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Nere nuvole di pioggia nascosero gli ultimi raggi di sole. Nell’oscurità Victor riusciva a vedere gli occhi di Krieger, socchiusi ma fissi. Il tedesco era malconcio, ferito e sanguinante, inzuppato di pioggia, sudore e sporco di fango. I suoi capelli brizzolati erano schiacciati contro il cranio. La sua barbetta era ricoperta di sporcizia. I suoi vestiti erano fradici, macchiati e strappati. Solo i suoi occhi erano intatti. Avevano la stessa implacabile intensità che Victor aveva visto sul treno, quando lo aveva bloccato sotto di lui quasi morente, prima che lo pugnalasse con un coltello dalla punta arrotondata. Quando si era trovato di fronte alla morte certa il tedesco aveva trovato il modo per sopravvivere.
Lo aveva fatto di nuovo un momento prima. Victor avrebbe voluto vomitare dal dolore.
Il tedesco teneva il fucile con una sola mano, perché il braccio sinistro era inutilizzabile e pendeva lungo il suo fianco, il pugno era ricoperto di sangue brillante, che sgocciolava sul terreno a un ritmo regolare, perché l’osso del polso rotto aveva perforato la pelle.
La pioggia incessante lavava via il fango dalla sua faccia, lasciandola scura e rigata. Il petto si sollevava e si abbassava tra i respiri pesanti. Ciononostante, la mano che reggeva il fucile era ferma, e il braccio teso che lo sorreggeva era forte e risoluto.
La sua espressione era neutra, non c’era traccia di paura; combatteva contro il dolore, ma i suoi occhi stavano calcolando.
«Dovresti sapere che la donna armena mi ha aiutato a trovarti» disse Krieger.
«Buon per lei» rispose Victor. «È una sopravvissuta. Ha scelto l’affare migliore.»
«Sono contento che tu la veda in questo modo, ma qualsiasi fosse il tuo accordo non avresti dovuto farla aspettare così a lungo. Non era necessario. È stato crudele.»
«Forse» disse Victor. «Ma la porterò fuori da quel posto non appena me ne andrò da qui.»
«Se» lo corresse Krieger. «Non hai ancora premuto quel grilletto per una ragione.»
«Che ragione sarebbe?»
Victor teneva ferma la sua arma, la volata puntava al petto perché anche da quella breve distanza la pistola dalla canna corta che aveva in mano si sarebbe mossa di almeno cinque centimetri. Come Krieger, era affaticato e ferito. Non poteva sperare che la sua mira fosse perfetta. Se Victor avesse tentato un colpo alla testa, con uno spostamento di cinque centimetri sommato alla sua imprecisione, era più probabile che il proiettile passasse dritto oltre l’orecchio di Krieger anziché andare a segno.
«E tu non hai ancora sparato perché non puoi sperare di sparare accuratamente con un fucile usando una mano sola.»
Il tedesco annuì. «Entrambi abbiamo bisogno di un colpo perfetto al cervello o alla spina dorsale, per essere sicuri che l’altro uomo non risponda al fuoco.»
Victor annuì a sua volta. La sua arma pesava meno di un chilo anche con il caricatore pieno. L’arma di Krieger era molto più pesante. Victor notò che stava iniziando a tremare. Leggermente, ma era solo l’inizio. Krieger aveva solo una mano per reggere un peso più di tre volte superiore a quello che Victor reggeva con due.
«Conosco le statistiche» disse il tedesco. «Due vittime d’arma da fuoco su tre sopravvivono.»
«Esattamente» disse Victor.
«Ma forse la maggior parte dei tiratori sono spaventati oppure non sono molto abili con la propria arma. Io, in ogni caso, sono un tiratore eccellente.»
«Lo sono anche io.»
«Non ho paura» disse Krieger.
«Nemmeno io» ribatté Victor.
«Sei ferito» disse il tedesco.
«Anche tu» rispose Victor.
Rimasero in silenzio per un momento.
«Sì, siamo entrambi degli abili cecchini, ma stanchi e feriti» disse Krieger. «Siamo a una distanza un po’ troppo ravvicinata. Si sta facendo sempre più buio ogni secondo che passa. Le possibilità di fare centro con un solo colpo sono marginali. Con tutte le probabilità, una volta che uno di noi due comincerà a sparare, ci uccideremo entrambi.»
Victor guardò l’arma tremante nella mano del suo nemico.
«Come hai detto un momento fa: sappiamo entrambi come funziona. Ma non dobbiamo farlo per forza. C’è un altro modo.»
«Cosa proponi?» disse Krieger, ripetendo ciò che aveva detto sul treno per San Pietroburgo.
«Facile» rispose Victor. «Abbassiamo le nostre armi.»
«E poi cosa facciamo?» disse Krieger.
«Poi ce ne andiamo, questa volta per sempre. Entrambi lasciamo Belgrado stanotte. Tu non tenterai di portare di nuovo a termine il tuo incarico e io non ti verrò a cercare per eliminare la minaccia. Penso che ormai sappiamo entrambi che questi incontri sono dannosi per la nostra salute.»
