Capitolo 53
Palazzo Barberini ai Giubbonari, rione Regola. Due ore più tardi.
Mezzodì.
Seduto a capotavola nelle cucine del palazzo, il cardinale Aldobrandini di Carpi armeggiava con un coltello acuminato e una forma di formaggio pecorino. Infilzò una scaglia con la punta e se la infilò rumorosamente in bocca.
«Vi ringrazio per essere riuscito a venire, capitano», esclamò, masticando, a indirizzo di Van Axel. Il veneziano era immobilizzato su una sedia dalla parte opposta del tavolo, sorvegliato a vista da due guardie. Si trovavano nel seminterrato del palazzo adiacente al Banco, in un locale quadrato sovrastato da una volta di mattoni rossi. Dalle travi del tetto pendevano calderoni di rame e la credenza aveva l’aspetto di una parancola massiccia, ingombra di stoviglie e vassoi portavivande.
«Non è che mi avete lasciato molta scelta, in effetti», replicò Van Axel, che nel volgere di pochi minuti aveva dovuto smaltire gli effetti dell’alcol. Mosse una mano e fece tintinnare la catena con la quale Viviani gli aveva legato i polsi.
«Deve perdonare i miei collaboratori, ma di questi tempi non si sa mai con chi si ha a che fare».
Il capitano sbatté più volte le palpebre e tenne gli occhi di ghiaccio fissi sul cardinale. Indossava una semplice tunica nera, stretta sulle spalle, e un colletto bianco che faceva risaltare il doppio mento. Masticava a bocca aperta, lentamente, e gli ricordava un grosso bue davanti a una mangiatoia.
«Vi dico la verità», proseguì il religioso, mellifluo, «fosse stato per me avrei evitato la catena, ma non eravamo certi di poterci fidare di voi».
«Credevo di essere un vostro alleato, sua eminenza reverendissima». Van Axel agitò le mani incatenate per mostrarle nuovamente al religioso.
«Veramente lo credevo anch’io, capitano». Si infilò un’altra scaglia di formaggio in bocca. «Però, dovete ammettere di non essere stato del tutto onesto con noi».
«Cosa intendete?»
«La vostra ricercata, la contessa d’Aumale… l’avevate spacciata per una spia francese».
«È quello che è».
«Non insulti la mia intelligenza, capitano: forse non lo sapete, ma un paio di giorni prima di parlare con il vostro comandante Mellan padre Ruffo aveva visitato la Cancelleria veneziana».
Il capitano cercò di rimanere impassibile, ma era chiaro che se Aldobrandini aveva mandato i suoi uomini alla Cancelleria aveva più di qualche dubbio. «Credevo che la contessa fosse per voi poco più di un semplice vezzo. Non avevo compreso che foste così interessato a lei».
«È così infatti: fino a questa notte era un po’ come una mosca che mi infastidiva. Era responsabile di avermi fatto perdere un affare e niente più». Aldobrandini spostò il formaggio nel piatto con la punta del coltello. «Questa mattina le cose però sono cambiate».
«Vi avevo avvertito che forse non si trovava ancora alla vigna…».
Un lieve sorriso si dipinse sul viso del cardinale. «Non ce l’ho con voi per esservela fatta sfuggire. E vero, mi avevate avvertito che quella donna poteva già essere fuggita. Se devo essere sincero è proprio grazie al vostro avvertimento che ora siete qui».
«Non credo di seguirvi», mormorò Van Axel, che contrariamente a quanto aveva appena asserito aveva ben compreso dove il religioso volesse andare a parare.
Aldobrandini si alzò in piedi e aprì uno dei tiretti della credenza accanto alla porta. Ne estrasse alcuni fogli e li portò al tavolo. «Sapete cosa sono, non è vero?».
Van Axel deglutì, cercando di rimanere impassibile mentre osservava i documenti. Si trattava delle ipotesi che Viviani aveva strappato dalle mani di messer Elio. Quelli che stava bruciando al loro arrivo.
«Non sono un esperto, ma questi calcoli matematici sembrerebbero prevedere avvenimenti futuri».
Il capitano sospirò. A quel punto ne era certo: Aldobrandini aveva capito perché la Serenissima era tanto interessata alla contessa.
«Come vi dicevo, nella vostra Cancelleria inferiore avevamo trovato informazioni circa alcuni patrizi deceduti poco dopo aver lasciato i loro beni alla nobildonna. Fatti che in qualche modo ci ricordavano la vicenda del defunto cardinale Colonna di Sciarra». Aldobrandini si fermò e tamburellò con le dita grassocce sul tavolo. «Inizialmente avevamo pensato che la vostra ricercata fosse una semplice assassina… prima circuisce il nobile e poi lo fa uccidere». Gli concesse un istante. «Poi, però, anche grazie a voi, abbiamo trovato questi».
Van Axel lanciò uno sguardo fugace agli incartamenti, come se con la sola forza di volontà avesse potuto bruciarli. «Cosa volete da me?»
«Niente di troppo complicato, capitano. Vogliamo onestà: vogliamo sapere ciò che sapete voi». Aldobrandini sfogliò le tabelle e ne estrasse una. «Come si spiega, ad esempio, che qui è prevista la morte del camerlengo, e la data è di dieci giorni prima del suo collasso? Sono certo che voi sapete come fa quella donna a prevedere gli avvenimenti futuri».
«Non avete pensato che quel foglio possa essere un falso? Non potrebbe essere stato scritto dopo la morte del camerlengo, inserendo una data fasulla?».
Aldobrandini si accarezzò il mento con pollice e indice. «Certo che l’ho pensato… ma accanto a quel foglio ce ne sono decine di altri. Tutti riferiti ad avvenimenti futuri. Alcuni che riguardano perfino me e voi». Con studiata lentezza, ne estrasse uno dal mucchio di carte e questa volta lo fece scorrere sul tavolo. «Ce n’è una, ad esempio, che anticipava questa nostra brillante conversazione ancora prima che avvenisse, o che decidessi di farla… “Ipotesi 73567: D.A.d.C. interrogaL.V.A.”. Non vi pare abbastanza evocativo?».
Van Axel deglutì amaro. Se avesse rivelato tutto ciò che sapeva, se avesse parlato della serra, del marchingegno e dell’Omphalos, difficilmente avrebbe rivisto la luce del sole. Senza contare che la Serenissima avrebbe perso definitivamente la possibilità di riacciuffare Madame d’Aumale. D’altra parte, anche negare era impossibile, visto che con sorprendente lucidità Aldobrandini aveva già subodorato l’arcano con le sue sole forze. «Non capisco ancora cosa mi state domandando, eccellenza…», provò a temporeggiare. Poggiò le mani incatenate sul tavolo con un gesto plateale. «E fatico ancora di più a capire perché mi trattate così».
«Ricominciamo. Volete?».
A quelle parole Viviani, che era rimasto fuori dal cerchio di luce del candelabro, si accostò a grandi passi. In mano teneva una pinza arrugginita da maniscalco, che avvicinò alla mano del capitano.

