Capitolo 76
Ducato di Milano, mercoledì 7 novembre 1764.
Otto mesi dopo.
La festa del piccolo Jean-Jacques era stata un successo. Avevano mangiato, bevuto e lui aveva suonato tutto il suo repertorio da bacaro veneziano.
Adesso il piccolo si era ritirato nella sua camera insieme alla madre ed Eliardo era rimasto solo in un salottino rivestito di librerie e dipinti di Bernardo Bellotto.
Sprofondato su una comoda poltrona, con un calice di Cordiale in mano, l’alchimista per una volta non pensava a nulla. Grazie alle numerose proprietà che la contessa aveva acquisito negli anni, non aveva problemi di denaro e per una volta non c’era nessuno alle sue calcagna. La sua vita era finalmente arrivata a una svolta. Era felice. Almeno fino a quel preciso momento.
Qualcuno bussò alla porta ed entrò senza essere invitato a farlo.
«Lucia», la salutò lui. «Va tutto bene?».
La ragazza, scura in volto, portò a favore della luce del fuoco scoppiettante un piccolo baule di legno, con bordi in ottone.
«È appena arrivato questo… l’uomo che l’ha consegnato dice che viene da Venezia».
Eliardo si alzò dalla poltrona e deglutì. «Grazie, Lucia, lascialo sul tavolo e vai pure».
Con riluttanza la ragazza uscì e lo lasciò ancora da solo. Eliardo sistemò il bicchiere sul tavolino e, afferrato un candelabro, lo portò al tavolo. Studiò meglio il baule e notò che era privo di serratura. Titubante, lo aprì e fece balenare la luce delle candele all’interno.
Conteneva una piccola gondola d’avorio e alcune statuine vestite da zaffi. Erano giocattoli, e pensò subito si trattasse di un regalo di compleanno per Jean-Jacques.
Estrasse dal baule gli oggetti e li mise da parte. All’interno c’era anche un incartamento rilegato e sopra una lettera di carta pergamena piegata in due. Il sigillo di ceralacca recava inciso il simbolo del leone alato.
Eliardo la portò a favore di luce e l’aprì. Non era firmata e riportava la data del 12 ottobre. Cominciò a leggere.
Caro alchimista,
non è stato facile rintracciarvi, ma, come voi mi insegnate, i quadri che possediamo dicono molto di noi. Non credo sia stato un caso abbiate nascosto la vostra ipotesi dietro un dipinto raffigurante Milano. E a quel punto grazie alle nostre spie – che, come sapete, sono le migliori al mondo – ho potuto avere informazioni su una famiglia di nobili benestanti appena giunta nel Ducato dalla Liguria.
Innanzitutto, porgete da parte mia gli auguri a vostro figlio. Spero che il mio dono gli arrivi in tempo per i festeggiamenti.
Come seconda cosa devo poi un ringraziamento a voi: siete stato un uomo di parola e grazie al vostro intervento l’amico Lodovico sta lentamente riacquistando la sua salute. Il vostro dono, nel frattempo, ha cominciato a dare i suoi frutti. Sono sicuro che voi e la contessa sareste stupiti nel vedere la serra di Archita che abbiamo realizzato a Pellestrina.
Ma veniamo a noi. A Venezia mi diceste che la conoscenza del futuro rende infelici ed era quella la ragione per la quale vi sareste privato del teorema. Accetto la vostra spiegazione, ma pur non essendo certo di farvi cosa gradita, mi sono pregiato di inviarvi alcune ipotesi che riguardano vostro figlio Jean-Jacques. Secondo i nostri matematici avrà una vita lunga e felice, ma, come tutti noi, si scontrerà con un periodo molto buio di guerre e dominazioni. Stiamo parlando di eventi lontani nel futuro, quasi trenta anni da adesso, con moti rivoluzionari che partendo dalla Francia travolgeranno tutta l’Europa. Jean-Jacques, suo malgrado, avrà – o meglio potrebbe avere – un ruolo in tutto questo: potrebbe essere lui l’artefice di una transizione morbida dal decadente mondo attuale a un’Europa in cui valori universali e naturali quali tolleranza, uguaglianza e libertà siano garantiti per tutti. Questo senza passare da sangue e ghigliottina.
Sapete meglio di me che il futuro non è ancora scritto e quindi c’è tempo per cambiarlo… in meglio. Giudicate voi se leggere le millecinquecento ipotesi che vi allego. Non agire potrebbe significare morte per molti. Sapere e agire, stando a quello che mi diceste, può invece significare essere infelici…
Eliardo poggiò la lettera sulla credenza. In effetti nel baule c’era un incartamento con numerosi fogli. Millecinquecento ipotesi.
Lesse solo le prime, vergate nelle tabelle che ben conosceva. Rivoluzione. Generale. Restaurazione.
Si morsicò le labbra e non ci mise molto a decidere cosa fare.
Prese la lettera, l’appallottolò e la buttò nel camino. Poi avvicinò il baule e, senza leggerli, fece inghiottire i fogli dalla fiamma.
Furono necessari diversi minuti, ma poco prima che finisse di distruggerli udì lo zampettare di Diderot e Voltaire nel salone attiguo. La porta si aprì alle sue spalle.
«Si è appena addormentato», sussurrò Annika. Sorrideva e il suo viso rilassato alla luce danzante delle fiamme vive del camino era ancora più luminoso.
«Cosa stai bruciando?», domandò. Il suo sguardo si depositò sulle tabelle che erano ancora visibili negli incartamenti che l’alchimista stringeva tra le mani. Le parve perfino di riuscire a leggere il nome di Jean-Jacques assieme alla parola “Rivoluzione” e “Luigi XVI”.
Eliardo ignorò la domanda, depositò l’ultimo mucchietto di fogli nel fuoco e poi l’abbracciò. Per un istante, solo uno, fu tentato di dirle la verità. Ma poi, vedendola così felice, decise di non farlo.
“Se esistesse un libro con la storia della tua vita, leggeresti il finale?”, si ripeté.
La risposta era evidentemente “no”.