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Plaza della Marina,
Malaga
Lunedì 6 febbraio
ore 18.09
Il volo Air France dal Charles de Gaulle era sovraffollato di coppie di pensionati, eccitati, coperti di gioielli, diretti alla Costa del Sol. Sembrava che si fossero messi tutti d’accordo nel vestirsi di arancio per aiutarsi a calarsi nell’umore giusto.
Avevo lasciato l’auto nel parcheggio a lungo termine a Gatwick e poi ero tornato a St Pancras passando per Victoria. Lasciai l’Eurostar alla Gare du Nord ed effettuai il rituale antisorveglianza prima di prendere il treno RER B per l’aeroporto. Se padre Mart aveva interpretato bene le indicazioni di Trev, non volevo condurre i nemici direttamente al nascondiglio di Ella.
Dopo essermi congelato le palle a Glencoe, nelle Black Mountains, a Mosca e a Belgrado, la costa meridionale della Spagna mi fornì una dose di vitamina D molto gradita. Cominciavo a capire perché i vecchietti coperti d’oro erano così determinati a voler salire per primi sulla navetta. Quindici gradi non sono certo un caldo insopportabile ma sono molto meglio del tempo da giaccone.
Noleggiai una Seat Leon con motore turbo e la puntai sulla statale. Il cielo era di un azzurro accecante e il cartello stradale mi comunicò che ero cento chilometri a est di Gibilterra. Non tornavo laggiù dal 1998, e anche quella volta non ero in vacanza. I Det non avevano l’autorizzazione legale a operare fuori dalla Provincia, ma quando sei sulle tracce di un’unità dell’IRA con una vagonata di esplosivo ad alto potenziale sei costretto a fare uno strappo alla regola. Li avevamo seguiti sulla Rocca e catturati tutti e tre prima che avessero la possibilità di innescare l’ordigno.
Avrei ancora potuto raggiungere Granada in tempo per trovare un albergo e fare un giretto prima che facesse buio, soltanto se fossi andato diretto e senza guardare in continuazione lo specchietto retrovisore. Invece comprai la cartina più dettagliata dell’Andalusia che riuscii a trovare e presi la strada panoramica che attraversava il porto di Malaga, poi il labirinto di palazzoni e rovine in centro, dove i castelli dei Mori, le rovine romane e l’immensa cattedrale barocca si mescolavano a giardini all’italiana, boutique esclusive, ristoranti stellati e affollati bar di tapas.
Poi, mentre il sole iniziava a calare sotto le cime della Sierra Blanca, mi diressi a ovest, attraverso l’urbanizzazione selvaggia e lungo la costa di Marbella; i lampioni illuminavano i palazzi intrappolati nei porticcioli e l’ombra delle palme si allungava sulle spiagge.
Per tutto il tempo finsi di perdermi e tornai indietro un bel numero di volte, come farebbe un turista inglese che non sa come comportarsi con la guida a destra e che non vuole pagare gli euro in più per il navigatore satellitare. Quando fui convinto che nessuno in coda nel traffico mi stesse seguendo, mi diressi a nord verso Córdoba, poi tornai indietro attraverso una sequenza infinita di uliveti, fino alla città che Boabdil aveva abbandonato più di cinquecento anni prima.