qualcuno lo aveva compresso a quel modo perché in America si comprime tutto: i sentimenti, il coraggio, e la paura. Che Giovanna notasse. In quella scatola dura, dagli spigoli netti a coltello, c'era tutto quello che un tempo era stato automobile: i parafanghi, le ruote, la targa. Forse,, ridotto alle proporzioni di un bambolotto schiacciato, c'era anche il padrone dell'automobile. Giovanna guardò con la fronte aggrottata, un senso di nausea che le serrava la gola. Con ciglia socchiuse cercò fra le lamiere contorte la traccia di un dito, un orecchio, un capello di colui che era stato il padrone dell'automobile e forse si trovava davvero, ridotto alle proporzioni di un bambolotto schiacciato, dentro l'orrendo sarcofago. Gelidamente concluse che aveva fame: lui non ne aveva? Ne aveva anche lui. E così salirono a far colazione nello snack del sedicesimo piano dove Richard spiegò che potevano accedere solo i membri del club. I membri del club potevano anche affittare un Modigliani o un Picasso: e tenerselo in casa fino a trenta giorni. Questo era simpatico in America, vero? Oh, sì. Questo era molto simpatico. Allo snack mangiarono zuppa fredda, carne fredda, patate fredde. Poi Richard le disse che aveva bisogno di aria e scesero a passeggiare per la Quinta Avenue. In silenzio si fermarono dinanzi alle vetrine addobbate, in silenzio si affacciarono sulla pista di ghiaccio del Rockefeller Center e guardarono gli innamorati che pattinavano, i genitori che pattinavano, i bambini che pattinavano: americani felici che, con due coltelli attaccati alle piante dei piedi, trascorrevano in letizia una giornata difficile. Gli americani felici erano vestiti di rosso, di azzurro, di tutti i colori; ed erano belli. Le donne avevano bellissime gambe e gli uomini avevano toraci robusti, i bambini erano biondi. All'angolo con la Quinta Avenue c'era invece un americano infelice, ed era un vecchio che vendeva caldarroste fuori stagione. "Giò, vuoi le caldarroste?" chiese Richard con la premurosa gratitudine di chi è riuscito a spezzare un silenzio. "Sì, caro. Le voglio," rispose Giovanna. E, alzandosi sulla punta dei piedi, lo baciò su una guancia. Sentiva per lui una tenerezza infinita, una infinita pietà. E quel sacchettino di carta, con dieci caldarroste fuori stagione, valeva in quel momento tutti i pugni di Harlem, "Venticinque centesimi, prego," brontolò l'americano infelice. Richard pagò i venticinque centesimi, poi cinse Giovanna col braccio e insieme ripresero a camminare lungo il marciapiede deserto, sotto i grattacieli senza colore. L'autunno incombeva col suo annuncio di freddo e le caldarroste scaldavano come un conforto le dita. Nel momento in cui essa le portava alla bocca, avevano anche un profumo: ed era un profumo di casa. Giovanna pensò che uno dei prossimi giorni avrebbe comunicato a Gomez la sua decisione di restare a New York.

CAPITOLO X.

"Dunque, baby: so che fili in perfetto amore con Dick. Tutta la città ne parla. Sai, New York è così piccola. Era lui il fantasma che avevi perduto?" Giovanna nascose la lettera di Francesco, si appoggiò alla sedia. Poi guardò Gomez che stava in piedi, dinanzi alla sua scrivania, fissandolo dritto negli occhi.

«Sì. Era lui." "L'avrei scommesso: naturalmente. Dick, eh? Uhm! Dick. Buon fotografo. Mah!" "Sei venuto a sconsigliarmi?" chiese Giovanna, aggressiva. "Oh, no! Io ho la stessa teoria di Goethe sugli errori: gli errori di un uomo lo fanno particolarmente amabile. Figuriamoci poi gli errori di una donna. La tua segretaria mi ha detto che desideravi parlarmi." "Infatti. Posso venire nel tuo ufficio?" "Come no? Dal momento che questo ti piace così poco." Passarono nell'ufficio di Gomez. Gomez si buttò su una poltrona, accese un sigaro, e Giovanna si mise a camminare su e giù. "O.K., baby. In cosa posso servirti?" Giovanna si fermò, le mani allacciate dietro la schiena. "Ho deciso di accettare quella proposta e restare in America." "Ah!" Gomez tirò una