Capitolo 68
Palazzo del Sacro Monte di Pietà, Roma, martedì 24 gennaio 1764.
Un mese più tardi.
«Eccellenza, c’è una visita per voi». Il pingue padre Ruffo apparve come un fantasma sulla porta dello studio del cardinale Aldobrandini.
Il protettore del Monte di Pietà, impegnato a studiare i conti del Banco su un’imbreviatura rilegata, alzò gli occhi dalla scrivania, senza rispondere. Il suo silenzio, Ruffo lo sapeva, era un modo per manifestare disappunto per essere stato interrotto.
«Si tratta dell’ambasciatore veneziano Giustinian», lo solleticò ugualmente Ruffo. «Afferma di avere un importante messaggio per voi».
Nell’udire quelle parole, l’espressione accigliata di Aldobrandini mutò all’istante. Tolse gli occhialini che teneva in equilibrio sulla punta del naso e si alzò in piedi.
Importante messaggio.
Immediatamente la mente del cardinale volò a molti mesi addietro, quando, in cambio di un potenziale affare per il Monte, aveva fornito informazioni ai veneziani.
Il Banco della Serenissima era stata la sua proposta. Ciò che Aldobrandini voleva era essere scelto come zecca ufficiale della Repubblica. Fino ad allora infatti il conio delle monete veniva effettuato direttamente a Venezia, sotto il rigido controllo della Quarantia. Se il doge avesse concesso al Monte di Pietà il diritto di conio, gli affari del Banco sarebbero triplicati. E poi si sa: diventare la banca centrale di uno Stato equivale a prenderne il controllo…
Sfortunatamente la prematura morte del doge Foscarini aveva frenato le sue ambizioni. Il suo successore, Alvise IV Giovanni Mocenigo, per quanto avesse promesso di interessarsi della questione, non aveva ancora assunto posizioni. Il progetto era così rimasto arenato. Esattamente come quello sulle cedole proposte al papa: due facce della stessa medaglia, due incartamenti che giacevano ignorati su qualche scrivania di Roma e Venezia.

«Fatelo entrare, Prospero». Così dicendo, il cardinale sistemò la veste e infilò lo zucchetto. Fece il giro del tavolo e attese l’ospite al centro della grande stanza, tappezzata di arazzi e con due sculture di san Matteo tra le finestre.
«Piacere di rivedervi, eccellenza». Giustinian, il fisico asciutto e il fare cerimonioso, mosse alcuni passi decisi nell’ufficio. Teneva in mano un documento di carta arrotolato, che mise da parte per inginocchiarsi. Sfiorò con le labbra l’anello del cardinale e si alzò di nuovo.
«Piacere mio, ambasciatore», lo accolse Aldobrandini. «Prego, accomodiamoci. Mi dicono che avete un’importante ambasciata per me».
Giustinian annuì e seguì il cardinale fino a un salottino con gambe a sciabola sulle tinte del rosa. «Ho ricevuto un messaggio da Venezia, da riferirvi personalmente».
«Immagino riguardi l’incontro con il principe Alvise, per la questione della zecca». Aldobrandini accavallò le gambe mentre cercava di leggere una qualche reazione sul viso dell’ambasciatore. Reazione che però gli parve deludente. «Come saprà, in cambio di informazioni sulla famosa contessa ricercata da Venezia, avevo chiesto di poter illustrare il mio progetto alla Serenissima».
Giustinian si strinse nelle spalle. «Purtroppo il messaggio ha un tenore differente».
Aldobrandini si accigliò. «Cosa intendete?»
«Dopo i fatti di qualche mese fa, qui in città è girata notizia che la stessa donna che consegnaste a Venezia era ancora ricercata dai vostri uomini».
«È così infatti: oltre che essere una criminale per voi, ha un debito da saldare anche con me».
«E quindi è vero che la state ancora cercando? Vi interessa?».
A tale domanda, la mente di Aldobrandini andò ai vaticini che quella donna riusciva a elaborare. Non poteva dimenticare che la contessa aveva previsto la morte di crepacuore del camerlengo, oppure che aveva aiutato il bargello a sfuggire ai suoi uomini. Ancora più importante: aveva anticipato il suo colloquio con Van Axel, dieci giorni prima che avvenisse.
Certo che la cercava ancora, solo che i suoi sforzi nel tentare di ritrovarla dopo i fatti della Toscana erano stati vani. Non aveva desistito, ma fino a quel momento la sua ricerca si era arenata in un labirinto degno di Minosse, costruito su indizi fuorvianti e passi falsi.
«Vi confermo che sono ancora interessato a lei».
A quel punto Giustinian socchiuse le labbra, mostrando gli incisivi bianchi. «Allora forse ho qualcosa per voi… per restituirvi il favore». L’ambasciatore srotolò il documento che aveva portato con sé sul tavolino laccato. Era una preziosa carta geografica, sulle tinte del rosso, che raffigurava le acque che andavano dalla Dalmazia e le Ionie fino al Levante.
«Cosa intendete mostrarmi?».
Giustinian prese a picchiettare con l’indice in un punto al largo di Creta. «Questa zona, eminenza, come sapete è al di fuori dell’influenza della Squadra veneziana dell’Adriatico e non rientra nel trattato sul commercio con l’Impero ottomano».
«Ebbene?»
«Ebbene, è lì che vi dovrete trovare se volete che vi consegniamo quella donna».
«L’avete catturata, quindi?». Aldobrandini si mordicchiò le labbra. «E intendereste consegnarmela fuori dalle acque d’influenza della Serenissima?»
«È necessario…».
«È necessario se si tratta di uno scambio non ufficiale. Uno scambio che Venezia non ammetterà mai di aver fatto».
Giustinian sorrise. «L’importante è il risultato, no?». Con i suoi occhi furbi squadrò il pomo d’Adamo del cardinale, che faceva su e giù affogato nell’adipe del doppio mento. «Non è raro che le galee dello Stato pontificio solchino quelle acque, dopo essersi spinte a Messina o Malta. Voi volete quella donna e noi ve la consegneremo proprio dove siete già soliti andare».
«E in cambio di questo favore immagino che l’altra mia richiesta sarà archiviata».
«Diciamo che rimanderemo il problema a data da destinarsi».
Aldobrandini sospirò. Non poteva certo pretendere di più. Consegnandogli la contessa, in modo non ufficiale, oltretutto, gli stavano restituendo esattamente lo stesso servigio compiuto da lui. Se avesse assecondato la proposta, non sarebbe stato più a credito di un favore. D’altra parte, i dogi della Serenissima cambiavano molto spesso, soprattutto nell’ultimo periodo. Avrebbe sempre avuto modo di riproporre l’affare più avanti. Nel frattempo, tanto valeva accettare…
«Va bene. Mi avete convinto. Avete già fissato una data?».