Capitolo 51

Chiesa di San Lorenzo in Lucina, rione Pigna. Alcune ore dopo.

Prima mattina.

«Ite, missa est». Da dietro l’altare centrale, il cardinale Aldobrandini di Carpi si fece il segno della croce congedando i fedeli.

«Deo gratias», risposero i presenti, che si alzarono lentamente dagli inginocchiatoi nella navata.

La chiesa di San Lorenzo in Lucina, a metà strada tra le piazze di Spagna e Navona, traboccava di parrocchiani accorsi alla prima messa domenicale. L’aria era gelida e le statue dei santi protettori della chiesa, immobili nelle loro nicchie sotto il soffitto a cassettoni d’oro, sembravano intirizzite nei loro abiti marmorei.

Il cardinal protettore contemplò il lento scorrere dei fedeli che si avviarono all’uscita e poi scese i gradini verso la sagrestia. Stanco ma felice, si tolse i paramenti e li sistemò su una sedia. Sapeva che il rito appena celebrato gli avrebbe dato l’energia per affrontare le prove dell’intera giornata. Era sempre così: la forza che Nostro Signore infondeva in lui era accresciuta quando aveva la possibilità di servirlo da umile pastore. Ecco perché, nonostante le incombenze legate alla sua carica, officiava personalmente, senza mai mancare, la messa della domenica in quella che era stata la sua parrocchia.

Cinse tra le mani il breviario e lo aprì. «Là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra», sussurrò, leggendo Luca 23,33. «Gesù diceva: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno”».

Aldobrandini si voltò verso la porta della sagrestia. Da lì riusciva a vedere bene la pala centrale dell’altare, su cui l’artista Guido Reni aveva dipinto magistralmente quella scena della Passione. Per un istante il cardinale si convinse che le avversità che lo affliggevano in quei giorni fossero un dono di Dio, quasi come la sofferenza inflitta al Cristo.

Nonostante la pessima opinione che i romani avevano di lui, del fatto che lo considerassero alla stregua di un giudeo usuraio, Aldobrandini la pensava diversamente. Aveva dei princìpi, una sua morale, e ancora poteva giovarsi del dono della fede. Certo, a volte era costretto a compiere azioni che gli altri non comprendevano: gli toccava personalmente assecondare la mano di Dio nel conferire la vita con il suo seme o più spesso nel toglierla. Ma era ciò che l’Altissimo aveva pianificato per lui. Né più né meno.

Chiuse il breviario e, mentre rassettava gli abiti da cardinale, qualcuno bussò alla porta, già aperta.

«Eminenza», borbottò una voce cupa. «Vi posso disturbare?».

Aldobrandini voltò appena il capo e inquadrò l’ombra di Ennio Massimo Viviani. Teneva la testa bassa, il frustino in una mano e alcuni fogli di carta pergamena nell’altra.

«Avete trovato la nostra amica?».

Viviani si mordicchiò le labbra, senza rispondere.

Il suo silenzio costrinse il cardinale a poggiare la mozzetta rossa sul tavolo e a girarsi. Studiò il linguaggio corporeo del mercenario e scoppiò in una risata. «Vi è scappata di nuovo?»

«A quanto pare sapeva che stavamo arrivando», precisò Viviani.

«Affermate che c’è una spia?».

Il mercenario sbatté le palpebre, riflettendo bene sulle parole che stava per pronunciare. In molti lo consideravano uno stolto, dedito solo alle armi, all’alcol e alle donnacce. Su qualcuno di quegli aspetti non avevano torto. Ne dimenticavano però altri: a differenza dei comuni birri, lui sapeva leggere. Aveva inoltre una dote ancora più importante: osservava e capiva ciò che vedeva. E lo aveva fatto, senza fermarsi alle apparenze e ponendosi le domande giuste, anche con i fogli che teneva tra le mani.

«Giudicate voi», si limitò a dire, porgendo i manoscritti al cardinale. «Quando siamo arrivati li stavano bruciando, come se non volessero farceli trovare».

Aldobrandini si avvicinò e, senza toccare i fogli, inquadrò alcune tabelle vergate con una grafia obliqua. «Cosa sono?»

«Non posso dirlo con certezza, eminenza, ma alcune didascalie mi hanno colpito». Viviani si batté il frustino sullo stivale, quasi fosse incerto se proseguire. Poi cambiò idea: sfogliò il mucchietto di carte e ne estrasse una. «Qui, ad esempio, mi pare di leggere le iniziali del vostro nome: D.A.d.C.; su quest’altra c’è un riferimento al compianto camerlengo. Qui, forse, ci sono addirittura io: E.M.V.».

«Fatemi vedere». Il cardinale gli strappò i fogli di mano e fece danzare le pupille da una parte all’altra dello scritto. «Ci sono delle date».

