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Le cime innevate delle Tre Sorelle graffiavano il cielo alla mia sinistra. Giunto a Loch Leven presi una strada sulla destra e iniziai a salire verso il centro che Al usava quando i suoi ragazzi portavano uomini e donne d’affari ai corsi direzionali, o quando insegnava ai giornalisti televisivi svedesi come evitare di essere uccisi dalle granate di un RPG.
Parcheggiai la Škoda accanto al minibus della AGS e raggiunsi un edificio che sembrava scavato in un blocco di granito e poi rivestito di tartan. Una ragazza con i capelli rossi e un sorriso radioso mi disse che ero fortunato. L’esercitazione di team building si svolgeva al giardino del masso, poco più in su lungo il fiume.
Dopo mezz’ora di marcia arrivai all’accampamento accanto a un tratto di rapide con gorghi e rocce. Due gruppi di sette persone su gommoni con la poppa rinforzata pagaiavano come pazzi per non essere sbalzati nell’acqua ghiacciata. Il fianco della valle saliva alle loro spalle, con strisce sgargianti di verde e rosso ruggine, e con la cima spruzzata di bianco.
Mentre i suoi aiutanti correvano dappertutto lungo l’argine in completa tenuta arancione Helly Hansen, Big Al era in piedi su un meteorite di taglia media, con un parka verde oliva e il kilt, e agitava il suo bastone come se stesse dirigendo il concerto di Capodanno. I suoi baffi si erano allargati in una barba che avrebbe fatto invidia a molti esploratori polari.
Dopo dieci minuti, iniziai a battere piano le mani.
Al si voltò, identificò il suo pubblico e ruggì. «Chi ti ha invitato, Stoner? Non hai letto il cartello? C’era scritto ’nessun inglese di merda’!»
Mi spostai sull’argine. «Accanto c’era un altro cartello con su scritto ’Niente Campbell di merda’, così a quanto pare siamo tutti e due nei guai.» I rafter raggiunsero un colino, uno stretto corridoio fra le rocce dove l’acqua scorreva più forte e scendeva di un metro, un metro e mezzo, prima di precipitare a cascata sul giardino delle rocce. Il capo urlava comandi pressanti mentre gli altri lottavano con le correnti in aumento.
«Forza! Forza! Forza!»
I due equipaggi si impegnarono al massimo, ma vidi alcune persone che iniziavano a desiderare di essere rimaste dietro la scrivania con la macchina del caffè a portata di mano.
Al saltò dal suo podio di granito e si avvicinò per darmi una manata tra le scapole. «Bello vederti, Nick. Ci era giunta la notizia che avessi disertato.»
Gli restituii la pacca sulla schiena ma prima che iniziassi a parlare, il secondo gommone si capovolse contro il pilone in pietra nella parte più lontana delle scale e poi straorzò. S’impennò e scagliò un’agitata ragazza con i capelli neri nella schiuma. Lei agitò le mani per un attimo e poi scomparve. Il suo elmetto tornò a galleggiare quasi subito, ma lei no.
Mi strappai di dosso il giaccone in Gore-Tex e mi tuffai.
Cazzo, era gelida.
Riuscii a capire dov’ero, spinsi la testa fuori dall’acqua bianca e cercai di aprirmi un varco con un misto scombinato di rana e crawl. Mi sentivo intrappolato nel cestello di un’enorme lavatrice in compagnia di un paio di ippopotami gonfiabili.
Raggiunsi il punto dove avevo scorto per l’ultima volta la ragazza e vidi sotto di me una spirale che poteva essere formata da alghe o, forse, capelli, e più in basso un baluginio azzurro. Sbattei con forza le gambe e mi inabissai verso di lei, aiutandomi con le braccia finché non riuscii ad agganciare con le dita congelate la cinghia del suo giubbotto salvagente. Con i polmoni che mi scoppiavano, la sollevai, ma persi la presa quando arrivai in superficie e una pagaia impazzita mi colpì dietro l’orecchio.
Tornai sotto, con le braccia e le gambe che si agitavano freneticamente, e a quel punto non sapevo davvero da che parte girarmi. L’acqua delle sorgenti delle Highlands possono incasinarti il cervello quando ti entrano con forza in bocca, nel naso, negli occhi e allo stesso tempo ti fanno rotolare ancora, e ancora, finché non ti importa più come andrà a finire.
La mia testa entrò in collisione con un blocco di granito e nel cervello sentii un orribile rimbombo. Poi il buio.