Capitolo 67

Sestiere Cannaregio, Venezia, vigilia di Natale del 1763.

Un mese e mezzo dopo.

Mattio Mellan uscì da palazzo Soranzo Van Axel sollevando il cappuccio del mantello. Era metà mattina e aveva appena cominciato a nevicare.

Mentre scendeva i gradini della piccola corte, il Missier Grande dovette stare attento a non scivolare. Imboccò un sotopòrtego e si immise spedito su Campo di Santa Maria Nuova già imbiancato.

Era triste, e il fatto che i fiocchi umidi gli accarezzassero il viso a ogni passo era positivo. Nascondevano le lacrime, che quotidianamente gli appannavano la vista all’uscita dal palazzo della famiglia Van Axel.

Grazie a lui, il padre di Lodovico e suo genero erano riusciti a riportare il giovane capitano da Siena a Venezia. Le autorità toscane erano state liete di poter assecondare un desiderio della Serenissima, anche perché non avevano la minima idea di come curare il ferito. Lodovico era stato infatti colpito di striscio alla testa nello scontro a fuoco alla frontiera con lo Stato pontificio. Si era salvato, ma era rimasto come inerme. Non parlava e non si muoveva, trascorrendo l’intera giornata a fissare la parete affrescata dinanzi a lui.

«Occorre tempo», ripetevano a cantilena i migliori medici veneziani. «Non sappiamo come affrontare questi traumi che generano stati di iporeattività». Ma di tempo ne era passato moltissimo, quasi un anno ormai, senza che Lodovico facesse passi avanti apprezzabili. La verità era che la medicina brancolava nel buio.

Ogni mattina, prima di andare a occupare il suo ufficio al secondo piano di palazzo Ducale, Mellan così andava a trovarlo. Si sedeva al suo capezzale e gli raccontava i fatti accaduti i giorni precedenti. Parlava dei contrabbandieri di caffè scovati dagli zaffi, di qualche barnabotto sorpreso a barare in un ridotto, oppure delle tresche amorose che alimentavano i pettegolezzi.

Van Axel di solito non voltava neppure il capo. La suora che la famiglia gli aveva messo a disposizione gli dava da mangiare con la cura riservata a un infante e poi scompariva nelle superbe stanze dagli stucchi dorati. La scena si concludeva sempre nello stesso identico modo: le campane di Santa Maria dei Miracoli suonavano, Mellan afferrava il mantello sistemato ai piedi del letto e dopo un inchino usciva.

Passando sul ponticello imbiancato del rio Bagatini, quella mattina, con il gelo che gli veniva da dentro, il Missier Grande si strinse nel mantello.

Mai come in quel periodo l’essersi lasciato sfuggire la contessa d’Aumale tormentava i suoi pensieri. Se solo fosse riuscito ad avere a disposizione l’Omphalos, forse Lodovico avrebbe avuto una speranza. Le alternative che la medicina offriva infatti erano diverse, alcune pericolose, come la stimolazione nervosa praticata con aghi, altre più innocue. Si diceva che vi fosse un medico, a Bologna, che aveva risvegliato un malato simile, oppure che la medicina cinese fosse anni più avanti di quella veneziana. Qual era l’alternativa migliore? Quella che avrebbe garantito maggiori probabilità di successo senza peggiorare la situazione?

«Buon Natale», bofonchiò un mendicante nei pressi del ponte di Rialto.

«Buon Natale». Mellan non si voltò. Le calli attorno al mercato erano gremite di mercanti intabarrati e i burchi provenienti dall’entroterra, spolverati di neve, arrancavano sul Canal Grande.

«Buon Natale», ripeté la voce.

A quel punto Mellan girò il capo per un istante e constatò che il mendicante era ancora lì, dietro di lui. Lo aveva seguito. Distrattamente, estrasse una moneta e gliela lanciò, facendola roteare nell’aria.

L’uomo l’afferrò al volo e sorrise. «Speravo in qualcosa di meglio, Missier Grande».

A quelle parole, e soprattutto all’udire quella voce, Mellan si irrigidì. Si voltò di nuovo e questa volta osservò il mendicante con maggiore attenzione. Indossava una casacca da viaggio di fustagno e un mantello che gli copriva le spalle e il capo. Il volto però era perfettamente riconoscibile…

«Piacere di rivedervi».

«Voi?». Mellan abbassò il cappuccio per lo stupore, come se quel semplice gesto potesse permettergli di contemplare meglio l’uomo che aveva davanti. «Messer Salazar», commentò, sgomento. «O preferite essere chiamato de Broglie? Siete una visione degna del Moretto. Cosa ci fate di nuovo a Venezia?».

Eliardo accennò un inchino. Conosceva molto bene il pittore Alessandro Bonvicino, detto il Moretto. Il suo dipinto dello Spirito Santo che discendeva tra spazi di luce nel giorno di Pentecoste, in effetti, ricordava la sua estemporanea apparizione. «I quadri che possediamo, o nel vostro caso che citiamo, dicono molto di noi, Missier Grande. Siete un uomo di cultura e per questo sono venuto a cercarvi».

Mellan annuì, senza rispondere. Dietro di lui, le voci del mercato di Rialto stavano lentamente animando la calle.

«Ho sentito che il vostro amico Van Axel è stato ferito da uno schioppo e si dice che non si sia più ripreso: era venuto al confine con il Granducato per aiutare me».

Mellan conosceva per sommi capi quanto era accaduto, perché gli era stato raccontato a Siena, ma trovava difficile credere che Van Axel avesse aiutato de Broglie.

«Io e la contessa dobbiamo a lui se siamo vivi…», proseguì l’alchimista. «Si è battuto con onore per difenderci dagli uomini di un cardinale che l’aveva preso in ostaggio. Un uomo vile si è frapposto…».

«Non ci siamo incontrati per caso», lo interruppe Mellan. «Non è vero?».

A quel punto, l’alchimista si lasciò andare al suo solito sorriso sornione, carico di doppi sensi. Guardò verso Rialto e per un secondo ricordò l’ultima volta che era stato lì. Il capitano Van Axel lo aveva inseguito sul ponte e poi l’aveva arrestato davanti alla chiesa di San Giacomo per usarlo come esca con la contessa. Ironia della sorte, come erano cambiati i tempi: adesso il capitano era l’esca e lui l’inseguitore.

«Che cosa volete?», ringhiò ancora Mellan. La mascella squadrata, segnata dalle rughe, s’irrigidì.

Eliardo estrasse dalla scarsela una piccola chiave d’ottone e la mostrò al Missier Grande quasi fosse stato il Santo Graal. «Voglio raccontarvi una storia che sono sicuro sarà di vostro interesse».