nel suo «meccanismo» tecnico per cercare di capire, anche per lei, il procedimento adottato ma, alla fine, dell'intervistato risulta sempre un personaggio autonomo, resta sempre uno splendido ritratto d'uomo o donna a la page rappresentato e colto nella sua verità interiore e fuori degli usurati cliché correnti. E', anche, che sulla «giornalista» fa di continuo pressione (e non diremo che qualche volta addirittura non prevarichi) la «narratrice»: non intesa nella più convenzionale accezione di personalità dotata di fantasia romanzesca, ma nel senso di personalità applicata a penetrare all'interno dei valori apparenti e volta a scoprire i nodi focali di una figura rappresentativa o i punti nascosti di un caso umano. Di più: nell'incontro con la figura da intervistare, Oriana Fallaci si fa essa stessa, per la prima, personaggio, e ogni volta porta nell'intervista il suo impegno, la sua indomabile curiosità professionale e umana, aggiungerei la sua rabbia, e questo atteggiamento, alla fine, diventa la sinòpia che articola dall'interno i capitoli di ogni suo libro e ad essi conferisce unità. Ma non a caso abbiamo messo prima l'accento sulla parola «narratrice». Si voleva anche suggerire questo: che per una, come la Fallaci, la quale ha fatto ormai la mano a creare quasi settimanalmente certe figure che resteranno tra le cose più pungenti e vere del nostro giornalismo, è stato abbastanza facile - nella misura in cui scrivere un romanzo possa essere un'impresa facile - o diciamo ch'è stato inevitabile (e c'è da rammaricarsi che l'occasione finora non si sia più ripetuta) approdare al romanzo: creare, in altri termini, dei personaggi, tutti di fantasia stavolta, e ritratti con una sorta di bisturi (com'è accaduto appunto in Penelope alla guerra che oggi si ristampa in edizione Bur) che quanto più è implacabile tanto più scopre, improvvisamente, certi inaspettati risvolti umani e persino, sentimentali. Non si fraintenda sul termine. Ma per noi questa vicenda così moderna e spietata e drammatica e, se vogliamo guardarla da un certo angolo visuale un po' particolare, anche così «cinica», ha la sua punta di forza proprio nella carica dei sentimenti, in quella lezione di onestà e di lealtà che vien fuori nel finale e illumina, a rebours, l'intera storia.
E sotto questo aspetto pochi titoli sono così calzanti
come questo di Penelope alla guerra e ci suggeriscono la chiave in cui va letto il romanzo, con quel senso di femminilità e d'aggressività insieme ch'emana dal personaggio principale, e quella mistione di tenero e vorace che durante l'arco della vicenda la Fallaci sa così bene amalgamare in un impasto di situazioni e di scrittura d'una rara capacità di presa sulla realtà. Inviata da un produttore cinematografico per due mesi a New York a familiarizzarsi con l'ambiente dall'interno e cavarne un soggetto per un film, la ragazza Giovanna detta Giò parte con l'euforia di conoscere un mondo diverso dal quale è stata sempre affascinata ma forse, inconsciamente, anche con la speranza di ritrovare Richard, un americano che, militare negli anni di guerra, trovò rifugio nella loro casa scappando da un campo di concentramento, e fece innamorare di sé la ragazzina che lei era allora. E, nonostante abbia occhi lucidi e «virili», il primo impatto con l'America e la sua meccanizzazione sembra combaciare con la nozione che di quel paese Giò un poco ingenuamente si porta dentro, e sul momento non incrina il suo entusiasmo. Ma poi succede - proprio come succede nei romanzi, e nella vita - che Giò ritrovi anche Richard, e che riprenda su altre basi, portandolo sino in fondo, quel lontano legame adolescenziale idealizzato in tutto questo tempo, e allora proprio attraverso l'inibito Richard lo scontro con la realtà si fa aspro e umiliante: e la giovane donna se ne ritorna a Roma, al termine dei due mesi vissuti nella «favolosa» America, portandosi appresso le ferite d'una sconfitta che forse travalicano la sua qualità di donna e sono le ferite d'una creatura umana che ha sperimentato, pagando di persona, più che
l'inconciliabilità di due mondi l'inconciliabilità fra noi e noi stessi. Non vorremmo azzardare ipotesi: ma la ragazza Giò che lasciamo a chiusura di libro potreb-b'essere anche la donna innamorata che, qualche anno dopo, scriverà la Lettera a un bambino mai nato: ha, maturati