Capitolo 24

Vigna Lanciotti, rione Ripa, Roma, martedì 8 febbraio 1763.

Una settimana dopo.

Costante Altieri non sapeva più a che santo votarsi per far trascorrere il tempo. Ospite da quasi tre settimane nella tenuta della baronessa alle porte della città, aveva ripercorso mentalmente tutta la vicenda almeno mille volte.

Ospite.

Naturalmente aveva riflettuto bene anche su quella parola. Si era chiesto spesso se non sarebbe stato meglio sostituirla con “prigioniero”. A vigilare su di lui, oltre a messer Elio, il fattore che viveva nella casa patronale, c’era anche l’uomo che l’aveva salvato dall’aggressione. Si chiamava Rudolf ed era il gigante biondo con il simbolo dell’aquila che, nel bene o nel male, era stato presente sia alla morte di Della Valle sia a quella del camerlengo.

Ospite o prigioniero, Altieri in ogni caso era stato al gioco. Aveva atteso con pazienza che la baronessa d’Acoz gli spiegasse cosa aveva in mente. E soprattutto perché, per “il suo bene”, era meglio che non si facesse vedere in giro. C’era solo un dettaglio: lei non si era ancora palesata.

Sistemato al primo piano del casale, in un’accogliente camera con il tetto a vista e pareti di sasso, trascorreva il suo tempo ad ascoltare i pettegolezzi dei domestici. La notizia più interessante che aveva appreso riguardava il suo mentore monsignor Camillo Marazzani. Pareva che il vescovo di Parma, che lui aveva contribuito a salvare dai gianseniti, fosse stato scelto come nuovo camerlengo e che fosse da poco giunto in città.

Tolta quella notizia e il passatempo delle ciarle, le giornate si trascinavano stancamente: quando non sapeva cosa fare, Altieri se ne stava affacciato alla finestra a scrutare l’inverno e a riflettere. Negli ultimi giorni la neve si era in parte sciolta, lasciando dietro di sé fanghiglia e sterpaglie. I filari delle vigne erano ordinati ma privi di foglie e dalla parte opposta della tenuta si vedeva un grande edificio, una specie di stalla, forse. Nelle mattinate in cui i vortici di vento scuotevano gli alberi al punto di renderla più visibile, aveva notato un continuo andirivieni di uomini in marsina scura.

Alzò le tende e la fredda luce dell’imbrunire invase la camera. Anche in quel momento, fuori dall’edificio, notò il movimento di una carrozza rossa, bardata d’oro ma senza insegne: chiaramente una vettura a noleggio.

Si decise. «La paura dovrebbe sedere come il guardiano dell’anima, e costringerla alla saggezza», diceva Eschilo. Ma lui non aveva paura e per la saggezza c’era ancora tempo. Oltretutto, se era davvero un ospite, poteva andare dove voleva… o no?

Dalla mensola sul muro afferrò una bottiglietta di profumo in vetro lavorato e se lo spruzzò sugli abiti in gran quantità. Era acqua di colonia di un certo pregio, che avevano lasciato lì per lui. Confidava sul fatto che, sentendo l’odore di gelsomino diffuso nell’ambiente, i padroni di casa avrebbero pensato che si stava dedicando alla pulizia personale. Non era quella la sua intenzione: si infilò una redingote nera dai bottoni argentati, gli stivali e il tricorno, e andò alla porta.

Nel corridoio non c’era nessuno, quindi raggiunse la scala di legno che scricchiolò sotto i suoi piedi mentre scendeva.

La moglie di Elio, che nei giorni precedenti, in spregio della carestia che affamava i romani, gli aveva preparato appetitosi piatti di pasta, armeggiava in cucina. Di spalle. Dietro la sua gonna si nascondeva un marmocchio piagnucoloso, che lo vide. Altieri si immobilizzò e portò l’indice alle labbra, come per ingiungergli di stare zitto. Poi indietreggiò lentamente fino ad arrivare alla porta d’uscita. Appena mise la mano sulla maniglia si accorse però che Rudolf era fuori, seduto sotto il portico. Con una pietra stava limando distrattamente la lama del suo quadrello, ma era chiaro che fosse lì di guardia.