«Vanno da dicembre scorso fino a gennaio prossimo. Ho controllato».

Aldobrandini si accarezzò il mento. «G.C.d.S. si reca da Madame B.; G.C.d.S. muore di crepacuore; G.C.d.S. accetta la proposta di D.A.d.C.; G.C.d.S. non accetta la proposta di D.A.d.C.; D.A.d.C. interroga L.V.A.».

«Ve ne sono anche alcune in cui si parla del nostro amico, Er Dalmata». Viviani cercò un altro foglio e lo mostrò al cardinale.

«Il titolo è “Morte di Costante Altieri”». Il mercenario picchiettò sulla parte alta dell’iscrizione. «La data del documento è del giorno precedente al nostro agguato… e sappiamo poi come è andata a finire».

Aldobrandini si tolse gli occhiali. «Altieri non è morto…».

«Appunto».

Pensoso, il cardinale annuì lentamente. «Avete detto che stavano bruciando questi fogli quando siete arrivati? Avete domandato di cosa si trattava e perché li stavano distruggendo?»

«Certo. Il fattore, tale messer Elio, però è stato alquanto reticente. O non sapeva nulla o era stato istruito per non parlare».

«Avete fatto le giuste domande?»

«L’abbiamo strapazzato per bene, se è quello che intendete». Viviani tacque per un istante, cercando di leggere nello sguardo scuro di Aldobrandini un segno di approvazione al suo comportamento. «Come vi ho detto non ha rivelato nulla. E aggiungo che non potrà più rivelare nulla a nessuno».

Il cardinale si fece il segno della croce e si voltò verso il piccolo altare che occupava la parete della sagrestia. Tra i panni ricamati e le colonnine di alabastro troneggiavano due importanti oggetti legati alla vita e alla morte di san Lorenzo: le catene che erano servite a imprigionarlo e la graticola su cui aveva subìto il martirio. Mentre l’immagine di quel messer Elio che moriva sotto le torture di Viviani si sfocava sulle reliquie, altri pensieri gli invasero la mente.

Quell’enigmatica donna aveva convinto Colonna di Sciarra prima che potesse farlo lui. Aveva previsto che sarebbe morto di crepacuore; con il suo energumeno aveva aiutato il bargello a sfuggire al loro agguato; era perfino fuggita prima che i suoi uomini arrivassero alla vigna.

Se due di quelle circostanze potevano essere casuali, la terza cominciava a non esserlo più. La quarta, invece, sollecitava il suo intelletto. Soprattutto se confrontata con i fatti occorsi a Venezia due anni prima: quella donna aveva ereditato importanti beni da patrizi morti poco dopo aver firmato i lasciti a suo favore. Proprio come era accaduto con il camerlengo.

Qualche suo collega cardinale avrebbe probabilmente giurato che dietro quei fatti poteva esserci solo la mano del maligno. Qualcun altro avrebbe certamente additato a una strega o gridato all’eresia, coinvolgendo magari anche il temibile Sant’Uffizio. Non lui però: a dispetto dell’età e dell’abito che indossava, aveva la lucidità di capire che in quella vicenda c’era qualcosa di estremamente più terreno.

Rigirò ancora i fogli tra le mani e tornò a osservarli. In tutti c’era un numero, preceduto dalla parola “ipotesi”. Era come se qualcuno avesse azzardato delle previsioni su fatti che dovevano ancora accadere. Se in un primo momento aveva inquadrato quella donna come la semplice assassina dei suoi benefattori, ora le cose assumevano una luce del tutto differente. Le date, come aveva osservato Viviani, andavano dal 13 dicembre 1762 fino al gennaio del 1764. Undici mesi nel futuro.

«Non ho certezze che la baronessa sia davvero lì». Improvvisamente, le parole che Van Axel aveva pronunciato il giorno prima gli rimbalzarono con prepotenza in mente. Era andato a chiedergli aiuto per stanare la contessa in una vigna e lui gli aveva messo a disposizione Viviani. «Anche perché», aveva confidato il capitano, «con la sua virtù di saper anticipare sempre le nostre mosse potrebbe essere già scappata».

Sulle prime il cardinale non aveva dato peso a quelle parole. «Anticipare sempre le nostre mosse», aveva detto.

Poteva essere una casualità, oppure il veneziano sapeva più di quello che aveva raccontato? Per un istante una delle ipotesi che aveva appena letto gli si parò di nuovo davanti: ipotesi 73567: D.A.d.C. interroga L.V.A.

«Avete con voi i vostri uomini?», domandò Aldobrandini.

«Sì, sono qui». Viviani si avvicinò il frustino alla tempia, come in una specie di saluto militare. «Siamo a disposizione per ciò che comanderete».

«Bene, allora ho una piccola missione per voi».