Capitolo 1
Piazza Navona, rione Parione, martedì 18 gennaio 1763.
Prima mattina.
La notte aveva portato con sé l’ennesima giornata grigia e gelida.
Piazza Navona, coperta di neve, vibrava alle folate di vento, con l’obelisco al centro della fontana che ricordava l’albero di una nave fantasma. Non c’era anima viva. Anche le bancarelle del mercato, che in ogni periodo dell’anno affollavano il cuore della città, erano sparite da tempo. La merce da vendere scarseggiava a causa della carestia, e comunque un freddo così inusuale aveva convinto i romani a rimanersene in casa.
Mastro Dario Della Valle, carbonaio del rione Campo Marzo, camminava svelto davanti alla facciata barocca della chiesa di Sant’Agnese. Sollevava i piedi goffamente, per cercare di non bagnarsi i mocassini dalla fibbia quadrata e le calze di seta. Ma era impresa ardua, visto che la coltre bianca aveva raggiunto quasi una spanna e il tempo non accennava a migliorare. L’inverno normalmente non gli piaceva. Soprattutto quell’inverno, rigido come non si ricordava da anni e che ogni mattina restituiva morti assiderati agli angoli delle strade. Tuttavia, per uno che si guadagnava da vivere vendendo prodotti da ardere, era una vera e propria manna, non poteva certo negarlo…
Avvolto nel mantello, con solo il mento che sbucava dal colletto, di tanto in tanto si guardava le spalle.
«Sta’ attento a non farti seguire», erano le uniche istruzioni che aveva ricevuto.
Per quale ragione doveva stare attento? Qualcuno sapeva?
Non era possibile, perché era stato ai patti. Aveva fatto quanto gli era stato chiesto: era andato dal vecchio in gonnella e gli aveva consegnato la borsa.
Certo, forse avrebbe potuto fuggire con il contenuto. Quella, però, era gente con cui non si poteva scherzare. Che ne sarebbe stato di Rita, sua moglie, se lui fosse sparito con la borsa? No, aveva fatto la scelta giusta. La cosa più sensata era stare ai patti, così come gli era stato suggerito da quell’energumeno biondo.
«Sei solo?».
Ecco. Appunto. La voce gutturale del gigante biondo, lo stesso che gli aveva impartito le istruzioni, lo colse alle spalle.
Mastro Della Valle si girò, e la vista della fontana dei Fiumi ammantata fu ostruita da un gigante dai denti marci. Ciocche di capelli color paglia sfuggivano dal cappuccio e le spalle erano coperte da un pesante cappa su cui turbinavano i fiocchi di neve. Era più alto di lui di tutta la testa e teneva per mano un bambino di dieci o undici anni.
«Ho fatto come mi avete chiesto», rispose con protervia il carbonaio.
L’uomo annuì, voltandosi con sguardo indagatore in direzione di palazzo Madama, oltre la chiesa di San Giacomo. Era da lì, dalla sede della “Madama” – i birri del governatore – che si aspettava intoppi. Ma non c’era nessuno e le impronte isolate del carbonaio sulla neve testimoniavano che in effetti era venuto da solo.
«Seguitemi», decretò alla fine.

Dieci minuti più tardi, il carbonaio era seduto al tavolone massiccio della taverna Maccaroni, non lontana dal Pantheon. L’avevano raggiunta con passo marziale, avventurandosi in un dedalo di viuzze anguste, rese scivolose dal maltempo.
L’interno era riscaldato da un imponente camino in cui crepitava un fuoco rosso di legna. Nella penombra, rotta da lampade a olio che ciondolavano dal soffitto, non si notavano molti avventori. Quei pochi popolani presenti, in camicia e calzoni al ginocchio, non avevano oltretutto uno sguardo molto vigile. Al bancone da mescita c’era una donna, di spalle, in abito elegante e con la testa china su un bicchiere. Attese qualche istante e poi si avvicinò a Della Valle.
«Sapete chi sono?»
«La Madame che devo ringraziare per tutto questo». L’uomo la fissò: pur essendo un’apparizione bizzarra, considerato il luogo alquanto equivoco in cui si trovavano, non poteva negare che era attraente. Aveva le iridi nere che risaltavano sulla pelle incipriata e l’ovale del viso stretto nei boccoli di una parrucca candida. Sebbene indossasse un corpetto di broccato con pizzi di ottima fattura, qualcosa nel modo di parlare – forse l’accento del Nord? – tradiva origini tutt’altro che nobili. Poteva avere non più di venticinque anni. «Vi chiamate Lucia. O sbaglio?».
Lei si limitò a sorridere. «Avete avuto problemi?».
Il carbonaio fece cenno di no con il capo. «Sono certo che sapete che tutto è andato secondo i piani… Altrimenti non sareste qui».
«Dov’è il bottino?»
«Al sicuro alla legnara. Che m’avete pijato pe’ fesso?»
«Non è quanto vi avevo chiesto…». La ragazza cominciò a tamburellare nervosamente con le dita sul tavolo.
