Capitolo 20

Nei pressi del tempio di Iside e Serapide, rione Monti. Più tardi.

Tre ore dopo l’Ave Maria.

«Non dovevi ucciderlo», ringhiò nell’oscurità il più basso degli aggressori di Altieri.

«È stato un incidente», si giustificò il compare. Era la verità: era successo tutto così in fretta che non si era neppure reso conto di ciò che era accaduto. C’era stato un alterco, il bargello aveva provato a difendersi e dalla pistola era partito un colpo.

«Voltalo. Vediamo se ha addosso la cedola».

Il più alto afferrò il corpo senza vita per una spalla e lo girò verso di sé. Il proiettile gli aveva trapassato il petto. Un rivolo di sangue lambiva la mascella e scorreva sul collo.

«L’hai trovata?»

«Guarda tu stesso».

Pochi istanti prima, Costante Altieri era smontato da cavallo e a piedi si era diretto verso casa.

«Bargello!». Achille Anniballi, uno dei suoi confidenti, seduto su un gradino della chiesa dei Santi Andrea e Bartolomeo, lo chiamò. Era intento a mangiare una crosta di formaggio e del pane e osservava tutti i passanti proprio in attesa che arrivasse lui.

«Achille, buonasera». L’esecutore di giustizia si avvicinò, camminando sul sagrato ricoperto di ghiaccio. Davanti al portone, ciuffi di paglia erano stati sistemati per terra, per evitare che qualcuno scivolasse.

«Avete qualcosa per me?»

«Vi cercavo nel pomeriggio».

«Avete notizie sull’aggressione al carbonaio?».

Il confidente ripose la crosta di formaggio in un lembo di stoffa lurido e strofinò pollice e indice, come per indicare moneta sonante.

«Parlate», lo spronò Altieri. Era stato lui, il giorno prima, a chiedere notizie alla sua rete di confidenti, per avere informazioni fresche dal popolino. «Se quello che avete da dire è interessante avrete qualche baiocco».

«Si dice in giro che a sparare sia stato uno degli sgherri di Ennio Massimo Viviani. O addirittura lui in persona».

Il bargello trasalì. Conosceva bene Viviani. Era stato un birro, tempo prima, ma poi aveva abbandonato l’ufficio per dedicarsi ad affari più redditizi. Aveva messo su un gruppetto di mercenari e si diceva che fosse al servizio del Sacro Monte di Pietà.

«Ne siete certo?»

«Così pare», annuì Achille, in attesa che il bargello estraesse dalla marsina il portamonete.

«Ecco, tenete, un baiocco». Altieri depositò la moneta tra le mani di Anniballi, che la guardò di sghembo.

«Non vale di più questa informazione?»

«Forse se me lo aveste detto prima…». Il bargello esalò un gran respiro con il naso, intendendo così mostrare il suo disappunto. Sarebbe stato interessante domandare qualcosa del Banco alla baronessa d’Acoz. Dopotutto, la cedola era uno degli strumenti monetari che il Monte di Pietà aveva messo in circolazione negli ultimi tempi…

«Io vi cerco da questa mattina», protestò Achille. «Poco fa sono venuto anche a casa vostra per dirvelo, ma non mi avete aperto».

«Non vi ho aperto perché non ero in casa: torno adesso da una lunga giornata…». Mentre lo diceva, Altieri ebbe un tuffo al cuore. Non mi avete aperto.

«Mi sarò sbagliato: mi pareva di avervi udito camminare all’interno…».

Le parole del confidente si confusero con l’avvertimento della baronessa di quella mattina: «Non tornate a casa».

Era vero, aveva sangue contadino nelle vene, ma non era uno stupido.

«Volete guadagnare altri cinque baiocchi?», incalzò, rivolto all’informatore.

Cinque minuti più tardi, la porta della casa di Altieri cigolò, ci fu un alterco e partì un colpo.

Dopo attimi di tensione, i due tangheri incaricati di cercare la cedola decisero di voltare il cadavere: forse poteva averla addosso.

«L’hai trovata?»

«Guarda tu stesso».

«Santi numi», esclamò il più alto. «E questo chi diavolo è?».

Il cadavere era di un uomo della stessa corporatura di Altieri, ma non era quello del bargello.

