Capitolo 13

Ospedale del Santo Spirito in Saxia, rione Borgo. Poco dopo.

Appena dopo il tramonto, ora prima.

Mentre i campanili della città battevano l’Ave Maria, il bargello Costante Altieri percorreva la grande corsia dell’ospedale.

I letti dei malati erano sistemati su entrambi i lati del grande padiglione, alto come un campanile e lungo come la navata di una cattedrale. Dalle finestre, inframezzate da affreschi, non entravano che le ombre della notte, e l’illuminazione era garantita da lampade che ballonzolavano dalla parete.

I lamenti, gli accessi di tosse perniciosa, ma soprattutto l’odore di balsamo misto agli umori dei pazienti, tutto gli riportò alla memoria i suoi trascorsi in ospedale. Non quello di Roma, ma quello della Misericordia, nel Ducato di Parma, la sua città.

Nato in una famiglia di agricoltori devota a sant’Ilario, a diciotto anni si era arruolato come dragone nell’esercito. Non era più il tempo di Francesco I d’Este in cui i soldati se la passavano bene. D’altra parte, però, era meglio che sudare nei campi per poi vivere comunque di stenti. Oltretutto, in gioventù Costante aveva dimostrato di disporre di una mente fine. Capiva prima degli altri le cose e, nella scelta dell’esercito, aveva visto maggiori sbocchi che nella fattoria. Era anche molto religioso e, a causa di ciò, nel 1754 gli capitò di dover fronteggiare un nemico inaspettato.

Si trovava nei dintorni dell’abbazia di Fontevivo, quando un manipolo di soldati era giunto su ordine di don Filippo di Borbone.

Il regnante, che a seguito del trattato di Aquisgrana aveva ottenuto i Ducati di Parma e Piacenza, era un illuminista e un giansenista. Aveva fin da subito dimostrato un’avversione per l’autorità ecclesiastica e molti beni della Chiesa erano stati confiscati.

Quella mattina, durante la visita pastorale del vescovo di Parma, monsignor Camillo Marazzani, i soldati avevano così avuto ordine di impossessarsi di un frutteto della Curia.

Costante, affezionato a Marazzani, mal sopportava tale atteggiamento. Sotto le armi aveva imparato a leggere e a far di conto. Conosceva sia lo spagnolo sia il francese, così si era offerto di andare incontro ai soldati suoi colleghi.

Da quello che doveva essere un semplice colloquio, un’ambasciata tra servitori dello stesso principe, erano nati spintoni e colpi di moschetto. Diversi contadini, schieratisi a protezione del vescovo, ci avevano rimesso la vita e lo stesso Marazzani aveva dovuto nascondersi nell’abbazia. Gli eventi erano precipitati all’improvviso: Altieri aveva estratto il coltello e si era messo a protezione della porta. Il suo atto eroico aveva garantito la fuga del vescovo, ma lui ci aveva rimediato una palla di pistola alla gamba.

Aveva perso molto sangue, ma, trasportato su un carro all’ospedale della Misericordia, si era salvato. Il merito, si era convinto, era di Dio, che l’aveva premiato per essersi schierato dalla parte della Chiesa. Ragionamento razionale, credeva, ma in netto contrasto con la politica giansenista in voga in quegli anni nel Ducato. Secondo i fautori di tale impostazione teologica distorta, infatti, Dio non è tenuto a concedere la grazia a nessuno: questa è data soltanto a coloro che il Signore ha predestinato, indipendentemente da ogni merito. Non esisterebbe quindi il paradiso per i buoni e gli inferi per i peccatori, e ciò che si fa nella vita sarebbe del tutto irrilevante.

Per un uomo che aveva rischiato la sua pelle per un ideale, tale pensiero era inaccettabile. E ancora più inaccettabile era che molti suoi concittadini si stessero convertendo a quell’abominio. Una volta rimessosi in piedi, Altieri aveva così maturato l’idea di lasciare il Ducato, l’esercito e di andare a Roma, dove la religione era quella che gli avevano insegnato. Lo stesso vescovo Marazzani aveva benedetto la sua decisione e per ringraziarlo l’aveva insignito del titolo di Buon Romano. Appena arrivato nello Stato pontificio, Altieri era stato accolto dal governatore e in breve tempo i meriti che l’avevano preceduto gli avevano garantito l’elezione a bargello.

«Chi si rivede: Er Dalmata in persona». Una suora attempata andò incontro ad Altieri a metà della corsia femminile. Dal soggolo candido sbucavano un naso aquilino e una bocca piccola, con due labbra grigiastre che sorridevano.

«Buonasera, madre Ada». Il bargello accennò una gioviale riverenza. Notò con piacere che portava ancora il rosario che le aveva regalato poco dopo il suo arrivo in città: un filo di nocciole della Terrasanta, che si diceva avessero poteri curativi proprio perché raccolte nei pressi della tomba di Gesù Cristo.

«La donna che cercate ha detto di chiamarsi Lucia Bianchini», spiegò la suora, facendo strada tra i letti coperti dalle lenzuola bianche. Dalla penombra fuoriusciva un brusio di lamenti e bisbigli. «Ha un accento del Nord Italia».

«Come sta?»

«È stata ferita di striscio. Se la caverà».

Giunti verso la fine della navata, tra un séparé e un armadietto carico di boccette di vetro, suor Ada si fermò. «Ecco, vi presento Madame Lucia Bianchini».

Altieri si fermò al suo capezzale, in un tintinnio di armi alla cintura. Tolse il tricorno che nascondeva una capigliatura color carota, legata sulla nuca da un solitario brillante. «Buonasera, Madame».

Lucia, la schiena sprofondata su due guanciali, sbatté le palpebre, senza salutare.

