Capitolo 39
Giardini del Quirinale, rione Trevi, sabato 12 febbraio 1763.
Prima mattina.
Papa Clemente XIII imboccò di buon passo il pergolato che portava alla montagnola. Si trovava nel Boschetto, una folta area del parco del Quirinale, delimitata da muretti, siepi e fiori. In quel giardino nel giardino, dove regnava un silenzio rotto solo dallo sciabordio delle fontane, riusciva a pensare. Come quella mattina, in cui doveva dirimere – stando alle parole del cardinal protettore del Monte di Pietà – una delicata questione sul futuro dello Stato ecclesiastico.
«È da qualche tempo che rimando questo incontro, cardinale». Senza voltarsi verso il suo ospite, che lo seguiva un passo dietro di lui, il papa giunse le mani dietro la schiena e continuò a camminare. Aveva le spalle coperte da una lunga stola rossa, sotto la quale indossava la veste bianca ricamata di pizzo e la mantellina porpora. Dal copricapo fuoriuscivano ciocche di capelli neri che si infoltivano sulla nuca. «Non è per pigrizia, credetemi, ma è perché l’esperto in queste vicende era il buon Girolamo. Che Dio l’abbia in gloria».
«La sua perdita è stato un brutto colpo per la Curia», commentò Aldobrandini di Carpi. Seguiva lentamente il papa, con una borsa di pelle in mano e una redingote rossa che gli arrivava fino ai piedi. «Ma la questione sta diventando di una certa urgenza».
«Ne avevate già parlato con lui, non è vero? Da quanto so avreste escogitato un modo per far terminare la terribile carestia che affligge il popolo: la povera gente vende campi e vigne a meno di un terzo del loro valore. Le donne cedono tutti i loro ori».
Aldobrandini corrucciò la fronte, ma il papa, che continuava a camminare davanti, non vide la sua espressione. «È così, in effetti, e a causa del Monte dell’Abbondanza giungono in città ancora più bisognosi, dalla Toscana e perfino dal Regno di Napoli. Il grano scarseggia: i francesi non vogliono vendercelo ed Emanuele di Savoia invece ce lo propone al doppio del prezzo dell’anno passato».
Il papa si fermò, ansimando per la salita del vialetto. Si voltò verso il cardinale. «E la vostra soluzione quale sarebbe?».
Aldobrandini, che si era preparato per giorni a quell’incontro, sbatté le palpebre e armeggiò nella borsa. Ne estrasse un foglio di carta pergamena e lo mostrò al papa, inchinando il capo.
Clemente XIII studiò il documento per alcuni istanti.

«So di cosa si tratta. Questa è una cedola».
«Vi dispiace se do un parere anche io?». Una voce squillante e manierosa, proveniente da uno dei verdeggianti viali laterali, costrinse il cardinale ad alzare lo sguardo.
«Santità». Il vescovo di Parma monsignor Camillo Marazzani si avvicinò di buon passo, si inchinò verso il papa e poi salutò il protettore. «Cardinale».
Aldobrandini si adoperò in un sorriso di circostanza, ma era chiaro che la presenza del nuovo venuto, in odore di essere nominato camerlengo, non gli era affatto gradita.
«Se non vi dispiace ho chiesto al vescovo Marazzani di unirsi a noi… Ubi amici, ibidem opes». Il papa ricominciò a camminare sotto la pergola. Era abituato ad affrontare di petto tutte le questioni che la provvidenza gli metteva di fronte. Di solito decideva personalmente, ma aveva l’umiltà di capire quando aveva bisogno di aiuto. «Non sono molto esperto in questioni mercantilistiche: Camillo ci aiuterà a comprendere la strategia che avete in animo di proporci».
Marazzani si inchinò con malagrazia. «Cos’ha questa cedola di diverso rispetto a quelle che circolano già da qualche anno?».
Il cardinal protettore sospirò. La sua speranza era quella di riuscire a parlare con il papa da solo, ma non aveva altra scelta che illustrare il suo piano anche a quell’impiccione di Marazzani. Doveva solo essere convincente.
«Come sapete», cominciò, il tono fintamente cordiale, «parte del problema che ha causato la carestia che affligge i romani è la scarsità d’oro. L’economia si è trasformata, non ci sono più gli schiavi e i servi della gleba che lavoravano per un tozzo di pane. Oggi i beni devono essere pagati in moneta preziosa, che però scarseggia e non è più sufficiente a garantire tutti gli scambi».
