Capitolo 37

Al Missier Grande della Repubblica di Venezia

Illustrissimo Mattio Mellan

Dal suo fedele servitore, capitano degli zaffi da barca,

Lodovico Van Axel.

Eccellenza, dopo alcuni giorni nello Stato pontificio, dove sono giunto in salute, sono ad aggiornarvi sui primi sviluppi dell’indagine.

I vostri sospetti che vi fosse, nelle vicende riportate dal nostro ambasciatore Giustinian, lo zampino dei noti ricercati si sono rivelati fondati. Subito dopo il mio arrivo, infatti, con l’aiuto delle autorità papali è stata arrestata una nostra vecchia conoscenza: l’alchimista Filippo Salazar, che ricorderà anche con il nome di Eliardo de Broglie.

Da quanto abbiamo potuto appurare, egli aveva intenzione di truffare il Banco del Monte di Pietà, impegnando lingotti di oricalco, spacciati per oro zecchino. Non è ancora chiaro il rapporto che Salazar ha tessuto con l’affare che ha coinvolto il defunto camerlengo. Alcuni testimoni, tuttavia, l’hanno descritto in compagnia della nobildonna Lucia Bianchini, la stessa vista con il cardinale Sciarra. Dalle testimonianze, la giovane somiglierebbe alla nostra Lucia Oldrini e, a riprova di ciò, si dice che fosse accompagnata da un gigante biondo. Non vi nascondo che ritengo si tratti in realtà del servitore Rudolf.

Né la Oldrini né Rudolf sono purtroppo al momento stati rintracciati e, come era prevedibile, l’alchimista nega di avere rapporti con loro.

Per quanto riguarda il motivo principale della mia visita a Roma, a oggi non vi sono notizie certe neppure sulla contessa. L’aspetto positivo, che unisce però de Broglie a Madame d’Aumale, è che abbiamo scoperto un palazzo a piazza Colonna. Al nostro arrivo per una perquisizione non è stato trovato nessuno dei ricercati, ma l’alchimista vi ha trascorso la notte prima del suo arresto; numerosi testimoni hanno riferito che nei giorni precedenti l’edificio era occupato da una certa baronessa d’Acoz, che ci viveva con due levrieri. Viene descritta come una dama austera dagli occhi di ghiaccio, ed evidentemente ho subito pensato che la baronessa fosse in realtà la contessa d’Aumale. Nello stesso palazzo, oltretutto, sono stati visti, più volte, sia la Oldrini sia Rudolf, e la qual cosa rafforzerebbe i miei sospetti.

Sono certo che ora vi state domandando cosa abbiamo intenzione di fare per stanare la contessa, se è vero, come credo, che sia ancora in città. Come vi accennavo, Salazar ha negato ogni rapporto con lei e sostiene di non sapere dove ella si nasconda. È possibile che menta, naturalmente, ma tenderei a pensare che almeno su un aspetto sia sincero: quando è stato arrestato era arrivato da un solo giorno nello Stato pontificio, quindi è possibile non conosca altri nascondigli della contessa al di fuori del palazzo che ha veduto. Dopo una verifica con le autorità papali, abbiamo oltretutto appurato che la baronessa d’Acoz non è proprietaria di alcun immobile in città. Se ha quindi costruito una nuova “serra”, lo ha fatto in una proprietà altrui.

Alla fine di tutto questo c’è, però, una notizia positiva: durante la perquisizione in piazza Colonna, abbiamo potuto parlare con alcuni domestici. Uno in particolare è il cocchiere che conduceva la sua carrozza. Se c’è qualcuno che conosce i suoi spostamenti, è certamente lui…

Il capitano Van Axel interruppe la lettura della missiva che aveva indirizzato a Mellan a Venezia e adocchiò la porta. Qualcuno stava bussando.

Si trovava in un bell’ufficio di rappresentanza al secondo piano di palazzo di Venezia, messo a disposizione dall’ambasciatore Giustinian.

«Avanti», disse, alzandosi in piedi dietro lo scrittorio di radica lucente.

Uno degli zaffi che l’avevano seguito dalla Serenissima entrò, togliendosi il tricorno. «Capitano, il vostro testimone è arrivato. L’abbiamo rifocillato e vi attende nella sala del Pappagallo».

L’uomo che attendeva era il cocchiere della baronessa d’Acoz. Non aveva l’autorità di arrestarlo, quindi aveva deciso di trattarlo come un ospite illustre, nella speranza che rivelasse ciò che sapeva.

«Molto bene». Van Axel afferrò la penna d’oca sullo scrittorio e firmò la lettera. La chiuse, vi colò sopra alcune gocce di ceralacca e poi impresse il simbolo del leone con il suo anello. «Fate spedire questa a Venezia».

Lo zaffo afferrò lo scritto con entrambe le mani e non si mosse.

«Che c’è ancora?», gli domandò Van Axel.

«Eliardo de Broglie, signore. Si rifiuta di mangiare. Continua a ripetere che lui non sa nulla e che si lascerà morire di fame se non lo liberiamo».

A Van Axel sfuggì un sorriso. «Non ce lo vedo proprio l’alchimista a lasciarsi morire di fame». Si sistemò la coda di capelli biondi pettinati all’indietro. «Certo è che ci serve vivo… Vediamo quello che ci racconta il cocchiere e poi decidiamo cosa farne di lui».