che anche le meduse avessero diritto a un po' di corteo prima d'essere sepolte. Poi, mentre il bagnino scavava la fossa, lei stava lì: a guardare ed a farsi domande. Si chiedeva se le meduse soffrissero ad affogare nell'aria: saltare fuori dell'acqua doveva essere per loro come affogare nell'aria. Si chiedeva se le meduse sentissero male quando il bagnino le sciabolava. E un giorno volle provare. Afferrò l'asse, che era pesante, la alzò fin sopra la testa, la vibrò sopra una medusa che dava un ultimo sciaguattare di vita. Ma tutto quello che accadde fu un fiotto d'acqua silenziosa.
CAPITOLO VII.
Due giorni dopo Richard tornò a New York:
la trappola era scattata, sia pure con qualche difetto. Quando la sua sagoma secca apparve tra i passeggeri di San Francisco, un'ombra imponente si mosse e gli andò incontro con familiare lentezza. Era Bill. "Dimenticato qualcosa?" "Perché?" "Partenza improvvisa, ritorno improvviso. Il tuo telegramma è riuscito a stupirmi.", "Niente. Un lavoro.", "E quest'aria affranta?" "Niente. Un lavoro andato a male." Già pentito di avergli mandato quel telegramma, Richard sembrava tutt'altro che disposto a giustificarsi o a parlare. Il suo volto era stanco, le sue palpebre gonfie come quelle di chi non riesce da molte notti a dormire, uscendo dall'aeroporto inciampò. Eppure ostentava un'espressione insolitamente decisa, virile: l'espressione di un uomo che ha deciso d'essere tale e non vuole chiedere aiuto a nessuno. Taceva inducendo a tacere anche Bill. E non ruppe il silenzio nemmeno quando la macchina rossa di Bill imboccò il Queen's tunnel per sbucare in città. Di regola, il tunnel era pericoloso ai suoi nervi. Gli appariva un incubo giallo, senza principio né fine, con un impiccato che lo fissava a intervalli dal muro lucido di mattonelle: così si metteva a parlare, a parlare. Quel giorno invece il tunnel gli apparve per quello che era: un corridoio con un principio e una fine, un poliziotto ogni cento metri per dirigere il traffico. "Ho visto la tua piccola amica italiana," disse Bill, gettandogli un'occhiata inquisitrice. "Ah, sì?" "Le ho chiesto se sapeva dov'eri. Ha risposto di no. Lo sapeva?" "No." "Strana ragazza. A suo modo incantevole. Parla poco ed ha bellissimi occhi. Diventa feroce quando si arrabbia." "Ah, sì?" "Mi ha mandato all'inferno. Mi piacerebbe se uscissimo una sera con lei per ristabilire i rapporti." "O.K." Richard annuì in tono distratto, poi ricadde il silenzio: non interrotto da Bill fino al momento in cui giunsero dinanzi al portone di Richard. "Dunque, Dick. Mi offri un whisky?" "Mi dispiace, Bill. Sono esausto." "Lo vedo, mio caro. Rilassati, ora." Malgrado la faccia infastidita, Bill si mostrava comprensivo, paziente. "Va bene, Bill. Ciao. E grazie d'esser venuto." "Ciao, passo a prenderti verso le sette. Ho preso due posti a teatro per festeggiare il ritorno. Sai, quel musical nuovo: Giamaica. La Horne è eccellente. Montalban mica male." "Mi dispiace, Bill. Stasera ho daffare." "Avanti, Dick. Non ho voglia di vedere Martine." "Ma sì, vai con Martine." "Come vuole, madame." Bill scaricò le valige e le labbra gli tremavano d'ira sotto i baffetti. Mentre apriva lo sportello dell'automobile sembrò sul punto di dire qualcosa. Invece partì senza aggiungere altro. Richard non si girò nemmeno a guardarlo. Si sentiva come un malato che ha voluto fare una partita di boxe ed è caduto al tappeto prima di potersi difendere. La valigia era talmente pesante: come avrebbe fatto a trascinarla per le scale da solo? La trascinò un poco alla volta, ansimando, e dinanzi all'uscio smaltato di verde esitò, aprì con la cautela di un assassino che torna sul luogo del delitto. Poi entrò e sudava talmente che corse nel bagno a lavarsi la faccia. Nel bagno, l'asciugamano che aveva gettato con stizza giaceva ancora per terra. Lo raccolse con dita incerte e si guardò nello specchio. Lo specchio rifletté un volto che dimostrava tutti i suoi trentaquattro anni. Giò gli dette forza, gli impose calma. Quando il telefono squillò, rispose senza precipitarsi.