Capitolo 72

Sestri Levante, Liguria, domenica 1º aprile 1764.

Un mese dopo l’affondamento della galea papale San Pio.

Ai margini della baia del silenzio, rischiarata dalla luce rossastra del tramonto, si era formato un arcobaleno. Le barche dei pescatori erano già state coperte e sistemate sulla spiaggia, e dalle finestre delle case colorate cominciavano ad affacciarsi le luci della sera.

Mattio Mellan smontò da cavallo e proseguì a piedi sulla stradina in salita che costeggiava il mare. Sotto di lui una rupe verdeggiante si tuffava nel piccolo golfo azzurro; alla sua sinistra si ergeva il muro di cinta del convento dei cappuccini di Santa Maria Immacolata.

Raggiunto il grande portone massiccio batté forte con il pugno e aspettò, poi batté di nuovo e aspettò più a lungo. La risposta arrivò dopo numerosi, interminabili istanti: venne ad aprire un frate emaciato dalla pelle rugosa e le labbra screpolate.

«Che Dio sia con voi», lo salutò Mellan.

Il frate lo squadrò diffidente da dietro uno spicchio dell’uscio aperto. «Chi siete?»

«Vengo per conto di un amico», riferì il Missier Grande, cercando di sbirciare oltre la porta socchiusa. Definire Eliardo “un amico” era senz’altro eccessivo, ma se si trovava lì in quel momento il merito era certamente suo.

«Voglio raccontarvi una storia che sono sicuro sarà di vostro interesse», gli aveva sussurrato l’alchimista tre mesi prima, la vigilia di Natale. Si trovavano a Venezia ed Eliardo l’aveva raggiunto nei pressi del ponte di Rialto, mostrandogli una chiave d’ottone. «So con certezza chi ha ferito il vostro amico Van Axel, e vi propongo un affare che darà a voi due vantaggi e a me uno soltanto».

Mellan aveva sollevato gli angoli delle labbra in un sorriso diffidente ed Eliardo aveva proseguito.

«Vi concedo la possibilità di vendicarvi e di mettere al sicuro me e la contessa».

«E perché dovrei farlo?»

«Perché oltre alla vendetta, come vi dicevo, vi offro un secondo vantaggio…».

Nevicava con maggiore insistenza e il Missier Grande aveva spolverato distrattamente i fiocchi di neve dalla parrucca. Ascoltava, ma non era affatto convinto che quel venditore di ciarpame avesse un’offerta degna di quel nome. «E quale sarebbe questo vantaggio?»

«Ciò che la Serenissima desidera dall’ultima volta che ci siamo visti…».

«Il libro del destino?»

«E anche il marchingegno per leggerlo».

Mellan era scoppiato in una risata nervosa. Si era voltato verso il ponte di Rialto, pronto ad andarsene, ma poi aveva cambiato idea, come richiamato indietro da un presentimento. «E perché dovreste offrirmeli?»

«Perché ho imparato sulla mia pelle che conoscere il futuro rende infelici».

Mellan aveva schioccato il palato. Più guardava l’alchimista, più vedeva in lui il piccolo truffatore che aveva imparato a conoscere. C’era qualcosa però, nei suoi occhi, un’ombra che non riusciva a interpretare. «Non ve l’abbiate a male, ma non mi fido di voi. E con tutto il rispetto, non vedo come la chiave che avete in mano dovrebbe convincermi».

«Aiutatemi a eliminare l’uomo che mette in pericolo me e la contessa, e vedrete che questa chiave aprirà la porta giusta».

«Volete che sia io a far uccidere l’uomo che vi minaccia, è questo che mi state chiedendo. Ho capito bene?»

«Non dovete farlo di persona, e non necessariamente per noi…». Eliardo aveva sorriso in modo sfacciato. «La vendetta è un buon carburante per l’anima. L’uomo che vi sto chiedendo di eliminare è lo stesso che ha ferito anche il capitano Van Axel».

Per un istante Mellan era stato tentato di accettare, ma poi aveva ricordato tutti i tiri mancini che l’alchimista gli aveva giocato in passato.

Eliardo aveva capito che la proposta non stava suscitando il giusto interesse e così aveva rilanciato. Aveva infilato la mano nel giustacuore, estratto una piccola scatola di radica e infine l’aveva aperta con deferenza davanti al naso di Mellan. «Ho portato un anticipo per voi», aveva detto, con la voce più solenne e pomposa che era riuscito a esibire. «Se ascoltate cosa ho da proporvi sono sicuro che sarete d’accordo…».

Incredulo, Mellan aveva fissato la piccola pietra adagiata sul raso. Quante peripezie aveva dovuto passare per averla, quanti inganni, quanti morti… e adesso l’Omphalos gli veniva offerto con tale facilità?

Aveva accettato e tre mesi più tardi, dopo essere stato ai patti, stava per incassare la seconda parte del premio. Dopo l’affondamento della galea San Pio nelle acque del Levante non c’erano per fortuna state ricadute sui rapporti tra la Serenissima e il Papato. L’incidente era stato attribuito ai pirati e Venezia ne era uscita pulita. Non tutto era andato secondo i piani, certo… D’altra parte, però, quando il Missier Grande aveva stretto la mano di Eliardo non aveva dovuto fornire alcuna garanzia. E l’alchimista aveva accettato di buon grado.

«Vengo per conto di un amico», comunicò di nuovo Mellan al frate, davanti alla porta del convento. Questa volta gli mostrò la piccola chiave di ottone, che luccicò alla luce di una lampada.

Il frate capì e scostò il pesante battente di quel tanto da lasciar passare il veneziano.

«Fate in fretta, i confratelli sono riuniti per i vespri». Attese che Mellan fosse entrato nell’androne e richiuse il battente alle sue spalle. Stretto nel saio, fece strada zampettando con i sandali nel piccolo chiostro punteggiato di piante di rosmarino e raggiunse una porta.

«Entrate, presto. Le candele sono accanto al crocifisso».

Mellan fissò la serratura della cella e poi la chiave. La inserì nella toppa e, girandola, constatò che si aprì.

Entrò silenziosamente e, accesa una candela, contemplò il grande marchingegno. Un sorriso grande come la luna che si affacciava dalla finestra si disegnò sul suo viso. Eliardo era stato di parola: con quel macchinario fatto di corde, specchi, catene e spolette, avrebbe potuto finalmente leggere Il libro del destino contenuto nell’Omphalos che già possedeva.