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Rasskazovska, Mosca
Mercoledì 1 febbraio
ore 10.05
Ho perso il conto dei film che ho visto in cui il protagonista si trova da solo dal lato sbagliato di una ringhiera, mentre osserva la vita che non può più condividere, ma mai avrei pensato di trovarmi nei suoi panni.
E in quel momento ero lì, nel complesso recintato di Anna, a osservarla mentre reggeva nostro figlio sulla sella di un piccolo dinosauro di legno montato su una molla mentre i bambini più grandi correvano dappertutto, saltando e scendendo da giostre e altalene. Fuori la temperatura era di sei gradi sottozero, ma per i mesi più freddi qualche genio aveva montato una cupola gonfiabile sopra il parco giochi che veniva riscaldata con aria tiepida.
Lei aveva un’aria felice, era da un po’ che non la vedevo così, ed era ancora più bella. E il nostro ragazzino si divertiva un sacco. Il suo sorriso era contagioso, e rimbalzava per tutta l’area giochi. Non vedevo l’ora di spiegargli quanto ci si possa divertire con un preservativo pieno di ketchup.
Il volo Aeroflot di mezzanotte per Mosca-Domodedovo era pieno di uomini in giacca di pelle, ma nessuno di loro aveva mostrato per me un interesse particolare, o almeno tale da unirsi a me nella seconda colazione della giornata. Dopo l’atterraggio ero passato da Shokoladnitsa e avevo preso un pancake con prosciutto e formaggio e una tazza della loro famosa cioccolata calda che avevo consumato mentre controllavo la zona circostante. Poi avevo raggiunto con noncuranza la fila dei taxi gialli e, dopo una breve trattativa a base di dollari e rubli, ne avevo preso uno per la periferia est di Mosca.