«So cosa mi avevate chiesto», la interruppe il carbonaio. «Ma mi dovete capire: prima di consegnarvelo voglio essere sicuro».
Lucia sbuffò. Nonostante la sua speranza che il carbonaio eseguisse gli ordini alla lettera, aveva previsto che potesse agire in quel modo. Anche lei, probabilmente, al suo posto avrebbe fatto lo stesso… «Sapete perché ho scelto voi?»
«Perché sono veloce di testa?»
«Diciamo che a differenza di molti vostri concittadini riuscite a vedere le opportunità…».
Della Valle si assestò sulla panca, irrequieto. Sentiva una vocina insistente che non gli permetteva di godersi la meritata ricompensa. «Appunto. Già che siamo in argomento, c’è una cosa che devo chiedervi».
La ragazza sollevò lo sguardo quel tanto da riuscire a inquadrare l’espressione corrucciata del carbonaio. «Un’altra ragione per la quale vi ho scelto è che non dovevate fare domande. Nell’affare tutti hanno da guadagnare, vi basti sapere questo».
L’uomo si grattò la fronte. «Tutti tranne uno… mi pare. La sorte di Gonnella porpora è proprio ciò che mi preoccupa. E non stiamo parlando di uno qualunque, se m’intendete».
«Questo non è affar vostro. Appena sarà il momento sarete lontano e nessuno vi collegherà… all’accaduto. Se l’aveste portato, per voi la faccenda sarebbe finita oggi».
Della Valle emise un grugnito.
Non accettare. Non ti fidare. Quanno er diavolo te lecca è sségno che vvo’ l’anima.
Le parole di Rita ricominciarono a tamburellargli nel cervello. «Quando il diavolo ti lecca», ripeteva sempre, «significa che vuole la tua anima». In parole povere, era tutto troppo bello per essere vero.
«Quello che mi preoccupa…». Il carbonaio abbassò la voce, guardando l’oste che severo strofinava il bancone. «Lo sapete… Non fatemelo dire… è il Sant’Uffizio».
Lucia scacciò quell’ultima affermazione con un gesto della mano. Così facendo richiamò l’attenzione dell’energumeno che era rimasto di guardia accanto all’ingresso. «Rudolf, la borsa».
L’omone si avvicinò a grandi passi al tavolo, su cui poggiò una vistosa cartella di pelle.
«Ormai non potete più tirarvi indietro, lo sapete anche voi». Lucia prese a frugare nella borsa e ne estrasse una penna d’oca e un calamaio. «Al momento giusto, prenderete armi e bagagli e vi toglierete di torno. Basta gabelle e fascinaroli di Ripetta». La ragazza fece una pausa, che nelle sue intenzioni voleva essere rassicurante. «Il lago di Vico, oltretutto, è un bel posto dove stare. Nessuno verrà mai a cercarvi».
«E la ricompensa?»
«Siamo gente di parola, sempre che mi consegnate il bottino».
Della Valle si convinse, sospirando e pregustando la sua nuova vita. L’idillio durò però solo un istante: con un clangore fragoroso, la porta della bettola cigolò sui cardini e batté violentemente contro lo stipite. Un refolo d’aria, seguito da fiocchi neve congelata, si insinuò nel locale. Esattamente come tre uomini con sguardo truce e pistole alla mano.
Rudolf, che era ancora accanto a Lucia, fu preso di sorpresa. Aveva lasciato il piccolo Domenico fuori, di guardia, ma evidentemente non aveva fatto in tempo a dare l’allarme. Con un passo veloce scavalcò una panca e andò incontro agli intrusi.
Il carbonaio vide materializzarsi i suoi incubi e prese a tremare come una foglia.
«Si alzi. Deve venire con…», udì da uno dei nuovi venuti. Ma il tizio non riuscì a finire la frase, perché Rudolf afferrò la canna della sua pistola con la mano nuda.
«Mastro Della Valle, state calmo», provò a tranquillizzarlo Lucia. «Calmatevi, non sanno niente…».
E a quel punto, sulla soglia, il semplice alterco divenne una vera e propria colluttazione. Volarono ceffoni e spintoni e uno degli uomini rotolò su un tavolo. La pistola gli sfuggì, ma appena si rialzò estrasse un coltello e corse verso Lucia.
Nello stesso istante, il suo compare puntò l’arma e, sebbene Rudolf gli avesse strattonato il polso, partì un colpo. Un tuono assordante tagliò in due l’aria.
Lucia si mise dinanzi all’altro birro con il coltello, ma questo, più alto e nettamente più forte, con un colpo ben assestato la spinse via. Un dolore lancinante allo stomaco la fece trasalire. Portò le mani insanguinate al volto: la lama le aveva trafitto il ventre.
Incredula, si accasciò a terra, poco lontano dal carbonaio. Lui, immobile, stava seduto con la schiena ritta al muro e la bocca spalanca come per controbattere un’ultima volta agli improperi di Rita. Ma gli era andata decisamente peggio: l’unica palla di pistola sparata l’aveva trapassato proprio sotto un occhio.