qualcuno ammazzandolo. Uscirono. L'orologio di Radio City segnava mezzanotte e mezzo. Un silenzio pericoloso tornava a lievitare le cose, la loro inquietudine, l'intera città. Entrambi sapevano che avrebbero dovuto salutarsi perché era tardi, perché erano stanchi, perché non avevano più dodici anni e vent'anni ma ventisei anni e

trentaquattr'anni. Invece: "Hai sonno, Giò?" "No, non ho sonno." "Ti... ti piacerebbe andare in un altro posto?" "Sì. Voglio andare in un altro posto." E commisero l'ultimo errore. L'ultimo errore si chiamava Palladium, una pista da ballo pei negri. I negri sedevano sul pavimento e segnavano il tempo con le palme rosa. Il tempo era quello che dava un tamburo e il tamburo era enorme, anche il negro che lo suonava era enorme. Aveva enormi piedi ed enormi polpacci, enorme stomaco ed enormi dita con le quali rubava al tamburo un ritmo ossessivo e crudele che i negri chiamavano twist. Più che rubarlo, però, lo inventava, con la pesante superbia di un popolo sano, e presto non gli bastarono più le dita per inventarlo: così cominciò a battere i gomiti, presto non gli bastarono più i gomiti per inventarlo, così cominciò a batter la testa, più forte, sempre più forte, finché molti negri si alzarono e agitando i fianchi, le spalle, le braccia, si gettarono a ballar sulla pista ormai sussultante di inguini, volti contratti, sudore, ed uno gridò "Come, young lady! Come!", gli altri gridarono "Go, young lady! Go!" Erano cento, duecento, trecento, tutti neri ed enormi intorno a lei così piccola e bianca, e segnavano il tempo, ridevano con enormi occhi ed enormi denti, si spostavano a crearle un passaggio: l'eccitazione aumentò. «Vieni, Richard!" "Sei matta!" "Go, young lady! Go!" "Ti prego, Richard!" "Calmati, Giò!" * Come, young lady! Come!" Il negro che l'aveva chiamata per primo avanzava, inesorabile. Il tamburo suonava sempre più forte. Trecento paia di occhi la fissavano, tra divertiti ed offesi. Trecento gole la incitavano, ostili e cordiali. Il negro era ora a due passi, un passo, davanti, la agguantava per le braccia, la tirava. "Non vuoi ballare con un negro, young lady?" Il tamburo suonò meno forte, intorno si fece quasi silenzio. "Non vuoi?" Si alzò. Restò un attimo incerta, frenata dalla paura e il dispetto. Poi di colpo si gettò sulla pista, in quel sussultare di inguini, volti contratti, sudore, e mentre il tamburo riprendeva a suonare più forte, i negri gridavano "Go, young lady, go", e Richard sollevato gridava con loro "Go, Giò! Go!" cominciò ad agitare i fianchi, le spalle. E ballò, ballò, in perfetta sincronia col tamburo, con le palme rosa che segnavano il tempo, gli urli, il dondolare di teste: finché tutto finì in uno strappo glorioso, un ultimo strillo di Richard, e si trovò spettinata, sudata, coi sensi in disordine addosso a un bambino che desiderava, e che ora la conduceva con un taxi verso Washington Square, ora si fermava con lei sotto l'arco di Washington Square, circondato dagli alberi, nero, così strano a New York, imprevedibile, e la guardava come se non ci fosse più nulla da dire. Allora lei disse: "Martine abita qui". Lui disse: "Anch'io abito qui. A tre blocchi*. Lei disse: "Beviamo un whisky?" Lui disse: "Non... non so se ho il ghiaccio". Lei disse: "Sì che ce l'hai". E quasi lo spinse verso la casa a due piani, l'atrio col leone di pietra, la piccola porta smaltata di verde che spalancò. Al di là della porta c'era un corridoio, poi un grande soggiorno con un divano di velluto marrone, due poltrone di velluto marrone, una scrivania piena di fotografie e di macchine fotografiche. Sul lato destro del soggiorno c'erano due porte: quella della cucina e quella della stanza da bagno. Sul lato sinistro c'era un'anta scorrevole dalla quale si intravedeva una stanza da letto: con un letto a due piazze, una libreria, un cassettone. Ai piedi del letto c'era un televisore. Il letto era disfatto. Con mossa maldestra, Richard tirò su lenzuolo e coperta, nascose un paio di calzini tra i libri. "Il whisky è sulla scrivania. Vado a prendere il ghiaccio." Il ghiaccio era in cucina, passando dalla camera alla cucina si tolse la giacca e restò in maniche di camicia. La camicia ciondolava sulle spalle ossute, il torace un po' smilzo.