Capitolo 34

Vigna Lanciotti, rione Ripa. Contemporaneamente.

All’imbrunire.

Annika azionò una delle spolette dal dispositivo chiamato il “marchingegno”. Si trattava di una struttura in legno, grande come un barile e somigliante a un telaio per la tessitura della seta. Era percorso da cavi e catenelle e sulla sommità svettavano numerose candele. Ne accese una e alcuni specchi appositamente orientati convogliarono la luce su una piccola gemma trasparente. Il riflesso illuminò la parete bianca, proiettando su di essa un testo scritto con grafia ordinata:

Postulato 4

Appunti per ipotesi.

⇒ IN

Influenza.

100 se il soggetto è estremamente persuasivo; 0 se non è ascoltato.

⇒ SA (detta anche CI)

Salienza, disponibilità a Cambiare Idea. Quanto ciascun soggetto è disposto a cambiare la sua idea, sulla base delle sollecitazioni altrui.

100 se è disposto a cambiare idea; 0 se non è disposto a cambiare idea.

⇒ PO

Posizione, ciò che un soggetto vuole, sulla base della sua posizione dichiarata o conosciuta.

50 se è indifferente; 100 se è vicino a una posizione; 0 se è lontano da quella posizione.

Pallida come il bagliore della luna nel cielo, Annika si voltò verso la porta, ripercorrendo mentalmente tutti i concetti del teorema. Erano anni che padroneggiava quei semplici parametri che scriveva nelle sue tabelle, ma per la prima volta si sentiva davvero in difficoltà. Tutte le ipotesi portavano sempre allo stesso tragico epilogo: la sua morte. E l’aspetto più grottesco era che aveva innescato lei stessa, aiutando il bargello, gli eventi che adesso segnavano il suo destino.

Sfiorò il manto bianco dei levrieri, acciambellati ai suoi piedi, e si alzò girovagando per lo scantinato. La luce proveniente dal marchingegno era l’unica a rischiarare quell’ambiente angusto. Nessuno a eccezione di lei e di mastro Elio sapeva usarlo e soprattutto nessuno sapeva dove Annika tenesse la pietra all’interno della quale era contenuto Il libro del destino.

La afferrò dal suo alloggiamento sul macchinario e la strinse nel palmo: era chiamata Omphalos, come il masso a forma di uovo che rappresentava l’ombelico del mondo nell’antichità. Grande come un acino d’uva, era stata realizzata da un alchimista napoletano, racchiudendo un libro in miniatura in un minerale sintetico. Grazie al sistema di specchi e spolette del marchingegno che aveva inventato il suo defunto marito, era possibile leggerne il contenuto, che veniva ingrandito e proiettato sulla parete.

Il libro del destino.

Se si trovava lì in quel momento era colpa proprio del libro che racchiudeva tutti i ventitré postulati di Archita. Le pergamene nelle quali erano stati trascritti nei secoli erano state copiate da molti scribi e adesso potevano stare nel palmo della sua mano. Ed era tutto perfettamente inutile, perché il suo piano era appena naufragato: lei sarebbe morta, esattamente come Altieri. Non c’erano margini di errore e purtroppo, adesso, anche Eliardo si era aggiunto alla lista dei cadaveri che camminavano.

Non era possibile fermare il vento del destino con la sola forza delle mani e l’imprevisto arrivo in città del capitano Van Axel ne era la prova. Arrestando Eliardo, il veneziano aveva fatto sì che la matassa si fosse tragicamente attorcigliata su sé stessa. Gli uomini del cardinale Aldobrandini erano già arrivati al palazzo di piazza Colonna e presto l’avrebbero scovata anche lì alla vigna. Lo sapeva con certezza, perché così preconizzava la nuova ipotesi 73567, a cui aveva appena finito di lavorare. Da quegli sviluppi, gli eventi sarebbero precipitati: Aldobrandini avrebbe preso coscienza del vero motivo per il quale i veneziani la cercavano, e lo stesso Van Axel sarebbe finito nei guai. L’epilogo che la riguardava si sarebbe così puntualmente compiuto.

Si sentì quasi soffocare dall’ansia, come se le stecche del corsetto le stessero trafiggendo il costato. Tutti i tentativi che aveva compiuto fino ad allora, da Rudolf fino a Eliardo, non avevano fatto altro che avvicinarla a ciò che voleva invece evitare.

Spense le candele del marchingegno e si avviò alla scala di sasso. Il lungo corridoio era invaso dagli ultimi bagliori del giorno, che disegnavano riflessi opalescenti sul pavimento. Mentre si dirigeva verso la porta, un’ombra le si affiancò, minacciosa.

