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I pioli di ferro della scala mi congelarono le dita fino all’osso. Erano anche scivolosi di brutto. Quando raggiunsi l’ultimo le luci di sicurezza erano ancora forti e i Giaccadipelle o si tenevano nell’ombra, o non avevano passato abbastanza ore sul tapis roulant.
Tenendomi stretto alla scala antincendio, afferrai il lato più lontano del tubo di scolo con la mano destra e incastrai lo stivale destro sul supporto che lo teneva fissato al muro. Pregai in silenzio e portai la mano e lo stivale sinistro a raggiungere gli altri.
Anche la gronda era in ghisa, e montata sull’assicella della trave della falda a mezzo metro sopra di me. Da ragazzini, Gaz e io non ci pensavamo un attimo prima di lanciarci, ma al momento il tubo di scolo era l’unico percorso utilizzabile. Quell’affare aveva tollerato sessant’anni di schifezze ed era ancora lì a raccontarlo.
Feci scivolare tutte le dita dietro al tubo e mi preparai a scalarlo, un po’ come Ken Marabula e i suoi compari delle Fiji si sarebbero arrampicati su una palma da cocco da ragazzini. Il trucco era procedere una mano dopo l’altra e applicare una pressione uniforme nelle scanalature di malta fra ogni linea di mattoni con piccole sporgenze per la punta dei piedi. Se mi fossi mosso a caso sperando per il meglio, avrei rischiato di staccare tutto dagli ancoraggi.
Il tubo lasciava il muro con un’angolazione a quarantacinque gradi e poi ritornava dritto dopo aver superato le gronde. La spalla mi faceva male e i muscoli dei polpacci erano in fiamme quando mi sollevai per superare la sporgenza. Spinsi la suola dello stivale destro contro l’ultimo tratto e sentii che la parte alta del tubo di scolo si piegava ancora di più verso l’esterno. La staffa si spostò e una vite saltò via dal punto di fissaggio.
Alla cieca, il mio piede sinistro riuscì a trovare abbastanza appiglio sulla giuntura da consentirmi di lanciare prima il torace e poi il ginocchio destro sopra il limite del tetto. Restai sdraiato lì per un momento a faccia in giù, immobile, con la gamba sinistra e una parte di sedere sospesi nello spazio.
Le tegole erano ruvide, e l’attrito mi impedì di scivolare giù, e poiché erano posizionate a incastri di creste e valli, fui in grado di afferrarle con la forza necessaria per sollevare tutto il mio corpo e rendermi invisibile dal parcheggio.
Dopo aver guadagnato un po’ di spazio tra i piedi e la gronda, rallentai il respiro, aprii la bocca e restai in ascolto. Una coppia di cani iniziò una gara a chi abbaiava più forte da qualche parte vicino all’Area Naturale. Ci mancava solo che due volpi di città si unissero alla festa. Alle mie spalle, una sirena della polizia ululò mentre avanzava su Old Kent Road. Nel silenzio che seguì, il freddo e l’umidità iniziarono a mordere i jeans, il giubbotto e la mia carne.
Non riuscii a resistere alla tentazione di verificare se la tegola in cima fosse ancora staccata. Lo era. Ma probabilmente non avrei mai saputo se il nostro nascondiglio era stato disturbato perché non potevo correre il rischio di dare un’occhiata. Non volevo che la mia sagoma si stagliasse sul tetto.
Mi appiattii contro le tegole e sperai che l’elicottero che avevo visto prima non avesse l’incarico di stanarmi. Un corpo caldo contro un tetto freddo sarebbe stato molto luminoso sullo schermo dello scanner a infrarossi.
Gli avventori dei pub iniziarono a uscire sui marciapiedi lontani. Un gruppo di amici rideva molto più forte di quanto ci si possa aspettare in un lunedì sera. Portiere che sbattevano e motori che venivano accesi. Una ragazza, i cui tacchi alti ticchettavano su Tabard Street, urlava al cellulare. Quando fu fuori portata d’orecchio, mi resi conto che la sua migliore amica sapeva della sua giornata molto più del necessario, e anche io.
Scese di nuovo il silenzio. Sotto di me i televisori erano spenti e le luci abbassate. La mia spalla pulsava e sentii un crampo al piede destro. Non mi sarei messo a sedere per togliermi le Timberland, quindi non potevo fare altro che flettere le dita del piede e cercare di ignorarlo.
Stavo per strisciare dall’altra parte del colmo e poi giù verso il ponteggio a torre sul lato del cortile, quando sentii dei passi vicino alla scala. Chiunque fosse laggiù si teneva nel punto più lontano della discarica, perché i sensori di movimento non scattarono. Forse l’uomo che non aveva gradito la cena stava per sistemarsi per la notte in mezzo ai sacchi della spazzatura.
Poi i LED di sicurezza si accesero mentre qualcuno con il passo non proprio leggero faceva del suo meglio per avanzare in punta di piedi sul pianerottolo verso la porta della casa di Gaz chiusa con le assi.