Capitolo 60

Contemporaneamente.

Ennio Massimo Viviani vide la scena dal crinale. Dietro di lui la battaglia stava vivendo un momento di stasi. Gli spari si erano fatti più radi e i due schieramenti avevano assunto posizioni difensive. I suoi uomini erano posizionati a triangolo, con al centro la carrozza crivellata di colpi e due avamposti ai lati della torre. I toscani erano invece arroccati nel fortino, con guardie che però fornivano copertura dalle alture.

Uno sparo sibilò lontano e Viviani si acquattò per terra.

Pochi istanti prima aveva adocchiato Altieri mentre tornava in territorio pontificio. Aveva superato la collina ed era sceso da cavallo.

Da quel momento gli eventi erano precipitati, con il bargello che era riuscito a intrappolare il protettore.

«Cardinale, alzate le mani», udì dalla viva voce del capitano Van Axel. Più lo guardava attraverso le sterpaglie paludose, più la rabbia montava. Come diavolo aveva fatto quel gaglioffo a liberarsi e a trovarsi lì in quel momento?

Strisciando nell’erba con la pistola in pugno si avvicinò.

«Mi sembrate affaticato, capitano Van Axel», si prese gioco del veneziano Aldobrandini. Poggiò entrambe le mani sul pomello argenteo del bastone e si passò la lingua sulle labbra. «Vi sentite bene?»

«Starò meglio quando voi sarete tornato al Creatore». Van Axel, febbricitante, tese il braccio e poggiò l’indice fasciato sul grilletto. Osservò il cardinale, quasi fosse indeciso se sparare o risparmiarlo. E quell’incertezza gli fu fatale perché improvvisamente il buio lo avvolse.

Non si accorse di nulla. Non udì lo sparo, non vide l’aggressore. Semplicemente, un istante prima era in piedi con la pistola in pugno e un istante dopo era per terra esanime e avvolto nel silenzio.

Altieri, investito dagli schizzi di sangue del capitano, balzò all’indietro. Van Axel era stato colpito alla testa e si era accasciato al suolo. Mentre agitava la pistola verso i cespugli dai quali era arrivato lo sparo, il bargello riuscì a scorgere l’enorme ferita che si era aperta nel cranio del veneziano. Era morto solo pochi istanti dopo essere intervenuto in suo aiuto. Non lo conosceva, anche se aveva sentito parlare di lui, ma ciononostante gli aveva salvato la vita.

Indietreggiò ancora. Fece alcuni passi tenendo sotto tiro il cardinale e poi girò i tacchi e corse verso i pioppi. Non udì altri spari, segno che l’aggressore era solo uno e stava ricaricando l’arma.

Viviani ripose la polvere da sparo nel bandoliere.

Il bargello era ormai lontano, ma almeno il cardinale Aldobrandini era salvo.

Lo raggiunse nell’esatto istante in cui cinque cavalieri superarono il crinale lanciati al galoppo. Erano i suoi uomini che con colpevole ritardo venivano in aiuto.

«Tu e tu, scortate il cardinale. Portatelo in salvo», decretò. Puntò il naso sulla collina, da dove temeva lo sconfinamento dei toscani. «Voi e madonna Rita, resterete con me».

La vedova, che ancora fissava il corpo di Van Axel riverso sull’erba, si limitò ad alzare il capo. Viviani l’afferrò e la trascinò via.

La contessa d’Aumale era rimasta insieme a Eliardo e Rudolf su un’altura ai margini della battaglia. In sella alle loro cavalcature, lei in posizione d’amazzone, i due uomini con le redini tra le mani, erano appostati all’ombra di una quercia. Erano riusciti a seguire tutte le fasi dell’attacco. Avevano visto, purtroppo, anche la tragica fine di Van Axel, che nonostante fosse dolorante per le torture subite aveva insistito per andare con loro.