«Il vostro piano è quindi fallito?». Costante Altieri poggiò le mani sui fianchi, assumendo la posizione di un’anfora. Il giorno precedente, dopo aver istruito Eliardo, Annika gli aveva raccontato ciò che l’alchimista aveva scoperto dal banchiere e gli aveva illustrato il suo piano.

«Cosa ve lo fa pensare?»

«Il fatto che la vostra variabile sia stata arrestata».

Annika sospirò, senza voltarsi. Non voleva mostrarsi incerta e non aveva intenzione di far vedere il suo lato più debole. Non lo aveva mai fatto e non avrebbe certo cominciato in quel momento. «Non dovete preoccuparvi», tuonò, senza che la sua voce tradisse la minima incertezza.

«Non devo preoccuparmi, dite?»

«Vi fidate di me?»

«Mi avete salvato, ve ne do atto». Il bargello si mordicchiò la lingua, incerto se proseguire. Decise di farlo. «Però, perdonatemi, non vedo come rimanere qui ci possa aiutare. Ho compreso cosa volevate dall’alchimista: volevate mettere Aldobrandini fuori gioco… e vi do atto che era un buon piano, se vi fosse riuscito. Le intenzioni del protettore, però, se non ho male interpretato… le sue attività con le cedole, voglio dire… tutto questo è molto più grande di voi e di me».

«Avete ragione. Noi ci siamo semplicemente trovati sulla sua strada e su quella del camerlengo nel momento sbagliato… Ciononostante, vi ho mostrato cosa accadrebbe se andaste a cercarlo».

«Ciò che mi avete mostrato è un’accozzaglia di calcoli matematici. Di ipotesi. Di possibilità… Davvero vorreste persuadermi che con quelli sapete prevedere il futuro?».

Annika strinse l’Omphalos che ancora teneva in mano. «Potete non credermi, Costante, ma fuori da quella porta vi aspetta una palla di pistola o una coltellata».

Il bargello sbuffò, scuotendo il capo. Ancora una volta si domandò la ragione per la quale si trovava lì. Un dubbio lo tormentava: lei lo aveva salvato perché voleva qualcosa da lui, oppure per una ragione molto più personale?

Ci aveva pensato diverse volte e alla fine si decise. Si avvicinò ad Annika e socchiuse le labbra. Era più alto della contessa, quindi chinò il capo e la tirò a sé sfiorandole la schiena. Depositò un bacio sulle sue labbra. L’avrebbe immaginato lungo e intenso e invece si rivelò molto diverso. Totalmente inespressiva, la contessa si ritrasse immediatamente, come se si fosse appena scottata.

Anche lui indietreggiò, imbarazzato. Lasciò trascorrere qualche istante, per cercare di leggere negli occhi glaciali della donna. Aveva rifiutato per pudore oppure perché non voleva? Ora era decisamente più propenso per la seconda possibilità. «Quindi cosa suggerite?», disse, più per cambiare argomento che per vero interesse.

Un sorriso falso si disegnò sul viso di pietra di Annika. «Suggerisco di fidarvi di me. Rimanete qui e attendete le prossime mosse». Così dicendo si voltò verso la scala, e nel frusciare di seta e pizzi della sua lunga veste salì le scale.

Attendete le prossime mosse.

Una lacrima invisibile le solcò la guancia. Purtroppo non c’era alcuna prossima mossa.

Poche ore dopo, a notte fonda, Altieri uscì furtivo dalla sua camera. Non era a causa del rifiuto della contessa. O forse era anche per quello: Annika aveva qualcosa di strano, di perverso. Lo teneva in trappola per il suo bene, diceva. Un po’ come un uccellino raro in una gabbietta. Non era affatto così: non aveva altri fini se non quello di saperlo a sua disposizione, esattamente come un Diderot o un Voltaire a due zampe.

Be’, aveva sbagliato persona. Lui non era un animale da ammaestrare e non era fedele come i suoi levrieri. Soprattutto, non si poteva metterlo a conoscenza di tutti quei sotterfugi e pretendere che se ne rimanesse con le mani in mano.

Con le dita a proteggere la fiamma di una candela, scese silenziosamente la scala e ripercorse il corridoio fino al salotto. A differenza del giorno precedente, Rudolf non era di guardia. O meglio, c’era ma dormiva su una poltrona, poggiato con il mento al calcio del moschetto.

Aprì il cassetto dello scrittorio della contessa, prese la cedola di madonna Rita che sapeva essere tra le carte, e andò alla finestra. La spalancò e saltò giù.