un chicco d'uva al sole?" Depose con un misterioso sorriso il volume, uscì dal negozio, attraversò la Quinta Avenue, percorse il pezzo di marciapiede, salì al primo piano, entrò senza fare rumore. La porta smaltata di verde era socchiusa e dall'anta scorrevole veniva un sibilo buffo. "Richard!" chiamò. Richard dormiva, coperto di lana, e dalla bocca gli usciva quel sibilo buffo. "Richard!" Richard continuò a dormire: l'azione del sonnifero non era evidentemente passata, doveva averne inghiottito un bel po'. In punta di piedi Giovanna raggiunse il divano, sedette, aspettò. Accese una sigaretta, aspettò. Accese un'altra sigaretta, aspettò. Accese una terza sigaretta, aspettò. Via, aveva aspettato tanto: poteva aspettare un'ora di più. Sbadigliò: non le riusciva più nemmeno aspettare? Un tempo le riusciva aspettare, e anche cose meno importanti: un tranvai che non viene, un'alba che arriverà chissà quando, un fagiolo che spacca la terra per dare alla luce il germoglio. Si agitò. Passava ore e ore, col babbo, ad aspettare che il fagiolo spaccasse la terra e rizzasse la testolina tra la foresta di insalate e di pomodori coltivati per non morire di fame. Strinse le labbra, commossa. Era bello, a quel tempo. Era bello tutto, a quel tempo, anche aspettare un fagiolo. Prima la terra si incrinava, come quando un uovo si rompe per liberare un pulcino, poi si spaccava, si apriva, e il germoglio del fagiolo spuntava come un pulcino dal guscio: non più erba ma creatura. Sorrise. Non sembrava erba davvero, sembrava un serpentello, in cima aveva anche la testolina, nella testolina c'erano gli occhi e la bocca. A un certo punto la testolina vibrava, smarrita, come quella di un bimbo che vuol camminare ma non si regge sui piedi, e allora il babbo infilava dentro la terra una canna sottile sottile, la testolina si appoggiava stanca alla canna, vi si attorcigliava, cominciava a salire, a salire, fino a diventare più alta delle insalate, dei pomodori, di tutto, fino a scoprire dalla cima della sua canna i misteri del grande giardino che era cinto da un muro e al di là del muro chissà cosa c'era, c'era la guerra ma la testolina non lo sapeva, e il babbo diceva vedi, metteva conto aspettare, guarda come trema, respira, forse anche i fagioli hanno un'anima e noi si mangiano, si calpestano, si strappano. Aveva dodici anni, a quel tempo, non conosceva ancora Richard e sapeva aspettare. Sospirò. Dio, che noia. Tese l'orecchio al soffitto cercando il rumore dei passi. Il rumore dei passi non c'era. Florence, evidentemente riscattata dalla rinuncia, stava pregando monsignor Fulton Sheen. Annusò l'aria, si lasciò andare a una smorfia. C'era puzzo di medicina, lì dentro. Le medicine di Mister Babbitt. Girò un'occhiata lenta intorno alla stanza: sul tavolo coperto di fotografie e di fogli, sulle poltrone, sulle tende abbassate. E d'un tratto si sentì soffocare. Dio, com'era diventato piccino, il suo mondo! Quando aveva dodici anni la terra era grande e dalla finestra dei suoi sentimenti poteva osservare un panorama senza confini. Ora invece il suo mondo era una stanza e dalla finestra dei suoi sentimenti riusciva a vedere soltanto Richard, Bill, Florence, se stessa: la trappola in cui era caduta. Ed aveva durato tanta fatica per giungere a questo? Si alzò, decisa. Si avvicinò all'anta scorrevole per chiamare Richard, spiegargli, spiegarsi. Richard continuava a dormire e sulle sopracciglia ricciute stagnava, non più simile a gocce di rugiada, il sudore; il suo corpo disossato ricordava il corpo del vagabondo disteso in mezzo alla Bowery, e faceva pietà. Pietà? Giovanna fissò ancora una volta il suo volto da arcangelo costipato, poi il letto su cui era diventata una donna e, mentre il solito singhiozzo le saliva dal ventre alla gola ma qui si arrestava, fu tentata di scuoterlo: dirgli che era venuta e andava tutto benissimo. Invece si accertò che Richard non l'avesse vista né udita, cautamente tornò verso la porta smaltata di verde e, quando fu sul pianerottolo, se la chiuse piano alle spalle. Fu allora che lui si svegliò, lamentosamente chiamò. «Giò? Giò, sei qui?" Silenzio. "Giò? Giò, sei venuta?" Silenzio. "Mammy! Mammy, sei tu?" Silenzio. Eppure gli era parso di udire un rumore, nel sonno, ed ora gli sembrava di sentire anche un profumo. Con fatica si alzò, barcollando dentro il pigiama raggiunse la porta. La porta era chiusa. Strano, perché? Mammy