A pochi passi di distanza, sulla piazza del Monte, un carretto trainato da un mulo stanco si fermò di fronte all’ingresso della banca.
Illuminata dalla pallida luce del sole invernale, ne scese una donna infagottata in una palandrana di lana spessa. Si strinse nelle spalle e, girando attorno a un gruppetto di facinorosi che protestava contro la carestia, si mosse verso l’ingresso.
«Madonna Rita», la salutò padre Ruffo, che la accolse sulla porta. Aveva un viso inespressivo dietro i suoi occhialetti rotondi e si fregava le mani come un becchino. Non era contento di trovarsi lì, così come non era contento di dover servire un uomo come il protettore. La divina provvidenza però, era convinto, aveva una buona ragione per ogni cosa, compreso metterlo accanto ad Aldobrandini. Faceva quindi del suo meglio per assecondarlo. «In tutta sincerità», disse, con tono afflitto, «non credevo vi avremmo rivisto qui così presto…».
La moglie del carbonaio ingoiò amaro. Ancora portava i segni delle percosse ricevute nella cappella attigua al Banco, e quell’ometto viscido non aveva alzato un dito per aiutarla.
«Voglio parlare con il vostro padrone», si limitò a dire, senza che le emozioni traboccassero dalle sue parole.

Tre minuti più tardi, padre Ruffo entrò nelle cucine e sussurrò qualcosa all’orecchio di Aldobrandini.
Gli uomini che tenevano Van Axel schiacciato sul tavolo si voltarono verso di lui. Per un attimo, anche Viviani sollevò la pinza dalle mani del capitano. Negli ultimi istanti, avvalendosi anche degli attrezzi da cerusico, aveva strappato una alla volta le unghie dalle dita del capitano. Quest’ultimo, la testa ciondolante, era una maschera di dolore, sudato e con i capelli appiccicati al viso. A parte qualche rantolo, stoico, aveva stretto i denti senza urlare.
«Va bene, fatela entrare».
Padre Ruffo lanciò un’occhiata incerta al capitano. Aveva le braccia allungate sul tavolaccio e immobilizzate al centro di due pozze di sangue. Le unghie erano state depositate, intere, in un piatto di porcellana bianca, e risaltavano come macabri pois rossi.
«Non vi preoccupate per lui», lo rassicurò Aldobrandini. «Vederlo sarà come avere dinanzi la sofferenza di Nostro Signore in croce: un monito anche per madonna Rita». Il cardinale si rivolse a Van Axel. «A voi non dispiace, capitano, no? Una pausa vi darà un po’ di requie: dopotutto avete ancora qualche dito a cui pensare».
Un istante più tardi, la donna fu introdotta nelle cucine. Lo spettacolo le diede il voltastomaco e l’afrore del sangue che ammorbava l’aria le ricordò quello di una macelleria. Riconobbe Viviani, l’aguzzino che più degli altri l’aveva malmenata solo tre settimane prima.
«Mi dicono che avete finalmente informazioni sulla cedola», la sferzò subito il cardinale, giochicchiando con il coltello.
Madonna Rita, in imbarazzo davanti a quella scena turpe, si rivolse ad Aldobrandini. «È così. So che Er Dalmata si nasconde nel Granducato di Toscana».

Venti minuti dopo, quando madonna Rita rimontò sul suo carretto, i due uomini nascosti tra i manifestanti nella piazza si scambiarono un segno d’assenso.
Mentre si alzava il grido: «Pane per tutti!», urlato a gran voce da donne con bambini al seguito, i due si spostarono nei pressi della fontana.
«Era la moglie di mastro Della Valle?», mugugnò il primo, incerto.
«Proprio lei. Avvisa Madame Lucia che è stata qui».