

Rados fissò Victor. Victor lo lasciò fare.

«Okay» disse il serbo qualche momento dopo. «Posso effettivamente usare un uomo come te nella mia organizzazione. Sono un imperatore circondato da barbari, quindi forse è tempo di cambiare.»

Victor rimase in silenzio.

«Se ti assumo, sarà a titolo sperimentale.»

«Naturalmente.»

«Ti metterò alla prova.»

«Ovviamente mi metterà alla prova.»

«Se fallirai...»

«Non fallirò.»

Rados infilò una mano nella tasca della sua giacca. Victor non reagì perché il serbo aveva una pistola a portata di mano sul tavolo; non c’era alcun bisogno di tirar fuori un’altra arma. Rados fece cadere una fascetta di banconote vicino alla Beretta.

«Tuoi» disse Rados. «Vedilo come un anticipo.»

«Quindi mi sta assumendo.»

«Sono disponibile a offrirti un periodo di prova, sì. I soldi sono un atto di fiducia. Un assaggio dei futuri banchetti... a condizione che dimostri di essere all’altezza. Prendili.»

Victor si avvicinò al tavolo, fingendo di non aver notato la circospezione nello sguardo di Rados. Victor allungò una mano verso il denaro e la pistola scintillante che si trovava accanto, si immaginò di afferrare l’arma all’ultimo momento e sparare. Non a Rados, ma ai suoi due uomini, uccidendoli con due colpi ravvicinati. Per primo l’uomo alla sua sinistra, perché Victor non si sarebbe dovuto voltare per affrontarlo: sarebbe stato sufficiente allungare il braccio e colpirlo al petto. In seguito, avrebbe inarcato il braccio destro, mentre, ruotando sui fianchi, cambiava posizione per affrontare la guardia sulla destra. Li avrebbe uccisi più velocemente in quell’ordine. E poi avrebbe potuto uccidere Rados a suo piacimento.

Un atto di fiducia.

Guardò Rados che lo osservava, e prese i soldi, lasciando la pistola al suo posto sul tavolo da lavoro.

Victor sapeva riconoscere un test.

Fece scivolare la mazzetta di denaro nella tasca interna della sua giacca. Non li contò, ma erano due o tremila. Un po’ di soldi da spendere gli erano utili, se non altro.

Rados sollevò le sopracciglia, come se si fosse quasi aspettato che Victor prendesse la pistola, ma non c’era alcun accenno di sollievo perché non era stato realmente in pericolo. La pistola era scarica o caricata a salve, Victor ne era certo.

«Mi servirà il tuo numero di telefono» disse Rados.

«Non ho un telefono.»

«Te ne servirà uno se lavorerai per me.» Fece cenno a una delle sue guardie. «Dàgli il tuo telefono.»

La guardia non obiettò. Infilò la mano nella tasca dei suoi pantaloni ed estrasse un vecchio modello di cellulare. Lo diede a Victor.

«Niente smartphone» disse Rados. «Nessuna chiamata personale e nessuna conversazione riguardante gli affari. Solo dettagli: orari, luoghi, ordini. Distruggi il telefono dopo una settimana e ne compri uno nuovo. Capito?»

Victor annuì. «Ho capito.»

Rados si avvicinò e considerò Victor. «Incontriamoci al mio club tra un’ora e potremo discutere come procedere.» Gli fornì l’indirizzo e Victor lo appuntò mentalmente. «Non vedo l’ora di vedere quello che sai fare.»

«Non vedo l’ora di mostrarglielo.»

Rados annuì e Victor lo considerò come segnale per uscire di scena. Una delle guardie lo accompagnò all’uscita del negozio di ricambi.

«Smamma» disse l’uomo.

«Anche per me è stato un piacere conoscerti» disse Victor, e si diresse verso la vecchia BMW parcheggiata presso il concessionario. Hector stava fumando una sigaretta appoggiato al bagagliaio.

«Niente sigaretta elettronica?»

«Ho bisogno di quella vera» disse Hector. «Come è andata?»

«Sono uscito da lì tutto intero.»

Hector annuì. «Capisci perché non potevo dirtelo, vero?»

«Lo capisco» disse Victor. «Ma mi avresti reso le cose più facili se lo avessi fatto.»

Era stato un peccato non essere stato pronto a trarre vantaggio da quell’incontro, ma se Rados lo avesse assunto, allora ci sarebbero state altre migliori occasioni da sfruttare. Avrebbe potuto ottenere dall’interno le preziose informazioni che voleva sull’organizzazione di Rados, e inoltre, durante il processo, conoscere il suo bersaglio più di quanto avrebbe mai potuto sperare.

Hector era nervoso. Aveva legittimamente paura di Rados, ma ora aveva paura anche di Victor. Era in allerta.

«Non sei arrabbiato con me?»

«Io non mi arrabbio» disse Victor.