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Tornai in fretta alla Saab, azionai l’apertura del bagagliaio, poi sollevai Koureh dal sedile e ce lo buttai dentro. Aprii lo sportello del conducente e collaudai la misura del bastone nel vano dei pedali. Quindi mi sistemai al volante, misi in folle e accesi il motore.
Cinquanta metri più giù lungo il vialetto c’era una deviazione verso destra che attraverso gli alberi portava alla radura dove avevamo lasciato la Mercedes danese. Quando la raggiunsi era già buio.
Parcheggiai e mi diressi a piedi verso il promontorio roccioso, che sovrastava il bordo del lago come un trampolino. Sulla spiaggia in lontananza brillavano un paio di luci.
A mezzogiorno, quando eravamo arrivati, l’acqua del lago era cristallina fino a dieci metri di profondità, ma non si riusciva a vedere il fondo. Adesso sembrava petrolio. Immaginai fosse perfetta per la mia versione di un funerale vichingo. Koureh avrebbe dovuto fare a meno della lunga barca funeraria avvolta dalle fiamme e delle bevande nei corni, ma lui quel genere di stronzate non le meritava comunque.
Accesi di nuovo il motore della Saab e indietreggiai di circa venti metri. Quelle auto hanno la trazione anteriore e pesano più di una tonnellata, quindi mi serviva un tratto di rampa prima di raggiungere il trampolino. Inserii la seconda e, con il piede sinistro sulla frizione e il destro sul freno, con il bastone abbassai il pedale dell’acceleratore di qualche centimetro. Poi sollevai entrambi i piedi, afferrai la parte alta del volante, sollevai il sedere e risalii all’indietro sul morbido cuoio.
La Saab oscillò per un attimo e avanzò, prendendo velocità. Tenni fermo il volante. Appena fui certo che l’andatura fosse quella giusta e che non si sarebbe fermata, scavalcai lateralmente la portiera del conducente, toccai terra e rotolai. Non fu semplicissimo. Avrei avuto anch’io un paio di lividi il mattino dopo.