formaggino fresco, zucchero mio; ti adottavano, ti contagiavano, ti ingoiavano: e in un batter di ciglia diventavi uno di loro. Lei non era già uno di loro ora che, ritta dinanzi alla finestra della sua camera al trentesimo piano del Park Sheraton Hotel, le mani nelle tasche del pigiama e un'espressione di trionfo sul volto, si beveva New York col compiacimento di un bimbo che ha scoperto il mare? Giovanna tese l'orecchio verso il rumore delle automobili e delle escavatrici: le parve una musica d'arpa. Annusò l'aria che puzzava di benzina e di polvere: ci trovò un odore di gelsomino. Si staccò fischiettando dalla finestra, offrì il corpo nudo alla doccia, poi all'asciugatore automatico e, mentre l'aria calda investiva i bei seni, i fianchi asciutti, il ricordo di quand'era bambina e le toccava sempre l'asciugamano più umido, la mamma diceva stai zitta c'è chi non ha nemmen quello, pensò: "Sono a casa!" "A casa," ripetè infilando l'accappatoio. "A casa," canterellò esaminando con dita nervose i suoi impegni: ore tredici colazione da Sardi insieme a Martine, ore quindici appuntamento con Gomez, ore diciotto cocktail in suo onore. Sì, la casa non è quella dove ti è capitato di nascere, la casa è quella che scegli quando sei adulto e puoi decidere su ciò che ti piace o ciò che non ti piace, sugli anni che ancora vivrai: ecco quel che avrebbe dovuto dire a Francesco, ecco quel che gli avrebbe detto in risposta. Mise un foglio nella macchina da scrivere, scrisse. "Caro Francesco, i sei giorni son passati e mi duole non poterti dare ragione. E' ben vero, infatti, che il palazzo dell'ONU non regge al confronto con la cattedrale di Reims: ma se Michelangelo capitasse col suo mulo a New York si

congratulerebbe con Le Corbusier; se Leonardo da Vinci salisse sull'ascensore che in tre minuti ti porta al centoduesimo piano dell'Empire State Building, si dorrebbe di non averne depositato il brevetto. Al tramonto, che qui si dipinge di rosa come le dita della signora di cui parla il tuo Omero, i grattacieli sembrano torri di San Gimignano: calcolando che furono costruiti in epoca tanto più bisognosa di funzionalità, mi sembra illecito scandalizzarsi perché non hanno quella inclinazione squisita. New York è un miracolo che mi sorprende ogni giorno di più: quell'americano non aveva mentito. Non si vedono statue, in quest'isola tagliata in rettangoli perpendicolari ed uguali, né cupole, né giardini. Il bosco di cemento si alza, tragico e grigio, senza una curva, una voluta bizzarra, un filo di verde. Ovunque si perde lo sguardo trovi spigoli duri, geometriche scale di ferro, cubi di sasso. Eppure tutto, in quest'assenza di grazia, ha un sapor di magia: dai grattacieli che si irrigidiscono come giganti pietrificati alla paura che ti mozza il respiro quando ti inoltri per strade che non finiscono mai, ma in fondo a ogni strada c'è uno strappo di azzurro che ti libera dalla paura. Col sole, i vetri brillano più dei diamanti. Col buio, bruciano più delle stelle. Le stelle in paragone appassiscono, la luna si spenge, e il cielo è in terra. Vorrei riuscire a dir questo nella storia che scriverò: che, qui, il cielo è in terra. E la gente come me si sente nascere una seconda volta. Quanto agli americani, essi sono ricchi: è ben vero. Non v'è desiderio che si possano impedire, spreco che si possano proibire, fatica che si possano risparmiare. Per i desideri più assurdi i negozi offrono formiche fritte e cannoni in disuso, orchidee e castelli smontati, scarpe di zibellino ed elefanti. Per gli sprechi più inutili i marciapiedi si riempiono di poltrone intatte, materassi senza uno strappo, bistecche appena smozzicate. Per le fatiche meno evitabili, le vetrine ti suggeriscono lettere già scritte, guanciali che ti addormentano, macchine per lavarti: tuttavia il loro cervello non sembra soffrirne. D'altra parte, ho sempre pensato che il cervello sia un muscolo da nutrire come gli altri muscoli e che con la fame funzioni assai meno. Quindi non avere timori per me. Non c'è niente, non c'è nessuno che possa farmi male. Mi sento forte, forte, forte, e non mi manca nulla all'infuori di te. Sai, caro, mi capita spesso di ripensare al modo in cui ti ho voltato le spalle quando mi hai fatto quella domanda: certo che mi riguarda. Tua affezionatissima Giò." Rilesse la lettera complimentandosi per la sua abilità, indossò il