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Il Mirador de San Nicolás era una terrazza lastricata adiacente alla chiesa, con una croce di pietra al centro e sette o otto alberi. La luce del sole filtrava attraverso i rami spogli, riscaldando i turisti in maniche di camicia che erano riusciti a trovare la strada nel dedalo di viuzze che salivano dal fiume.
Alcuni si radunarono attorno a un duo di artisti di strada, un tizio capellone e peloso, chitarrista flamenco, e un altro con il tamburo, impegnato a suonare i pezzi della Carmen che tutti preferivano; altri erano ipnotizzati da un venditore di gioielli, ma la maggior parte stava contro i bastioni o sulle massicce panchine in pietra a godersi il paesaggio. Un paio di asini passarono, mostrando l’indifferenza più totale.
Continuai a seguire il flusso. Non era difficile. Ogni metro dei palazzi dell’Alhambra da quel lato della valle era affascinante come prometteva la guida. Ordinai un caffè e una pasta in un bar lì vicino e osservai chi andava e veniva nella piazza. Il venditore di gioielli stava facendo grossi affari.
Prima di tornare in albergo a prendere la mia auto a noleggio, m’infilai in chiesa. Un prete con la tonaca era impegnato a sistemare i libri delle preghiere e a togliere la polvere dalle panche disegnate in modo da farti restare sveglio durante la predica. Sorrise e annuì quando accesi una candela. Non stava diventando un’abitudine: avevo bisogno di dare l’impressione di avere un motivo per essere lì.
Tornando in centro comprai un cellulare usa e getta e due sim di una compagnia locale, poi mandai giù un paio di tapas come portafortuna.