Capitolo 10

Cappella del Sacro Monte di Pietà, rione Regola. Nello stesso istante.

Metà pomeriggio.

«In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti».

Sotto la luce che filtrava dalla cupola della cappella, tra i bagliori sfolgoranti dei marmi e degli stucchi d’oro, dieci uomini si fecero il segno della croce.

Non erano fedeli in preghiera, e molti di loro erano armati. Stavano tutti in piedi, in circolo nel grande spazio vuoto, ad attendere un cenno dal cardinale Donato Aldobrandini di Carpi.

«E così questa è la moglie di mastro Della Valle?», azzardò quest’ultimo, rivolto agli sgherri che lo attorniavano.

Al centro del cerchio era inginocchiata una donna, con le spalle all’altare. Aveva una veste strappata e un rivolo di sangue che le scendeva dal sopracciglio destro.

«La immaginavo più vecchia».

Qualcuno rise, ma nessuno osò parlare.

«Devo farvi le mie scuse», dichiarò, ora rivolto a lei. Le sollevò il mento con il crocifisso che teneva tra le mani. «Mi hanno detto che non è stato facile convincervi a unirsi a noi in questa umile casa di Nostro Signore».

La cappella del Sacro Monte di Pietà, adiacente all’edificio del Banco, era un’ardita ostentazione di marmi policromi, bassorilievi, sculture, medaglioni e cupole. Nessuno l’avrebbe mai definita umile, neppure se in confronto a una cattedrale. Eppure, quello era esattamente lo stile del cardinal protettore. Dire e poi convincere chiunque con un’abile parlantina che un oggetto è bianco quando invece è nero. Oppure affermare che un’azione è buona quando è cattiva; o ancora, e di ciò andava fiero, perorare la posizione teologica secondo la quale prestare denaro contro interesse non era un malaffare, bensì titulus legis civilis, ossia qualcosa di benevolo.

A dispetto di ciò che lui diceva, il fenomeno dell’usura era tuttavia una piaga abietta, che opprimeva la popolazione. Si era diffuso da quando, secoli prima, era stata concessa ai banchieri privati la possibilità di effettuare prestiti. La Chiesa lo considerava un peccato e così il monopolio del credito era stato lasciato in mano agli ebrei. Solo recentemente alcune voci ecclesiastiche più moderate, tra cui quella di Aldobrandini, avevano cercato di legittimarla, invitando a valutarla secondo coscienza.

Il Sacro Monte di Pietà era nato proprio per venire incontro a tali idee: sostenere le classi più umili prevedendo tassi molto bassi in cambio di beni lasciati in pegno. In breve tempo, però, anche per togliere il monopolio ai giudei, il Banco si era evoluto: aveva accumulato ricchezze tali da concedere prestiti a principi e regnanti stranieri. Era diventato così una banca in piena regola, che erogava denaro allo Stato pontificio, per conto del quale esercitava anche le funzioni di zecca.

In tutta quell’evoluzione, che aveva visto ribaltarsi la finalità del Banco, il protettore Aldobrandini aveva avuto un ruolo determinante. Dopo aver preso i voti ed essersi unito alla Compagnia del Gesù, grazie alla sua famiglia era entrato a far parte della Congregazione, organismo di quaranta membri che formalmente amministrava l’istituto. Aveva affinato le sue capacità in campo bancario a Siena e nel 1738, a soli quarantatré anni, papa Clemente XII lo aveva nominato cardinal protettore. Le sue competenze, ma soprattutto l’essere un gesuita, gli avevano spianato la strada: da quel momento, venticinque anni prima, Aldobrandini di Carpi aveva gestito il Banco secondo idee moderne, che mettevano al centro dell’attività obbligazioni e debiti.

Proprio per perseguire i suoi fini, un mese prima si era messo in contatto con il camerlengo Girolamo Colonna di Sciarra. Un accordo con lui sarebbe stato un tassello importante per il percorso di modernizzazione che aveva in mente. Improvvisamente, però, il camerlengo aveva cambiato idea… e la causa era stata, a quanto aveva appurato, l’inaspettata disponibilità di ottantamila scudi in oro.

«Volete un bicchier d’acqua?», domandò il protettore a madonna Rita, piegata sul pavimento di marmo siciliano della cappella. Le pupille indagatrici del cardinale, incastonate nelle guance rosee e cadenti, si muovevano velocemente. «Portate dell’acqua alla moglie di mastro Della Valle».

La donna alzò il viso scaltro e malizioso verso la pala di marmo che sovrastava l’altare. La Vergine, con atto di pietà, teneva tra le braccia le spoglie del Salvatore. Non era sicura che quegli uomini le avrebbero riservato la stessa compassione. Era però sicura che non avrebbero ottenuto ciò che cercavano.

«Cosa volete?», gemette con fatica. Le lacrime che aveva versato e la sete forzata a cui l’avevano costretta rendevano la sua bocca completamente arsa.

«Non riuscite a immaginarlo?»

