spaventata: e nello stesso tempo seguiva la musica diffusa dal solito grammofono dei ristoranti. Era una musica dolce, nostalgica: e la commuoveva più dei discorsi di Richard. Odorava di soffitte, di gente che va in bicicletta, di caffè troppo forte dentro tazze troppo piccole, odorava d'Europa. Cos'era? Ah, sì! I love Paris. Tese meglio l'orecchio: "I love Paris in the Springtime, I love Paris in the Fall, I love Paris in the Winter when it freezes, I love Paris in the Summer when it..." Quanto le sarebbe piaciuto, pensò, trovarsi in quel momento a Parigi, star seduta in un bistrò lungo il fiume che non ricorda cadaveri, camminare per strade che non chiudono cadaveri, scendere nella stazione di un metrò il cui soffitto non nasconde cadaveri. La riscosse la voce di lui. "Andiamocene, Giò. Questa lagna mi uccide." Quella sera andarono a sentire canzoni popolari e per tutto il tempo Richard la tenne stretta contro di sé, a mezzanotte le propose di andare a dormire.
All'angolo della strada, sembrò colpito da un'incertezza nuova: la baciò a lungo. "Se non hai ancora sonno... Se vuoi salire un momento..." "No, grazie. Sono stanca e devo dormire," rispose. "Davvero?" "Davvero." "Allora, ciao. Domani sera, purtroppo, non possiamo vederci. Ci vediamo domenica mattina, va bene? Sai, Giò, mi viene in mente una cosa: non ci siamo mai visti di giorno, noi due. Sempre dopo il tramonto. Domenica mattina ci vedremo col sole. Va bene?" Giovanna rispose di sì, entrò in casa sperando di trovare Martine e chiederle se ci capiva qualcosa. Ad esempio: perché Richard s'era messo a parlare di morte dopo il suo tentativo di dirgli: "Io ti desidero"? Perché lei non era salita quando Richard aveva detto finalmente quella frase agognata: "Vuoi salire un momento"? Martine non c'era. Aveva lasciato un biglietto: "Pranzo insieme ad un biondo. Forse non torno. Avverti la cameriera di comprare lo yogurth"; sotto il biglietto c'era una lettera di Francesco. La aprì con dita veloci e la lesse cercando di definire le sensazioni che essa le dava. "Giovanna cara, che dispiacere sentirmi dimenticato da te. Nemmeno un rigo, nemmeno una cartolina: e questa separazione mi è più pesante di quanto credessi. Devo ammetterlo: dal momento in cui mi sveglio al momento in cui mi addormento non faccio che chiedermi come stai, cosa fai, come va il tuo lavoro. Ho saputo dal commendatore (non è un po' triste averlo saputo da lui?) che hai già trovato un'idea pel soggetto: Martine. La notizia mi ha strappato un sorriso: possibile che New York non ti offra di meglio? Certi personaggi da telefoni bianchi mi hanno sempre dato fastidio: nella vita e al cinematografo. Uno si chiede come facciano a campare, se abbiano una rendita fissa. Se fossi in te, sfrutterei solo superficialmente il personaggio di Martine: insisterei di più sull'America. E il personaggio maschile lo hai definito? Ti scrivo in fretta perché sto per partire: vado a Parigi per collaborare a una sceneggiatura. Resterò due settimane. Potrai scrivermi, se vuoi, all'ufficio di Parigi. Ma scriverai? Voglio sapere cosa è successo. Ti abbraccio. Francesco." No, non riusciva a definire nessuna sensazione leggendo questa lettera: solo una vaga invidia perché a quest'ora egli si trovava a Parigi. Di conseguenza, gli avrebbe risposto e confessato la verità. Si chinò sopra un foglio, rispose. "Caro Francesco, mi chiedi cosa è successo e mi conosci come donna leale. E' successo esattamente ciò che temevi: ho ritrovato quel morto. A volte i morti sono più vivi dei vivi: avevi ragione. Inutile spiegarti, perciò, le circostanze incredibili nelle quali l'ho ritrovato. Più ci penso e più mi sento una mosca caduta nella ragnatela, o la pedina di un assurdo gioco di scacchi; condotto da un
Giocatore Invisibile. Richard Baiine non è in alcun modo degno di te: io lo so. Però, e mio malgrado, credo di amarlo. A volte la sola idea di rinunciare a vederlo per una sera mi fa sentir povera. Perdonami, quindi, Francesco: dovevo pur dirtelo e i nostri rapporti non erano tali da darmi il senso di un tradimento. Non eravamo amanti, né coniugi, né fidanzati. Eravamo, siamo ancora lo spero, teneri amici. Ed è al tenero amico che dico: non so, non posso sapere come ciò finirà, quando finirà, se finirà. Ma farò di tutto perché non finisca. Di nuovo