Capitolo 30
Piazza del Monte di Pietà.
«La bolla di carico?». Stretto nell’abito talare e avvolto da un mantello che gli arrivava fino ai piedi, padre Prospero Ruffo squadrò le casse portate da Ciriello.
«Eccovi servito, una bolla per forzieri pieni di sassi», scherzò Eliardo, nei panni del mercante. Sembrava incredibile, eppure il giorno precedente il cardinale Aldobrandini aveva davvero creduto di essere dinanzi a un eccentrico e ricco napoletano.
Ruffo afferrò il documento bagnato dalle mani di Eliardo e lesse con calma.
Messer Ciro Ciriello. Totale 168 pezzi.
«Li volete, i soldi?», tuonò a indirizzo dei quattro uomini che avevano scaricato le casse. «Portate tutto dentro, allora».
«Come comanda». Il più anziano dei facchini chinò il capo, deferente. «Giovanni, Antonio, Nino… forza».
Sotto gli occhi vigili delle tre guardie che avevano accompagnato Eliardo per rendere più credibile la sciarada, sollevarono una cassa. E a quel punto ci fu un imprevisto: il più giovane dei facchini, forse a causa della neve, forse per il peso, scivolò. Barcollò all’indietro e fece cadere il baule, che si aprì, riversando i suoi lingotti di oro fasullo sulla piazza.
Per un istante calò il silenzio. Il sangue di Eliardo-Ciriello gelò, come l’acqua che fuoriusciva dal mascherone della fontana. Se il prete si fosse accorto che voleva truffarlo, sarebbe finita male… Certo, era previsto che al Banco se ne accorgessero, ma non subito. Era proprio quello il punto: la Congregazione che amministrava la banca lo avrebbe saputo solo dopo che il cardinale aveva firmato la cedola per il deposito. Un errore così grossolano, che avrebbe causato un danno da trentamila scudi, avrebbe portato a un’indagine interna. Aldobrandini sarebbe stato incolpato di superficialità e, nel migliore dei casi, avrebbe dovuto lasciare il suo incarico. Nel peggiore, forse, l’avrebbero anche arrestato… A ogni modo, la contessa avrebbe tolto dall’equazione la variabile che l’aveva messa in pericolo di vita.
Ma ora tutto rischiava di essere compromesso dall’inettitudine di uno dei facchini.
«Allontanatevi», ingiunse Eliardo, allargando le braccia. Scoccò il bastone da passeggio sul selciato e Scintilla, che aveva montato fino a poco prima, trottò verso di lui, a protezione dei lingotti. «Allontanatevi. Via di qui. Non fatevi più vedere».
Fortunatamente il prete si spostò di qualche passo. Non sembrava essersi accorto che i lingotti erano fasulli.
«Guardiamo il lato positivo… non dovrete aprire questo scrigno perché è già aperto», provò a scherzarci sopra Eliardo, ma il suo viso comunicava tensione, più che voglia di essere affabile. «È proprio vero che dietro ogni problema c’è un’opportunità». Si avvicinò alle guardie e mentre queste raccoglievano i lingotti di oricalco, cercò di distrarre Ruffo con la sua abile parlantina.
Ma l’atteggiamento del prete era improvvisamente mutato. L’alchimista si accorse subito che qualcosa non andava. I suoi sensi allenati al pericolo lo costrinsero a guardarsi attorno. Nel vento della piazza non c’era nessuno, eppure…
«Avete preparato le cedole?», indagò.
Ruffo si limitò a fissarlo. Il viso di Ciriello, segnato da una palpitante angoscia, gli ricordò quello di Viviani di tre settimane prima, quando tutto era iniziato con la morte di Della Valle.
Eliardo attese invano una risposta del prete, ma era come se lui attendesse a sua volta che a replicare fosse qualcun altro. No, capì subito l’alchimista, non attendeva che qualcuno rispondesse… attendeva che qualcuno arrivasse.
Udì gli zoccoli ferrati dei cavalli subito dopo. Un folto gruppo di birri sbucò al galoppo da piazza degli Specchi e si posizionò in cerchio attorno a lui. I suoi tre compari estrassero le armi, ma era del tutto inutile. Erano quattro contro venti.
Si rese conto della trappola in cui si era cacciato solo quando a capo dei nuovi arrivati, in groppa a un cavallo bianco, inquadrò un viso conosciuto: l’uomo che era stato ferito durante la fuga da Venezia. Il segugio che gli aveva dato la caccia nell’ultimo anno e mezzo: Lodovico Van Axel, capitano degli zaffi veneziani.
«Buongiorno, Eliardo», ridacchiò quest’ultimo, dall’alto della sella. «Finalmente ci rincontriamo».