Nonostante il suo viso fosse privo di belletto e indossasse una semplice camiciola bianca, aveva una figura esile e tratti piacevoli: occhi neri, capelli color pece che scendevano morbidi sulle spalle, viso angelico da adolescente. O forse no, la sua non era un’espressione ingenua, ma piuttosto carica di malizia.

«Chi siete?», sbuffò Lucia, la voce flebile.

«Mi chiamo Altieri, sono il bargello del governatore». Si avvicinò di un passo. «Sto cercando di capire cosa è successo questa mattina».

Il viso del nuovo arrivato era cordiale e le pareva anche le ricordasse qualcuno. Ciononostante, fu lapidaria: «Non credo che io potrò esservi d’aiuto».

«Non sapete neppure cosa intendo domandarvi, Madame».

Lucia si assestò sui cuscini, una smorfia di dolore. «Prego, allora, bargello del governatore, domandate pure».

«Oggi, di buon mattino…», cominciò Altieri, a dispetto del tono provocatorio che finse di ignorare, «vi trovavate nella locanda Maccaroni, con un carbonaro di nome Della Valle».

«Ero nella locanda, avete ragione», lo interruppe Lucia. «Ma da sola. Non conosco questo Della Valle».

Altieri si sforzò di non riderle in faccia. Già era bizzarro, oltre che sconveniente, che una dama entrasse da sola in una locanda. Una nobildonna come lei poi, in un postaccio come quello…

«L’oste afferma che voi e un gigante biondo eravate accanto a Della Valle. Stavate parlando con lui quando sono arrivati i malintenzionati che vi hanno ferito e hanno ucciso il carbonaio».

«Sono accanto anche a voi, adesso, e non per questo posso dire di conoscervi…».

A quel punto il bargello si lasciò andare al sorriso che aveva trattenuto poco prima. Più parlava con la giovane, più si convinceva che diceva il falso. Prima di andare all’ospedale aveva cercato di verificare la storia di madonna Rita: si aspettava di parlare con una contessa di Monte Citorio – la stessa che aveva proposto il non meglio precisato affare al carbonaio – e non era per nulla certo che quella Lucia lo fosse.

«Suor Ada dice che vivete nel rione Colonna», commentò, ripetendo le poche indicazioni avute dalla moglie di Della Valle.

«È così».

«Nessuno vi è venuto in aiuto. Abbiamo pensato che la vostra famiglia non sia a conoscenza dell’incidente in cui siete stata coinvolta». Altieri si fermò, per saggiare le sue parole sul viso della donna. Subito dopo adocchiò gli abiti ordinatamente piegati su una sedia: broccato e pizzi di ottima fattura, una parrucca incipriata e un bel corpetto. «Posso domandarvi in quale palazzo vivete? Potremmo mandare qualcuno ad avvisare i vostri cari». Tornò a osservarla: le mani, seppur non sembrassero quelle di una sguattera, non erano curate al pari di una nobildonna. Quel dettaglio, unito al fatto che non esisteva alcun nobile Bianchini non solo a Monte Citorio ma in tutta Roma, non faceva che confermare i suoi sospetti.

«Temo vi stiate preoccupando inutilmente». Per un istante, solo uno, il viso di Lucia si rabbuiò quasi avesse udito i pensieri del bargello.

«Spiegatevi meglio».

«Vivo nel rione Colonna, avete ragione». Fece una pausa, lasciando che qualche lamento lontano, nella corsia, riempisse il silenzio. Sapeva di non dover parlare mai di Madame d’Aumale, la sua padrona, ma era chiaro che il bargello aveva già qualche sospetto. Si rallegrò di aver usato il falso cognome Bianchini, consapevole che per il resto era costretta a improvvisare. Pur sapendo che la sua bugia sarebbe durata ben poco, ci provò: «La mia famiglia è fuori città per alcuni giorni».

«Capisco, contessa».

«Comunque, non vi preoccupate: sto bene, presto tornerò a casa sana e salva». Lucia sorrise. Fu un’ostentazione nervosa, più che divertita, la stessa che era abituata a usare come maschera, nelle rare occasioni in cui si trovava senza argomenti. Una chiostra perfetta di denti bianchi illuminò tuttavia l’intera corsia dell’ospedale.

Almeno quella fu l’impressione di Altieri, che solo in quel momento fu rapito dalla sua bellezza. Quella donna era una splendida bugiarda. Appena si ricompose, dopo che un lungo brivido gli attraversò la schiena, provò quindi con un approccio differente.

«Conoscevate il camerlengo di Santa Romana Chiesa, cardinale Girolamo Colonna di Sciarra?», le chiese, estraendo dalla marsina un documento che aveva portato con sé. Era lo stesso fascicolo che gli uomini di Ennio Massimo Viviani avevano appena finito di cercare, senza successo, nel suo ufficio. «Il nome del camerlengo compare in questo incartamento, rinvenuto a casa di Della Valle. Io l’ho letto e mi dà molto da pensare. Immagino però voi non abbiate idea di cosa sia, visto che non conoscevate il carbonaio…».

Lucia sbatté le palpebre più volte e, nonostante i suoi sforzi di rimanere impassibile, questa volta il suo sguardo tradì una qualche emozione. «Infatti», mentì. «Non l’ho mai visto».

Mezz’ora più tardi, quando Altieri montò a cavallo fuori dall’ospedale, due uomini, da vicoli diversi, lo stavano osservando. Uno era Ennio Massimo Viviani che, come da istruzioni ricevute, voleva saperne di più sulla giovane dama ferita e su cosa aveva rivelato al bargello. L’altro aveva un lungo mantello con un’aquila bicefala ricamata all’altezza del cuore.

Quando il bargello spronò il cavallo verso il Tevere, non si accorse che entrambi si mossero dietro di lui.