Quando il gruppo aveva individuato Aldobrandini alla mercé di Altieri, il veneziano non aveva resistito ed era voluto intervenire. Rudolf l’aveva scortato, ma gli eventi lo avevano colto di sorpresa.

Subito dopo lo sparo che aveva tolto la vita a Van Axel, il gigante si era acquattato nell’erba. E adesso era lì, il moschetto a tracolla e la pistola in pugno, pronto a seguire il cardinale appena si fosse mosso.

Tirando per un braccio madonna Rita, Viviani risalì la collina. «Ho visto come guardavate il bargello. Sono sicuro che se vi vedrà in pericolo correrà in vostro aiuto».

Madonna Rita non ne era affatto convinta e a fatica, trascinando i piedi, riuscì a tenere il passo del mercenario.

La vallata, inondata dei fumi della polvere da sparo, si aprì sotto di loro. Gli spari si erano ridotti a piccole schermaglie e non si vedevano movimenti di soldati. Anche Altieri era scomparso, ma era plausibile che fosse tornato al riparo nelle torri.

Una palla saettò a poca distanza da loro. Viviani fece inginocchiare Rita e scrutò la collina, puntando la sua pistola. I cecchini erano ben mimetizzati, ma facendo spaziare casualmente lo sguardo per cercarli individuò, a ridosso di un grande albero solitario, due figure a cavallo. Erano lontane e bene illuminate dal pallido sole invernale.

Deglutì, incredulo. Uno era quel perdigiorno di de Broglie. Accanto a lui c’era una donna, coperta da un mantello e con i capelli neri raccolti in un’acconciatura da viaggio. Non l’aveva mai incontrata, ma era stato lui a perquisire il palazzo d’Acoz e aveva visto molti quadri che la ritraevano. Non c’erano dubbi, quella era la baronessa, o se si preferiva, la contessa d’Aumale.

Felice per il colpo di fortuna, ripose la pistola nella cintura e lasciò il polso di madonna Rita. Il primo avamposto dei suoi uomini, quello che costituiva il vertice sinistro del triangolo di offesa, era ancora in posizione, a poche decine di passi da lui.

Finse di non aver veduto i due sull’altura e, guardingo, si avvicinò ai suoi uomini.

«Dobbiamo andare, Annika». Il cavallo di Eliardo era irrequieto e l’alchimista faticava a tenerlo mansueto. «Il cardinale ormai è fuggito».

La contessa tenne le sottili labbra serrate. Al di là dei cadaveri nella vallata, il suo pensiero era altrove: a quel Van Axel che l’aveva tanto messa in difficoltà in passato. Sapendo qual era il suo destino, avrebbe dovuto impedirgli di andare dal cardinale. Ma come avrebbe potuto? Era un nobile fiero e sicuro di sé; la sua foga giovanile, insieme alla voglia di vendetta per le torture subite, era stata la causa della sua fine.

«Potrebbero vederci», insistette Eliardo. Ma le parole gli si strozzarono in gola. Era tardi. Gli uomini di Viviani, che fino a quel momento erano rimasti appostati, ora stavano venendo verso di loro. Li avevano già visti.

«Annika, andiamo!», la incitò ancora Eliardo, che aveva fatto girare il cavallo, pronto a scendere a valle. Non poteva certo sperare nell’intervento dei toscani, che con ogni probabilità stavano pregustando la ritirata dei nemici. L’unica scelta era la fuga, e in quell’istante anche Annika sembrò percepirlo.

La contessa si scosse e d’impeto spronò il cavallo. Ma riuscirono a fare solo pochi passi che un uomo a piedi, armato e con il piglio truce, gli tagliò la strada.

«Finalmente ci conosciamo, contessa», tuonò Viviani, con voce stentorea.

«Lasciateci andare», ribatté Eliardo. «Siete in territorio toscano, non avete alcun potere qui».

Il mercenario sorrise. «Mi spiace deludervi, alchimista, ma abbiamo fatto un lungo viaggio per incontrare la vostra amica».