«Un ladro?»

«Aveva le chiavi!».

«Che Dio ce scampi. Mo’ so’ cazzi».

Altieri udì il colpo di pistola dalla strada. Aveva dato lui il suo mantello e l’arma ad Anniballi, ma non pensava certo che la usasse.

Si mise a correre nel vicolo e fece giusto in tempo a vedere due ombre rischiarate dalla luna che uscivano furtive dal portone.

«Fermi», alzò la voce.

I due si voltarono appena e cominciarono a correre verso il tempio della Pace.

«In nome del Cielo, fermatevi», provò ancora il bargello, senza ottenere l’effetto sperato.

La stradina, fiancheggiata da case di tre piani, piegava a sinistra e dopo poche falcate i due uomini scomparvero dalla sua vista.

Con il fiato corto, Altieri proseguì al buio, in un’oscurità tale che non avrebbe fatto differenza tenere gli occhi aperti o chiusi. Raggiunse il Conservatorio delle Zitelle Mendicanti e si fermò. Lì, una luce ambrata, come quella emanata dai santi nelle visioni, sfuggiva alle imposte chiuse: i due erano scomparsi e gli unici rumori venivano dall’edificio.

Il bargello girò su sé stesso, incerto. Era possibile che fossero entrati nel Conservatorio? No, non avevano avuto tempo sufficiente. In quel punto il vicolo incombeva su uno slargo, rischiarato appena da un lampione lontano. C’era un angolo, però, lateralmente, in cui la luce non arrivava. Non potevano che essersi nascosti lì.

Si mosse a grandi falcate. Non riuscì ad arrivarci che qualcosa di duro gli venne piantato nella schiena.

«Finarmente ce conosciamo».

Pochi istanti prima, Rudolf era smontato da cavallo. Le istruzioni che aveva ricevuto erano chiare: per quanto le previsioni dessero quasi per certa la morte del bargello, doveva fare di tutto per salvarlo.

Aveva già sbagliato con il camerlengo e non aveva intenzione di deludere la sua padrona una seconda volta.

Quando la facciata candida della chiesa dei Santi Andrea e Bartolomeo fu visibile, si fermò.

Il bargello si stava togliendo il mantello per farlo indossare a un uomo. Li vide confabulare e poi Altieri gli consegnò la sua pistola.

Trascorsero diversi attimi e alla fine i due si mossero. Raggiunsero la casa, dove entrò lo sconosciuto, e da lì gli eventi precipitarono. Un colpo di pistola e un inseguimento a piedi.

E adesso il bargello era in un vicolo angusto, con un lama di coltello puntata nella schiena.

«Dov’è il documento?», udì Rudolf. Uno dei due aggressori sembrava certo che Altieri l’avesse addosso.

Rudolf estrasse il suo quadrello e si mosse di corsa. L’ombra sui muri delle case lo faceva sembrare ancora più imponente di quanto realmente fosse.

I due mercenari si accorsero di lui solo all’ultimo istante. Il più sfortunato fu quello che teneva fermo Altieri. Rudolf gli piantò il quadrello nel collo e lo tirò per il giustacuore, facendolo rotolare sul selciato come un barile vuoto.

Il compare, il viso terreo, indietreggiò. Anche lui era armato di coltello, ma vedendo l’aggressore venire verso di lui lo lasciò cadere, alzando le mani.

Rudolf avanzò lentamente e lanciò uno sguardo al bargello, inginocchiato e con il fiatone.

Nel frattempo il tanghero si voltò, strisciando gli stivali per terra. Non c’era nessun altro. Indugiò ancora sul gigante sconosciuto, alto, biondo e con un mantello nero che lo faceva assomigliare a un pipistrello. Fissò il corpo del suo compare, riverso al centro del vicolo, e poi nuovamente l’arma appuntita che avanzava verso di lui.

E alla fine decise. Era meglio prendersi i rimproveri di Viviani che rimetterci le penne. Girò i tacchi e cominciò a correre come mai aveva fatto nella sua vita.

Rudolf lo seguì con lo sguardo fino a che non scomparve verso piazza delle Carrette. Poi si rivolse ad Altieri. «State bene?»

«Sto bene». Il bargello si alzò, ancora ansimante. «Grazie a voi».