lavoro, lavoro: navigo nelle difficili acque del romanzo agognato. Non so in quale porto mi condurrà. Neanche a chi lo scrive un romanzo confessa subito i suoi molti segreti, rivela subito la sua autentica identità. Come un feto privo di lineamenti precisi, all'inizio chiude in sé una miniera di ipotesi: tiene in serbo una miriade di sorprese buone o cattive. E tutto è possibile. Anche il peggio. Però il corpo è già delineato, il cuore batte, i polmoni respirano, le unghie e i capelli crescono, nel volto incerto distingui con chiarezza gli occhi e il naso e la bocca: posso presentartelo. Posso addirittura anticiparti che la storia si svolge nell'arco di tre mesi, novanta giorni che vanno da una domenica di fine ottobre a una domenica di fine gennaio, che s'apre coi cani di Beirut, allegoria ai bordi della cronaca, che prende l'avvio dalla duplice strage, che segue il filo conduttore d'una equazione matematica cioè dell'S = K In W di Boltzmann, e che per svilupparne la trama mi servo dell'amletico scudiero di Ulisse. Quello che cerca la formula della Vita. (L'ho battezzato Angelo, scelta che m'è parsa conforme al suo asettico raziocinio, e del resto a nessuno ho imposto i nomi del divino poema. Nella speranza di evitare che il solito imbecille in agguato mi tacci di presunzione e dileggi la mia fatica, ai capi Achei ho imposto indebiti nomi di uccelli guerreschi oppure nomignoli da caricatura. Agli altri, quel che capitava o mi pareva adatto al personaggio. I personaggi sono immaginari. Lo sono perfino nei casi in cui si ispirano a supposti modelli. Non di rado infatti sfuggo all'esilio delle scartoffie e non osservata osservo. Ascolto, spio, rubo alla realtà. Poi la correggo, la realtà, la reinvento, la ricreo, e con l'amletico scudiero ecco il dispotico generale che crede di poter sconfigger la Morte, ecco il suo disincantato ed estroso consigliere, ecco il suo erudito e bizzarro capo di Stato Maggiore, ecco i suoi ufficiali ora bellicosi e ora mansueti, ecco la moltitudine sfaccettata della sua truppa...»

Oriana Fallaci.

INTERVISTA CON LA STORIA.

Se il naso di Cleopatra fosse stato più corto, l'intera faccia della terra sarebbe cambiata: dice Pascal. E, a parte il paradosso, è lecito pensare che la nostra esistenza sia decisa da pochi: dai buoni o dai cattivi sogni di pochi, dall'iniziativa o

dall'arbitrio di pochi che col potere o la lotta al potere

cambiano il corso delle cose e il destino dei più. Ma

allora come sono quei pochi? Più intelligenti di noi, più forti di noi, più illuminati di noi? Oppure identici a noi, né meglio né peggio di noi, creature qualsiasi che non meritano nemmeno la nostra collera, la nostra ammirazione, la nostra invidia? Ecco la domanda che si pone, all'inizio di questo libro, Oriana Fallaci. E la risposta ce la fornisce attraverso ventisette interviste ormai famose per il loro stile inconfondibile, la loro tecnica irripetibile, l'eco che hanno sollevato e sollevano nei vari paesi. Da Henry Kissinger a Willy Brandt, da Golda Meir a Indirà Gandhi, dall'imperatore d'Etiopia allo scià di Persia, dal generale Giap al palestinese Arafat, da William Colby ad Alvaro Cunhal, da Andreotti a Carrillo, Oriana Fallaci li viviseziona tutti. Anzi, li induce tutti a vivisezionarsi. E senza cautele, senza timidezze, allo stesso tempo senza rinunciare mai alla sua umanità, gli denuda l'anima fino a mostrarceli per quello che sono e non per quello che dicono di essere. E' un libro che fa paura. Non solo perché è così coraggioso, così dissacrante, ma perché ci costringe a meditare con rabbia. Un po' frettolosamente, la Fallaci lo definisce un documento a cavallo tra il giornalismo e la storia. Ma esso è molto di più. E' una condanna spietata del potere, un invito disperato alla disubbidienza, un inno appassionato alla libertà.