Capitolo 58

Lago di Vico, Antiappennino laziale, lunedì 14 febbraio 1763.

Sul far della sera.

Alle ultime luci del giorno due cavalli guadarono un torrente irrequieto. Risalirono il greto paludoso per un breve tratto e si ritrovarono sulla riva sud del lago di Vico. Oltre lo specchio circolare, cinto dalla vegetazione che a causa del freddo aveva una colorazione tra il grigio e il marrone, si stagliava il monte Venere. Sulle sue alture spiccavano il borgo e la rocca, con le torri cinquecentesche e i muraglioni merlati.

«Ce la fate, capitano?»

«Potete scommetterci». Van Axel, aggrappato alla sella, aveva le mani fasciate. Le bende, che lo avvolgevano fino ai polsi, erano intrise di sangue, ma il suo viso, pur nella sofferenza, era estremamente risoluto. «Ce l’ho fatta fino a qui e non intendo certo mollare adesso».

Rudolf annuì e spronò l’imponente cavallo nero. In gioventù, a causa della sua enorme stazza, aveva fatto fatica a trovare una cavalcatura adatta a lui. Quando si era arruolato per servire Maria Teresa i suoi fratelli d’armi l’avevano soprannominato il Camminatore. Fino a che non era montato su un frisone. Si trattava di bestie imponenti dalle frine ondulate e dalla grande forza. Erano in grado di sostenere il suo peso e soprattutto di affrontare lunghi tratti senza mai riposare. Come era accaduto nell’ultimo giorno…

I due si inerpicarono su un viottolo di ciottoli e dopo avere attraversato le case del borgo giunsero ai portoni della rocca.

«Aprite», si udì dall’alto del torrione.

I servitori della contessa d’Aumale spalancarono le porte e, attraversato un grande arco acuto, i due si ritrovarono nel cortile centrale. Da un lato si accedeva alle stanze del castello, mentre dall’altro si apriva un grande porticato, retto da capriate di legno che proteggevano antichi frantoi e botti di vino.

«Ben arrivato, capitano». La contessa, immobile come una statua davanti al colonnato, chiuse il mantello sul collo nudo e si avvicinò. I due cani, uno a destra e l’altro a sinistra, la seguirono guardinghi. «Non vi aspettavamo così presto».

«Dovete sentire cos’ha da raccontarvi, contessa», si intromise Rudolf, smontando dal frisone. «Abbiamo rubato uno dei purosangue del cardinale per essere presto da voi».

Anche Van Axel fece per scendere dal cavallo, ma non appena poggiò gli stivali sul selciato le sue gambe cedettero per la fatica. Sarebbe caduto come uno straccio se Rudolf non lo avesse afferrato al volo per le spalle. Lo aiutò a camminare e lo fece sedere a terra, poggiato sotto il portico.

«Ma voi avete la febbre», constatò la contessa, muovendo un solo passo verso di lui. Si fermò subito, stando bene attenta a rimanergli sufficientemente distante, quasi il capitano fosse stato contagioso.

«Sto bene», mormorò, ma quelle due parole suonarono vagamente false.

Annika lo osservò, domandandosi che fine avesse fatto il nobile di bell’aspetto che aveva conosciuto a Venezia. Gli occhi profondi che tante ragazze dovevano aver fatto innamorare erano arrossati e lucidi. I capelli biondi, solitamente ben raccolti in una coda, ora erano sudici e scompigliati, con ciocche che pendevano sulla fronte come ragnatele.

«Vi hanno torturato?», domandò con il consueto distacco, facendo cadere il suo sguardo sulle mani bendate del giovane.

«A causa vostra, Madame…».

Annika accennò un sorriso e in quel momento la porta che dava accesso all’edificio, cigolando, si aprì. Ne uscì Eliardo che camminando accanto al frantoio di legno si avvicinò a loro. Si formò un piccolo capannello, con Rudolf, la contessa ed Eliardo in piedi a semicerchio e il capitano Van Axel seduto per terra, febbricitante.

«Il nostro amico comune voleva conoscere le mie doti divinatorie?», indagò ancora Annika. «Pensava che voi le conosceste, non è così?».

Il capitano annuì, sofferente. «Non ha ancora compreso come fate… però sì, ha capito che potreste essere un valido strumento nelle sue mani».