Marazzani si mosse dietro al papa, che si era allontanato di qualche passo. Se lo conosceva abbastanza, anche se fingeva di essere distratto stava ascoltando tutto con molta attenzione. «È per questo che da qualche anno è stata regolamentata la libera circolazione delle cedole. Non è così?»
«È così, infatti. Le cedole rappresentano l’oro depositato presso il Banco».
«È vero che per un’oncia d’oro vi sono in circolazione molte più cedole rispetto ai preziosi depositati?».
Aldobrandini avrebbe voluto sbuffare ma non lo fece. Si schiarì invece la voce. «È così che facilitiamo gli scambi».
«Fatemi capire, protettore», tuonò il papa, grattandosi la fronte sotto il copricapo color porpora. «Per uno scudo d’oro che è depositato al Banco, voi emettete dieci cedole da uno scudo? E cosa succederebbe se tutti i dieci possessori della cedola richiedessero l’unico scudo d’oro disponibile?».
Un sorriso beffardo si dipinse sul volto di Aldobrandini. «È improbabile che succeda… ma proprio per questo c’è un limite oltre il quale non ci spingiamo. Non stampiamo mai troppe cedole per limitare i rischi».
«È questo quindi il modo che proponete per far fronte alla crisi? Immettere in città più cedole di quanto oro disponete?»
«Questa è una parte della soluzione, Santità».
Nel frattempo il terzetto raggiunse una piazzetta rettangolare contornata da un boschetto d’alloro. Lì la luce del giorno era più intensa e la vegetazione punteggiata di statue di marmo. Dal mosaico sul pavimento zampillavano schizzi d’acqua che cadendo sulle rocce creavano piccole cascate.
«Posso farvi una domanda?». Marazzani si fece il segno della croce appena fu davanti a un altare con il Cristo in croce. «Le cedole che voi stampate appartengono alla banca, non è così?»
«È così, infatti».
«E per risolvere il problema della carestia, non potrebbe essere il pontefice a emettere direttamente documenti simili?».
Aldobrandini sorrise. Quella domanda era logica e prevedibile. Lo stesso Girolamo Colonna di Sciarra l’aveva posta non molto tempo prima. Ovviamente, si era già preparato l’opportuna risposta. «Certo che potrebbe», assentì, facendo appello alla raffinatezza del suo eloquio. «Ma questo è proprio il problema: una moneta d’oro vale per il metallo prezioso con cui è coniata. Una cedola, invece, è di carta, quindi il valore del materiale è quasi pari a zero. Come sapete la crisi è stata causata in parte dal fatto che i cittadini non avevano risparmi. Se l’oro può essere impegnato, la carta resta sempre carta…».
«Non vi seguo», lo interruppe il papa, che si fermò davanti alla fontana. «State quindi dicendo che è meglio che la carta sia emessa da una banca, piuttosto che dal pontefice?».
Aldobrandini si adoperò in un sorriso falso come quello di un giudice. Era preparato anche a quell’osservazione. «Compito dello Stato dovrebbe essere quello di facilitare il risparmio dei cittadini, per prevenire le crisi… Ma se l’oro non circola perché ce n’è poco, e lo Stato emette carta, l’unica cosa che i cittadini possono fare per risparmiare è mettere questa carta sotto il materasso».
«E quale sarebbe il problema?»
«Il problema è spiegato molto bene dalla scuola fisiocratica francese, e prende il nome di inflazione».
Marazzani fece un cenno con le mani, come per far segno ad Aldobrandini di rallentare. «Inflazione?», ripeté. Più il cardinale parlava, più aveva l’impressione che fosse un venditore ambulante che cercava di convincere un malcapitato compratore. Oltretutto, le parole di Altieri continuavano a perseguitarlo. Qual era il rapporto di Aldobrandini e del suo progetto con la morte del camerlengo? «State parlando dell’aumento dei prezzi? È questa l’inflazione a cui vi riferite?»
«Esattamente, eccellenza». Aldobrandini digrignò i denti. «La storia ci insegna che i prezzi aumentano, come ad esempio accadde dopo la scoperta delle Americhe. Se con dieci giuli oggi compro dieci mele, tra un anno ne comprerò nove. E tra dieci anni i miei dieci giuli non varranno più nulla».
«Sono d’accordo con il vescovo Marazzani», intervenne il papa, che aveva preso ad armeggiare con un cespuglio di rose. «Anche io fatico a seguirvi perché l’argomento è complesso». Inspirò e poi fece ciò che faceva sempre quando aveva bisogno di riflettere: prese tempo. «Vi propongo una pausa: vi va di continuare il discorso davanti a una tazza di cioccolata calda?».