7

Harry correva a precipizio sul prato, brandendo un grosso bastone e urlando come una strega mentre lo scricchiolio di pneumatici sulla ghiaia annunciava l’arrivo di un’auto davanti alla casa.

Tutto chiaro. Aveva deciso di cestinare il piano A. Il piano B prevedeva di lanciarsi direttamente sulla vettura del bersaglio con l’unico intento di disintegrarlo a colpi di bastone.

Non era certo il miglior piano del mondo. Ma, in fondo, forse non era neppure il peggiore. Quando ero sgusciato da sotto i gradini avevo visto che Koureh aveva la capote abbassata, ma di sicuro non aveva intenzione di restarsene seduto ad ammirare il tramonto mentre un pazzo scatenato lo raggiungeva e gli fracassava la testa a bastonate.

Mentre Harry prendeva d’assalto il vialetto, Koureh orientò lo sterzo, pestò sull’acceleratore e colpì il suo aggressore a mezza coscia.

Harry roteò davanti all’automobile come una bambola di pezza. Si rannicchiò a terra, emise un debole gemito e grattò il terreno con le unghie, come un’aragosta che cerca di sfuggire alla pentola. Non sarebbe andato da nessuna parte per un po’.

Koureh frenò di colpo e inserì la retromarcia. Ci misi un secondo a capire che aveva in mente di finire il lavoro con Harry e non perdermi di vista. Lo raggiunsi mentre la ruota posteriore mancava la testa e sobbalzava sulla parte bassa del torace di Harry, e mi lanciai sul sedile posteriore nel momento in cui anche la ruota anteriore gli passava sopra.

Koureh sterzò per farmi perdere l’equilibrio, ma prima che la mano destra potesse inserire la marcia con un colpo violento, mi arrampicai e gli strinsi la gola con il braccio destro. Lo sradicai dal sedile, lontano dai pedali e dal volante. Il motore si spense e l’auto si fermò con un sobbalzo. Afferrai con la sinistra il polso destro e aumentai la stretta.

Gli unici suoni in quel momento erano il ticchettio del motore e i rantoli convulsi di Koureh mentre gli staccavo le spalle dallo schienale del sedile. Tese di scatto le gambe, cercando di spingere testa e corpo all’indietro per farmi perdere l’equilibrio.

Sollevò le mani, agitandole come un pazzo, per liberarsi dalla mia presa, ma senza successo. Furono necessari un paio di minuti prima di passare al piano C. Lasciai che il corpo di Koureh riprendesse posto sul sedile e mi buttai a terra scavalcando la fiancata della vettura.

Harry non si muoveva. M’inginocchiai accanto a lui. Nessuna emorragia esterna. Le gambe erano divaricate e gonfie. Il bacino era a pezzi e i due femori fratturati, ma nessuna scheggia ossea aveva perforato la pelle.

Mi era impossibile valutare l’entità delle lesioni interne, ma non mi sarei sorpreso se fegato e milza fossero stati spappolati. Gli infilai due dita nel collo. La carotide mi comunicò che qualcosa dentro stava ancora funzionando. Il cuore pulsava come un martello pneumatico.

Aprì gli occhi, di pochissimo. Avrei potuto bendarlo con il filo interdentale.

«È morto?»

Gli girai con delicatezza la testa verso la Saab perché vedesse cosa era appoggiato contro la portiera del posto di guida.

«Ottimo, Nick... ottimo...»

Con un lamento si voltò verso di me e guardò il suo corpo martoriato. «Niente male, vero?»

«Ho visto di meglio.» Assunsi un tono rassicurante. «Ma ho sentito parlare benissimo dei dottori svedesi.»

Abbozzò una specie di sorriso. «E io ho sentito parlare benissimo delle infermiere svedesi.»

«Nei tuoi sogni, amico» ghignai. «Non hanno tempo per gente brutta come te.»

Andare in un ospedale svedese era fuori questione, lo sapevamo entrambi. Certe cose richiedono troppe spiegazioni. Considerai di spacciarlo per incidente con omissione di soccorso, viste le sue ferite. Ma sarebbe rimasto bloccato a letto per settimane, e anche se avessimo lasciato la scena in fretta, saremmo comunque restati nel Paese. E nella merda.

In quel momento l’unica cosa che poteva fare era non muoversi. E lo sapeva. Doveva resistere e sopportare il dolore fino a che non l’avessi portato via da lì per poi decidere cosa fare in seguito.

«Amico, non andartene in giro, capito?»

Provò a roteare gli occhi. «Come se potessi...»

Quando tornai con il bastone a forcella, la radio e lo zaino di Harry, cominciava a imbrunire ma riuscii a vedere che si era sollevato sui gomiti e che un barlume di luce gli era tornato nello sguardo.

«Non intendo scusarmi di nuovo, Nick. Avevo bisogno che sapesse che eravamo noi.»

«Ci sta.» Buttai il bastone sul sedile del passeggero della Saab. «Però, la prossima volta che decidi di fare il kamikaze, avvertimi prima. Se avessi saputo cosa avevi in mente, non avrei sprecato tanto tempo a cercare di trasformare la casa dei sogni di Koureh in un cocktail party a base di Molotov.»

«Non ci sarà una prossima volta.» Gli tremavano le labbra. «Non ci saranno altri incarichi, amico. Lo sappiamo tutti e due.»

Stavo per ricordargli il figlioletto di sei anni, ma non era il momento. «Di questa merda ne parliamo dopo.»

Gli chiusi la lampo della felpa, mi scrollai di dosso il giubbotto e coprii la parte superiore del suo corpo per non disperdere il calore corporeo.

«Adesso devo sistemare la Saab e il cadavere. Appena possibile torno a prenderti con la Mercedes e a ricollegare il gas.»

Prima di infilargli lo zaino sotto la testa tirai fuori l’acqua. «Ti accenderei una Camel, ma non ti fanno bene, e tu lo sai. Devi accontentarti di questa...»

Quando gli portai la bottiglia alle labbra rifiutò.

«No, amico... Il problema è mio. Io ho fatto casino.»

La posai sulla ghiaia accanto a lui nel caso cambiasse idea.

Medaglia al valore
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