piegate, le sue lunghe braccia sempre un po' ciondoloni, i suoi riccioli rossi sempre un po' spettinati, la sua voce stentorea che ora diceva: "Sorry, ho fatto tardi per colpa di Bill. Presto. E' già incominciato?" Nient'altro. Ed ora la spingeva nell'atrio, ora porgeva i biglietti a una maschera vestita di rosso, la guidava lungo un corridoio tappezzato di rosso, la faceva sedere su una poltrona foderata di rosso, mentre l'orchestra suonava e la gente zittiva. "Sei comoda? Vedi bene di qui?" "Comodissima, grazie. Vedo benissimo, grazie.'' "Silenzio, per favore!" "Tutto a posto?" "Sì, Richard. Sono felice." "Silenzio, per favore!" "Ma no! Chiedo se..." "Silenzio, abbiamo detto!" "Cosa chiedevi, Richard?" "Niente, niente." "Ssst!" Il musical si chiamava West Side Story e Richard lo aveva già visto due volte: ma non staccava gli occhi dal palcoscenico. Giovanna lo seguiva senza interesse: ma non muoveva la testa. Entrambi sedevano rigidi, impettiti, timorosi perfino disfiorarsi coi gomiti: quasi che il magico incontro di sei notti addietro non fosse avvenuto ed ora si ritrovassero estranei. L'intervallo giunse come una liberazione. Uscirono insieme agli altri, sul marciapiede, ma Richard si trovò subito circondato di gente e invano Giovanna lo interrogava con gli occhi, le labbra serrate, affinchè riprendesse il discorso interrotto dagli zittii. Frenato dalla paura di dover affrontare la sua nuova battaglia di Gela, protetto da quel rimbalzare di frasi, Richard evitava il suo sguardo e si tuffava in conversazioni, polemiche: "Troppa voce"; "No, poca voce"; "Eccellente il balletto vi pare?" "No, mediocre ". Quando rientrarono

in platea non avevano scambiato tra loro una sola parola e di nuovo sedettero rigidi, impettiti, timorosi perfino di sfiorarsi coi gomiti: lui a pensare che la confessione si presentava assai più difficile di quanto aveva previsto, lei a pensare che far scattare una trappola è cosa da niente ma dopo che fai? Imprevedibilmente, stupidamente, la sua vittoria diventava quella di un soldato che ha fatto prigioniero un nemico ma ora deve portarselo dietro, nutrirlo, subirlo, impedirgli la fuga, correre il rischio di diventare a sua volta suo prigioniero, magari di amarlo. Ad aumentare quel rischio, accadevano cose suggestionanti sul palcoscenico: Maria amava Tony e Tony amava Maria, tra piroette e canzoni non facevano che ripeterselo, ed ora si abbracciavano con trasporto sul letto mettendole addosso la voglia di abbracciare Richard, di ripetere la Cosa. Quando il sipario calò sulla commedia, Giovanna si rivolse decisa a Richard. "Andiamo a casa?" "Ma no! Andiamo a bere qualcosa al Monocle." "Lo conosco di già! Ci sono stata con Bill." "Ah, sì. Me l'ha detto. A proposito: scusami se ti ho fatto aspettare e non son venuto a pigliarti. Bill ha telefonato che voleva vedermi: abita nella Cinquantacinquesima. Mi era più comodo venire in Broadway di lì." "Naturalmente. Cosa voleva?" "Niente. Conosce bene Tallulah Bankhead: mi ha organizzato un reportage su di lei," rispose Richard aggrottando la fronte. Gli sembrava ancora di udire la risata di Bill: "Dunque stasera c'è il match. Ecco uno spettacolo che non vorrei perdermi!" Andarono al Monocle. Giovanna girò lo sguardo scontento nel buio: cercando di abituarvi gli occhi. "Strano, no? C'è sempre buio nei ristoranti e nei caffè di New York. A vederla di fuori questa città è uno sfavillare di luce ma quando sei dentro ci cammini a tentoni come un cieco. Si direbbe che gli americani abbian vergogna di guardarsi in faccia quando son chiusi fra quattro pareti." "Ne hanno, Giò: vergogna e paura. Per questo apprezzano il buio. D'altra parte è romantico, no?" "Certo," disse Giovanna aguzzando gli occhi. Un po' per volta incominciava a vedere: e più vedeva più diventava scontenta. Il pomeriggio in cui era scesa a raggiungere Bill, il Monocle era vuoto: assomigliava a qualsiasi caffè del Village. A quest'ora, invece, vi si muovevano curiose persone: in un angolo, due giovanotti parlavano fitto accarezzandosi le maniche della giacchetta. In un altro, due ragazze in calzoni stavano dicendosi addio: ed una, la più brutta, piangeva; le lacrime cadevano di sotto i suoi occhiali appannati facendo paf! sopra il tavolo. "Non andare via subito, aspetta." "Oh, mi stai infastidendo!" "Ti supplico, tesoro." "E non chiamarmi tesoro!" "Ma cos'ha, lei,