La contessa rimase impassibile, senza replicare. “Ipotesi 73567”, pensò. Le cose dovevano andare proprio così secondo le previsioni: Aldobrandini avrebbe dimenticato la cedola e il suo obiettivo sarebbe diventata lei.

«Io che ruolo ho in questa vicenda?». Gli occhi di Van Axel la incalzarono. «Perché mi avete salvato?».

Annika cercò di ricordare l’ultima volta che lei e il capitano erano stati l’una accanto all’altro. In quella circostanza era stata lei a essere salvata, ma non da Van Axel, che anzi la stava scortando ai Piombi attraverso il Canal Grande. Che ironia, il destino, si disse: nel volgere di poco più di un anno le parti si erano invertite…

«A essere del tutto sinceri, capitano, se siete vivo lo dovete a me», intervenne Eliardo, con il suo solito sorriso spavaldo. «Se fosse stato per la contessa sareste già morto, come era previsto».

Van Axel si schiarì la voce. «Allora vi ringrazio, alchimista».

«Ebbene?», si spazientì Annika. «Rudolf vi ha portato qui perché avete qualcosa da raccontare». Si voltò verso Rudolf. «Che cosa sapete?».

Con la gola che bruciava per la febbre, Van Axel si sforzò di alzare la voce per conferire alle sue parole il giusto peso. «Il bargello, contessa: so cosa è venuta a fare la vedova Della Valle da Aldobrandini».

«Parlate, allora, la vostra vita dipende da ciò che racconterete».

«Credevo di essere diventato vostro amico», scherzò Van Axel, tornando fiero a fissarla.

«Parlate, capitano», lo sferzò in tono più accondiscendente Eliardo. «Sapevamo già che la vedova era stata da Aldobrandini. Vi abbiamo salvato perché speravamo di trovare in voi un alleato… se sapete anche cosa si sono detti la vostra vita varrà sensibilmente di più».

«Il cardinale ha fatto entrare la donna nelle cucine mentre…». Sollevò le mani fasciate. «Mentre, per così dire, mi spuntavano gli artigli. Sospetto che il cardinale volesse impressionare la donna».

«Avete sentito cosa si dicevano, non è così?».

Il capitano annuì. «Il bargello si nasconde nel Granducato di Toscana. La donna ha parlato di uno scambio tra una cedola e la sua libertà; Altieri avrebbe chiesto di parlare di persona con il cardinale: vuole una rassicurazione che non lo andrà più a cercare dopo avergli consegnato il documento».

«E il cardinale ha accettato?»

«Aldobrandini è partito con alcuni soldati di scorta proprio questa mattina», aggiunse Rudolf.

«È chiaramente una trappola», dedusse Eliardo, incrociando le braccia sul petto.

«Chiaramente…», concordò Van Axel.

«E allora perché ci è andato?»

«Ci è andato per me», chiosò la contessa. «Aldobrandini crede che Altieri agisca per mio conto. Ecco perché ha accettato di muoversi di persona». Fece una pausa mentre la sua mente allenata al calcolo delle probabilità cominciò a esaminare i fatti conosciuti. Rispetto al giorno prima aveva dati per poter elaborare alcune ipotesi del tutto nuove: grazie a Eliardo, che aveva insistito per liberare Van Axel, ora sapeva la ragione per la quale madonna Rita era andata da Aldobrandini. Altieri, con ogni probabilità, aveva in mente di tendere un’imboscata al cardinale e lei era la sua esca. Era però del tutto evidente che il cardinale non si sarebbe mosso senza aver preso delle contromisure.

«Ecco come morirà Altieri», commentò alla fine, scura in volto. Tutta la vicenda era cominciata per ritardare la fine del bargello ma, ormai lo sapeva bene, il destino si scontra sempre con il postulato dell’imponderabilità. Non aveva bisogno dei suoi matematici per immaginare l’epilogo proprio durante lo scambio con il cardinale. A meno che…

«Dove si incontreranno?», chiese Eliardo, quasi le avesse letto nel pensiero. «E quando?»

«Fra due giorni in Valdichiana», rivelò Van Axel, fiero di conoscere anche quel dettaglio. «Al confine tra lo Stato pontificio e il Granducato di Toscana».