a fiutarla. Allora il babbo aveva tirato una pedata nel muso del cane, arrossendo, insieme avevan raggiunto la fermata del tram. Il tram non veniva, la voce del pastore era l'eco di una minaccia. "E il Signore Iddio disse: 'Tu, donna, partorirai con dolore; tu, uomo, lavorerai con sudore'." "Cosa dice, papà?" "Niente, robe sue. Quanti anni hai, Giovanna?" "Dodici, papà." "Hai avuto altre volte questi dolori?" "No, papà." "Speriamo che ci sia a casa la mamma." A casa la mamma non c'era. Il babbo aveva stretto le labbra brontolando che noia, se gli avessero detto che doveva toccare a lui occuparsi di questa faccenda, sarebbe corso alla stazione e fuggito. Poi aveva aperto con gesti goffi l'armadietto della farmacia, le aveva gettato un pacco tutto morbido e bianco, era scappato in cucina a cercare un uovo perché una bambina che cresce deve nutrirsi: lei era rimasta col pacco e una gran voglia di piangere. Ma non aveva pianto, aveva fatto invece le orribili cose che c'erano da fare, presto tornando in cucina dove il babbo aspettava con l'uovo in mano, sgomento. Tenendo l'uovo in mano il babbo le aveva osservato subito gli occhi e siccome non erano rossi aveva esclamato che buffo, tutte le bambine piangono quando succede, lei no: dunque non era diventata una donna, era diventata un ometto. Anche Richard diceva sempre che era un ometto, Francesco diceva invece che era una donna, insomma nessuno sembrava trovarsi d'accordo su questa faccenda: andassero tutti all'inferno. Che le importava dei loro giudizi e di certi ricordi? L'attendeva un autunno felice, stavolta: senza dolori. Sorrise al viaggiatore che continuava a fissarla con golosità. Il viaggiatore era americano e subito volle offrirle un whisky on the rocks raccontandole che tornava a New York dopo due anni di assenza. "Contento, allora!" disse Giovanna. "No," rispose lui, senza esitare. "Perché?" chiese Giovanna. L'americano tacque. "E dove è stato in questi due anni?" "Qua e là, per l'Europa." "E preferisce l'Europa a New York?" "Sì," rispose lui senza esitare. "Io, invece, sono contenta di andare a New York." L'americano tacque. "New York dev'essere molto bella in autunno." L'americano tacque. "Se avessi potuto scegliere, io sarei nata in America anziché in Europa." L'americano tacque. Poi alzò le spalle. "Ogni cosa è fatta di tre punti di vista: il mio, il suo, e la verità. Ancora un whisky?" "Grazie." "Lei è proprio simpatica. Bella e simpatica." "Grazie." Alle dieci di sera l'aereo giunse a New York e, mentre l'americano tirava rassegnati sospiri, Giovanna raggiunse l'edificio su cui sventolava una bandiera piena di stelle. Si sentiva come un apolide ebreo che, giunto alla Terra Promessa, ne bacia le sponde mormorando rapito "Israele!" Era giunta alla Terra Promessa, e: "Dai, Giò!" si ordinò. Giò era il suo nome da quando aveva fatto carriera nel cinema. Giovanna era troppo bonario, banale, così il produttore le aveva proposto di dividerlo in due: o Vanna o Giò. E lei aveva scelto subito Giò: non solo perché era breve, frizzante, le ricordava l'America, ma perché poteva confondersi col nome di un uomo.
CAPITOLO II.
Certo non era facile entrare nella Terra Promessa. Bisognava esibire fogli timbrati, riempire moduli, accettare l'esame di arcangeli travestiti da poliziotti, una rivoltella al posto della spada di fuoco, dimostrare e giurare che non s'era ammalati, né comunisti, né afflitti da vizi come l'omosessualità e l'ateismo, né dalla vergogna che si chiama miseria. Diffidenti gli arcangeli frugavano allora nelle valige, cercavano rose, salami, strumenti del male dove si annidano germi e fillossera: e fintanto questo durava ti sentivi tapino, indegno d'essere ammesso, tremavi all'idea di finire nell'Isola Lunga che è l'umiliante confine di chi è stato respinto, privo di qualsiasi speranza come il Purgatorio per chi aspiri al Paradiso. Ma poi superavi gli esami, malgrado le apparenze gli arcangeli erano innocui, e di colpo ti accettavano, ti salutavano con pesanti manate e dolcissimi nomi, miele,