«Mio marito è morto, che la sua anima sia consegnata all’abbraccio del Cristo… no, non capisco proprio cosa volete da me, eminenza».

«Io credo di sì», ghignò, gelido, il cardinale. In quel momento uno dei suoi uomini gli porse un bicchiere d’acqua. Il religioso lo tenne in mano e lo soppesò, mostrandolo alla prigioniera senza offrirglielo. «Ricominciamo, volete?».

Madonna Rita sbuffò. Il respiro le si ghiacciò in gola.

«Come immagino saprete, vostro marito ha recentemente ricevuto un regalo inaspettato: oro, molto oro. Sono sicuro che siete a conoscenza dei benefattori che glielo hanno elargito… e per cosa».

«L’ho già detto ai vostri uomini: dovete cercare una dama di Monte Citorio. Una baronessa, non conosco il suo nome. Non so altro».

Il cardinal protettore annuì. Lo sapeva, perché aveva dato ordine a padre Ruffo di offrire un premio in denaro a chi gli avesse fornito informazioni. Strinse il bicchiere e invece di porgerlo alla donna bevve lui un grande sorso.

«Sapete che vostro marito ha consegnato l’oro al cardinale Colonna di Sciarra o, come lo chiamava lui, Gonnella porpora?».

Madonna Rita annuì. Per un istante, il suo sguardo si perse sul calice tra le mani inanellate del cardinale. «Mio marito non parlava con me dei suoi affari», ringhiò, rivolta alla ciurmaglia che l’aveva strappata dalla sua casa dopo averla rivoltata a fondo. «I vostri collaboratori vi avranno informato che non so altro…».

«Fate un’ipotesi: secondo voi, in cambio di cosa vostro marito ha dato l’oro al camerlengo?».

Madonna Rita scosse il capo con aria sfacciata. A quel punto, Ennio Massimo Viviani, il birro che l’aveva prelevata alla legnara, le assestò un colpo secco al collo con il calcio del moschetto.

La donna mugolò appena e si accartocciò su sé stessa, piegata su un fianco.

Il cardinale schiuse le labbra come per parlare, ma non lo fece, attendendo che madonna Rita riaprisse gli occhi. Il tutto nella speranza che quella sua aria di sfida fosse definitivamente accantonata. «Io credo che vostro marito abbia dato l’oro al camerlengo. Così facendo ci ha creato un danno, visto che il cardinale aveva già concordato un affare con noi ma ha cambiato idea proprio a causa di quell’oro».

Madonna Rita si asciugò una lacrima con l’avambraccio ma restò in silenzio.

«Sapete cos’è una cedola?».

Ancora silenzio.

«Sapete cosa facciamo qui?».

Silenzio.

«Rispondete a sua eminenza». Viviani la spronò ancora, questa volta sfiorandole un braccio con la punta dello stivale.

«Siete il Monte d’Empietà», sottolineò lei, sputando per terra.

Empietà, malvagità, cattiveria, crudeltà, iniquità. Tutti sinonimi che i romani usavano per descrivere le attività del Banco. Invece di offendersi per quello che era l’appellativo più diffuso, il cardinale socchiuse appena le labbra in un sorriso glaciale.

«Io sono convinto che, in cuor vostro, sappiate cosa la buon’anima di mastro Della Valle ci ha guadagnato, consegnando l’oro al cardinale: sua eminenza deve avergli dato un documento, e io vorrei poterlo leggere».

Madonna Rita scosse il capo.

«La vostra stessa incolumità può dipendere dal contenuto di quel documento».

«Vi ho già detto che non so…». Non riuscì a finire la frase che un nuovo colpo la raggiunse alla schiena. Le mancò il fiato ma non riuscì a riprenderlo perché un secondo manrovescio la colpì tra un orecchio e l’occhio. Cadde supina, con le luci che le giravano attorno e gli uomini che la sovrastavano dall’alto.

Un altro birro la colpì di nuovo, questa volta con un calcio. Poi un altro e un altro ancora. Un rivo di sangue schizzò sul pavimento. Prima di perdere i sensi, la donna si arrese.

«Va bene, va bene», sussurrò con un filo di voce.

«Parlate». Il viso di Aldobrandini di Carpi aveva perso la falsa mimica accomodante. Adesso era visibilmente contrariato. E spazientito.

«C’è un documento… sì», riferì la donna. «Avete ragione».

«Non è alla legnara, perché prima di disturbarci a portarvi qui abbiamo guardato sotto ogni scarafaggio».

«Er Dalmata…». Madonna Rita cominciò a tossire e allungò la mano verso il bicchiere. «L’ha preso Er Dalmata, il bargello del governatore».

Aldobrandini la esaminò come avrebbe fatto con un topo sulla sua tavola. Finalmente aveva ottenuto l’informazione che gli serviva. Passò un dito sul bordo del bicchiere e versò l’acqua rimasta per terra, davanti alla prigioniera. Poi girò i tacchi.

«Trovate questo Er Dalmata», disse, fervente e pieno di disprezzo. «E portatemi la cedola. Se ce l’ha davvero il bargello, merita di morire».