Mentre parlava, i cavalieri che aveva richiamato raggiunsero il piccolo crocchio all’ombra della quercia. Si disposero a semicerchio, precludendo ogni possibilità di fuga a Eliardo e Annika.

«Che strano il destino…», scherzò Viviani, avvicinandosi. «Quando tutto sembra perduto, un colpo di fortuna e le cose si sistemano. Eravamo qui per voi, e alla fine possiamo dire di aver compiuto la nostra miss…».

Uno sparo secco, che rimbombò come un tuono, troncò le sue parole a metà. Viviani si palpeggiò incredulo l’addome sanguinante e cadde in ginocchio.

Pochi istanti prima, Rudolf, pronto a seguire il cardinale nella sua fuga, si era fermato.

Viviani aveva trascinato via la vedova di Della Valle, ma l’aveva lasciata di colpo, distratto da qualcosa… o da qualcuno.

Il gigante tornò sui suoi passi giusto in tempo per scorgere tre cavalieri che attorniavano Eliardo e Annika. Era troppo lontano per sparare, quindi decise di avvicinarsi di soppiatto. E fu allora che udì lo schioppo e vide Viviani accasciarsi.

Altieri ricaricò l’arma. Nascosto dietro un cespuglio fece di nuovo fuoco. Un altro cavaliere cadde.

Ne rimanevano solo due.

Il mercenario più distante dal punto da cui era partito il colpo tirò le redini del suo destriero. Aveva visto la fiammata della polvere da sparo divampare tra i rovi.

Puntò la sua arma e fece fuoco.

Altieri sgattaiolò via, indenne, e corse verso la grande quercia.

Individuando il bargello, anche Rudolf uscì allo scoperto. Altieri tenne a bada i due cavalieri, ma non si avvide che dietro di lui altre canaglie stavano accorrendo in loro aiuto.

Non c’era tempo, se fossero arrivati, la contessa non avrebbe avuto scampo. D’altra parte, i tangheri che ora la tenevano bloccata sotto l’albero erano ancora due, e Altieri aveva un solo colpo in canna.

Rudolf caricò l’arma e la puntò.

Il mercenario che aveva individuato Altieri scorse anche lui. Estrasse una seconda arma e si preparò a fare fuoco. Ma non ci riuscì, perché il bargello lo precedette. Sparò la palla rimasta e lo colpì alla spalla. Non fu una rivoltellata mortale, ma fu sufficiente per disarcionarlo. Ne rimaneva uno soltanto.

«Per ringraziarvi di avermi salvato», scherzò Altieri, rivolto ora alla contessa. Sorrise, e fu l’ultima cosa che fece.

Il mercenario superstite allungò il braccio e rispose al fuoco.

Il bargello non vide arrivare la palla verso il suo viso, ma distinse solo il lampo di luce della polvere che veniva innescata.

Fu colpito al volto, tra il naso e la bocca, e rotolò all’indietro come un sacco vuoto.

Incredula, Annika fece per tendere la mano al bargello. Ma era inutile, Altieri era morto sul colpo.

«Presto, andiamo», la spronò ancora Eliardo, che si allungò sulla sella e afferrò le briglie del cavallo di Annika.

Seguì un nuovo sparo, più acuto del precedente, che andò a segno sull’ultima guardia che gli sbarrava il passo. Rudolf, ancora con l’arma fumante, indicò il fondovalle.

«Contessa, fuggite». Buttò la pistola a terra e imbracciò il moschetto. «Penso io a tenerli occupati».

Con la coda dell’occhio, Eliardo inquadrò le cinque cavalcature che avanzavano tra la polvere a gran velocità. Se fossero arrivati, non avrebbero più avuto alcuna possibilità di fuga. Con gli speroni punzecchiò il cavallo e si mosse tirando il destriero di Annika.

Mentre gli animali prendevano velocità sulla rupe, la contessa si voltò, contemplando un’ultima volta il corpo immobile di Altieri.

Alla fine, ciò che doveva accadere era accaduto.