Krieger scrollò le spalle e abbozzò un sorriso. Non poteva contraddirlo.
Victor disse: «Io voglio vivere. Sono sicuro che lo vuoi anche tu. Questo dopotutto è un lavoro. Non vale la pena morire per questo, sbaglio? Io non ho niente da guadagnare nell’ucciderti, e tutto da perdere nel provarci. Tu sei in una posizione migliore rispetto alla mia. Tu hai concretamente qualcosa da guadagnare, ma qualsiasi prezzo ci sia sulla mia testa, non vale la pena rischiare, non quando potrebbe costarti la vita.»
L’arma di Krieger ora tremava di più, ma anche il braccio di Victor cominciava a essere stremato nello sforzo di mantenere la mira mentre lottava contro il dolore incessante della coscia.
Il tedesco annuì. «Sai negoziare bene, ma non c’è bisogno di convincermi. Mi ero ripromesso che dopo il nostro primo appuntamento sul treno ci avrei provato di nuovo, ma una volta soltanto. Imparo le mie lezioni. So quando lasciar perdere. Come hai detto: è soltanto un lavoro. Siamo entrambi professionisti. Solo i principianti sono disposti a morire per perseguire un guadagno. Ma oltre a essere professionisti siamo anche gentiluomini, come abbiamo dimostrato in Russia. Come si dice? Lavorare per vivere, non vivere per lavorare. Questi sono affari. Non è niente di personale. Siamo assassini, ma non è tutto ciò che siamo. Possiamo mostrare al prossimo un po’ di umanità, giusto?»
«Sì,» disse Victor «possiamo.»
Victor abbassò la sua arma, centimetro per centimetro, lentamente e cautamente (lo sguardo focalizzato non sugli occhi di Krieger o sul suo fucile, ma sul dito indice del tedesco avvolto intorno al grilletto), fin quando fu in basso, vicino alla coscia, puntata verso il fango freddo.
Krieger manteneva la sua mira tremante con una smorfia, mentre il dolore peggiorava. «Credi nel destino?»
Victor scosse la testa. «Siamo noi a creare il nostro destino.»
«Non sono d’accordo. Penso che le nostre vite siano già delineate per noi. Sono troppo complicate, troppo perfette per essere solo una coincidenza di casualità. Hanno una narrativa incontrovertibile: un inizio, un centro e una fine. Inutile, se non fosse per un proposito. La nascita, la vita e la morte, ordinatamente separate e in successione. Scritte, se vuoi, dalla mano dell’universo stesso. Riceviamo il dono dell’esistenza in tre atti, ma possiamo comprendere soltanto quello centrale. Non possiamo controllare la nostra nascita, e anche se non abbiamo alcun potere su questo primo atto, crediamo di poter manipolare il secondo atto, la nostra vita, per controllare la nostra morte. Non possiamo scegliere nemmeno questo, ed è giusto. Pensiamo di essere il fulmine o il tuono, ma siamo soltanto gocce di pioggia in una tempesta. Ci dimentichiamo che ci è stato ordinato un tempo per vivere e un tempo per morire. Sono stati scelti per noi, solo quando il momento è quello giusto.» Il tedesco fece una pausa. «Ora, per me e per te, non è il momento di morire.»
Mantenne la mira ancora per un momento, ma solo perché quel momento era carico di significato: la sorpresa dell’umanità, trovata tra nemici mortali che pochi istanti prima stavano tentando di uccidersi a vicenda.
Abbassò l’Armalite lungo il fianco, come Victor aveva fatto con la pistola, ma poi Krieger lo lasciò cadere a terra come segno di fede, di comunanza. Sorrise nonostante il dolore, non più da nemico a nemico, e nemmeno da professionista a professionista, ma da fratello a fratello.
Sollevò la mano con uno scatto, sparando una volta in movimento, prima che il suo braccio fosse completamente alzato, e poi di nuovo, una frazione di secondo dopo, alla sua massima estensione. Bam. Bam.
Non tentò un colpo alla testa per le ragioni che avevano discusso. Il primo proiettile colpì Krieger allo sterno, il secondo lo colpì alcuni centimetri più in alto, a sinistra. Nessuno aveva colpito la schiena e reciso la colonna vertebrale. Se Krieger avesse avuto ancora in mano il fucile, avrebbe risposto al fuoco. Ma non aveva alcun fucile.
La faccia del tedesco si contorse in un’espressione di dolore e sorpresa. Barcollò all’indietro di un passo, ma rimase in qualche modo in piedi, attraverso una sorta di forza di volontà finale ribelle, alterata dall’oltraggio, temprata dal tradimento.
«Avevi ragione per metà» concordò Victor, avanzando.
Sparò a Krieger una terza volta: un colpo ben mirato alla testa, e il cadavere del tedesco cadde nel fango a faccia in giù.