Altieri trasalì. Non era il tipo capace di attendere che gli altri gli dicessero cosa doveva fare.

Stare lontano dalla città per il suo bene? E se invece il suo bene fosse stato cercare di capire di più su tutta quella vicenda? Voleva sapere cosa nascondeva la baronessa, chi erano gli uomini che l’avevano aggredito e scoprire chi aveva ucciso il camerlengo e Della Valle.

Per un istante si ritrovò anche a pensare al grande edificio ai margini della tenuta. Chi erano, per Dio, gli uomini che facevano avanti e indietro? Non certo agricoltori o maniscalchi. Erano ben vestiti e spesso portavano con loro borse di cuoio o pile di carte. Qualcosa gli diceva che avessero a che fare con la baronessa.

Tornò lentamente sui suoi passi. Dalla parte opposta della cucina, sull’altro lato del corridoio, si apriva un salotto arredato con un divano, due poltrone e uno scrittorio. Fece scorrere l’anta e vi si infilò. Il caminetto era acceso e una piacevole luce rossiccia si rifletteva sulla libreria carica di testi di celebri illuministi. La finestra, aveva notato nei giorni precedenti, era affacciata sul lato posteriore della casa. La raggiunse con l’agilità di un gatto e l’aprì lentamente. Fuori, il terreno non era che a poche braccia. Si mise a cavalcioni sul davanzale e saltò di sotto.

Atterrò senza fatica e dopo essersi guardato più volte alle spalle si convinse che nessuno l’aveva veduto. Schiacciò il tricorno sul capo e cominciò a camminare in direzione dei filari della vigna. Era ormai a un centinaio di passi dalla casa quando si sentì chiamare.

«Messer Altieri». La voce non era quella di Rudolf, che però ora, silenzioso, si era parato davanti a lui. Era quella di una donna, con una lieve inflessione francese. Alle sue spalle.

Si voltò.

«Andate da qualche parte?», gli domandò Annika, socchiudendo le labbra in quello che era una specie di sorriso sornione.

Altieri s’irrigidì. Aveva i muscoli tesi e voleva chiaramente resistere alla rabbia per essere stato scoperto. Ecco chi c’era sulla carrozza a noleggio che aveva visto arrivare dalla finestra. «Non mi è consentito, forse, andare dove voglio?».

La contessa annuì. Indossava un cappello di pelliccia della sua collezione e un lungo mantello stretto sul collo, dal quale faceva capolino il piccolo naso affilato, arrossato per il freddo. Accanto a lei, uno a destra e uno a sinistra, due levrieri dal pelo bianco la spalleggiavano guardinghi. «Certo che potete», disse. «Ma se volete restare in vita è meglio per voi che non vi facciate vedere in giro».

«Ancora con questa storia?». Altieri infilò le mani nel cappotto, stizzito. Batté i piedi sul ghiaccio. «Il vostro amico, Rudolf, mi ha salvato. Ve ne sono riconoscente. Però sono passate tre settimane, ormai».

«Siete in pericolo, bargello. Fidatevi di me».

Altieri scosse il capo. «Non sono abituato a prendere ordini. Neppure da una baronessa». Sbuffò, cercando senza riuscirci, di dissimulare un moto d’ira. «Sono in pericolo, dite? Come posso capire chi mi sta alle costole, se non ho la libertà di fare domande in città?»

«Non avete bisogno di fare domande». La baronessa fece un passo verso di lui, le braccia larghe e la postura rassicurante. «Io ho già tutte le risposte di cui necessitate».

«Voi avete le risposte? E pensavate di mettermi a parte della vostra verità, prima o dopo? Se non fossi uscito, avreste parlato con me?»

«Potete non credermi, Costante, ma ciò che sto facendo è per voi. Per il vostro bene».

Altieri non fiatò. A differenza di Lucia che evocava in lui la peccaminosa malizia di una ragazzina, la baronessa era una donna fatta e finita. Era rigida come un manico di scopa, ma tuttavia possedeva un certo fascino. «Va bene. Diciamo che vi credo: vorreste, di grazia, mettermi a conoscenza di ciò che sapete?»

«Venite con me: vi devo prima mostrare una cosa».