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Era una sopravvissuta, le aveva detto l’uomo con il completo. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di sopravvivere. Questo è ciò che aveva fatto. Lui la stava aiutando per poter uccidere Rados, niente di più. Dicendo al tedesco del deposito rottami aveva fatto quello che doveva fare. Il tedesco non le aveva fatto del male, non l’aveva minacciata, e allora perché si sentiva in colpa?

Lo sapeva. Avevano un accordo e lei lo aveva infranto. Un momento di debolezza, forse, o era stata forza? Perché ora c’erano due persone che avevano detto che l’avrebbero aiutata. Non sapeva cosa sarebbe successo al deposito (non voleva saperlo) ma non importava chi sarebbe tornato per tirarla fuori da quell’inferno.

A nessuno importava di lei, quindi, di conseguenza, a lei non importava di nessuno.

Doveva essere preparata a entrambe le eventualità, quindi si mise a guardare la pistola. Ai suoi occhi era futuristica, più leggera di quanto credesse, e inutilizzabile.

Una parte di lei si pentiva di ciò che aveva fatto, ma non aveva avuto scelta. Non poteva fare affidamento su nessuno. Lui aveva detto chiaramente che la stava aiutando solo perché lei in cambio aiutasse lui. Non gli doveva niente.

Bussarono educatamente alla porta, interrompendo i suoi pensieri.

Ebbe a malapena il tempo di nascondere la pistola sotto il letto, prima che il politico, Dilas, entrasse sorridendo, perché era di buon umore. Lei ricambiò il sorriso, perché era ciò che aveva imparato a fare. Sembrava sempre contento di vederla, aveva sempre un fare amichevole, ma era uguale a tutti gli altri e lei lo odiava con tutta sé stessa.

«Come stai?» le chiese, e il finto interesse glielo fece odiare più che mai.

«Mi dispiace,» gli rispose «ma devo prepararmi per la festa.»

«Tutto per fare contento l’ungherese. Mi chiedo il perché.»

Lei scrollò le spalle. «Non lo so. Suppongo di piacergli.»

«E perché dovresti piacergli?»

Non sapeva come rispondere. La sua indecisione sembrò contrariarlo.

Si sedette sul letto. «Cosa fai per lui che non fai per me?»

«Niente» rispose prontamente.

Lui annuì come se accettasse la risposta, ma il tamburellare delle sue dita rivelava il suo scontento. «È più alto di me. E più forte. È questo? È questo il motivo?»

Lei si sedette vicino a lui e posò una mano sulla sua coscia. Detestava toccarlo, ma sapeva di doverlo fare. Riusciva a capire che il suo ego era fragile, ma la sua rabbia era forte.

Un vulcano è soltanto una collina prima di eruttare.

«Rados lo ucciderà» disse Dilas.

Lei si irrigidì e lui se ne accorse. Gli piacque.

«Rados non si fida di lui. È curioso nei suoi confronti, tutto qui. Vuole sapere chi è e cosa vuole veramente. Ti ha mai parlato di sé?»

«No,» rispose «non mi dice niente.»

Dilas la osservò, i suoi occhi cercavano in quelli di lei un qualsiasi accenno di menzogna. Impiegò ogni singola goccia di volontà che possedeva per non battere le palpebre. Alla fine, lui distolse lo sguardo, e lei fu libera di cedere.

«Se potessi scegliere,» cominciò Dilas «andresti alla festa come sua accompagnatrice o come la mia?»

«Non posso scegliere.»

«Certo che puoi» insistette, inconsapevole o noncurante della sua situazione reale, o incapace di divincolarsi dalla sua stessa fantasia.

Lei non voleva rispondere. Se avesse detto Dilas aveva paura che lui avrebbe usato la sua influenza su Rados per fare in modo che accadesse. In tal caso, era probabile che non riuscisse mai a fuggire da quel posto. Ma se non gli avesse dato la risposta che voleva, aveva paura di quello che avrebbe potuto fare in quel momento.

«Tu» dovette rispondere.

«Non ti credo. Mi stai dicendo quello che voglio sentirmi dire.»

Sembrava essere più triste che arrabbiato. Non poteva fare a meno di provare compassione per lui, perché si sentiva insignificante, ed era così che si sentiva lei.

«Non dispiacerti per me» le disse, vedendo la sua espressione. Il volume della sua voce aumentò, cogliendola di sorpresa. «Non osare.»

«Okay» disse lei.

Si alzò e si avvicinò alla finestra. Tirò indietro una tenda e appoggiò la fronte sul vetro. Le mani, lungo i fianchi, erano strette in due pugni. Il suo respiro appannava il vetro.

«Mi sei mancata la prima volta che sei andata via» cominciò, quasi affettuoso, ma c’era qualcosa nella sua voce. «Sono contento che tu sia tornata da me.»

Anche lei si alzò. «Devo finire di prepararmi per la festa.»

Lui sospirò, a occhi chiusi, e annuì. «Okay, prendi le tue cose.»

«Stiamo andando adesso? Pensavo fosse più tardi.»

«Puoi prepararti lì. Sarà meglio arrivare in anticipo. Posso mostrarti la proprietà. È molto bella.»

Stava lì, con la schiena rivolta alla finestra, in attesa. Osservando.

La pistola era sotto il letto, incastrata tra il materasso e le doghe in legno. Non c’era modo di recuperarla con lui lì in piedi. Ne aveva bisogno. Se l’uomo con il completo fosse stato quello a tornare dal deposito, doveva averla con sé affinché lui la aiutasse a scappare. Supponendo che lui onorasse la sua parola.

Pensò velocemente e camminò verso la porta.

«Non mi hai sentita? Stiamo andando via adesso, quindi prendi le tue cose» disse Dilas.

«Ti ho sentito. Mi serve la spazzola dal bagno. A meno che tu non voglia che io abbia un aspetto orribile.»

«La prendo io. Tu raccogli le tue cose.»

Lei alzò le spalle. «Se vuoi.»

Attese fin quando Dilas non se ne fu andato e camminò silenziosamente verso la porta per ascoltare, per essere sicura che i suoi passi si stessero allontanando, quindi recuperò la pistola da sotto il letto. La avvolse in un paio di collant e la mise nella borsa.

Quando Dilas tornò disse: «Non c’è nessuna spazzola in bagno.»

«Alla fine, era qui.» Sollevò una borsa per la notte. «Tutto pronto.»

Sospirò, come se per lui fosse stata una grossa seccatura, e le fece cenno di andare avanti. Lo fece, tenendo stretta la borsa, sapendo che se qualcuno avesse guardato al suo interno avrebbe trovato facilmente la pistola e lei sarebbe stata morta poco dopo.

Era l’unica donna del centro massaggi ad andare alla festa. Fu condotta a un veicolo parcheggiato fuori e le venne detto di salire sul sedile del passeggero.

«Dammi la borsa» disse Dilas.

Lei esitò, spaventata; intrappolata tra l’istinto di tenerla stretta per salvarsi la vita e la consapevolezza che nel farlo avrebbe solo destato sospetti. Il cuore le batteva all’impazzata, la consegnò a Dilas, che la scagliò nel bagagliaio.

«Allaccia la cintura» le disse.

Fece come le era stato detto, recitando la parte della prigioniera sottomessa e non quella di una persona determinata a scappare. Qualsiasi cosa fosse necessaria, a qualunque costo.