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Non ho mai avuto problemi a dormire dove capitava o a indossare gli stessi vestiti e puzzare di merda e di pittura per camuffamento e sentire le dita dei piedi appiccicate negli stivali per settimane e settimane, ma non riuscivo a ricordare una doccia che mi avesse fatto sentire bene come quella.

Gli uomini di Al ci avevano caricato nella Defender e riportati al centro, mi avevano ricucito e medicato la ferita alla testa e dato una cioccolata calda, shampoo, gel e asciugamani morbidi.

Avevo ammucchiato i vestiti di ricambio su una sedia, aperto l’acqua ed ero entrato nella doccia. Il trucco è non partire da subito con l’acqua troppo calda ma lasciare che il corpo si riprenda a poco a poco. Devo aver lasciato che il getto scorresse sul collo, sulle spalle, sul torace e sulla schiena per circa mezz’ora e alla fine avevo la sensazione di aver fatto un massaggio completo, ed ero anche pulito.

Anche Al sembrava un uomo nuovo. Lo trovai al bar accanto al camino con un bel fuoco, con una dose di single malt accanto al gomito. Qualcuno gli aveva procurato un altro kilt immenso e l’espressione, strigliata di fresco, da tricheco era tornata al suo posto. Ma in lui c’era anche un velo di tristezza. Forse quella roba del Glencoe ti si infilava nelle ossa se ti fermavi troppo a lungo.

M’indicò una comoda poltrona di pelle e si sporse in avanti quando mi misi a sedere. «Scusa, Nick. Sono stato un coglione là fuori.»

Ci avevo visto giusto riguardo al suo stato d’animo. Non era il momento di battute leggere. «No, amico, sono io che devo scusarmi. Era il tuo spettacolo. E un deficiente in abiti da passeggio non dovrebbe mai cercare di tirar fuori qualcuno con il salvagente e la muta termica da un fiume freddo come il ghiaccio.»

Un’assistente di Al mi portò un’altra cioccolata calda. Non ne potevo più, ma lei stava semplicemente applicando alla lettera le istruzioni «niente alcolici e niente caffeina». Entrambi agiscono come vasodilatatori e accelerano il flusso sanguigno verso la superficie della pelle mentre dovrebbe concentrarsi unicamente sugli organi vitali.

Fissammo entrambi le fiamme danzanti.

Ruppi il silenzio per primo. Toccai la medicazione sopra la tempia. «Sto diventando un rammollito. Prima ero in grado di calcolare con lucidità il rischio e il risultato in situazioni simili, ma adesso, se c’è di mezzo un bambino, mi butto senza ragionare.»

Prese un sorso del suo scotch e lo fece scorrere sulle papille gustative. Poi piegò la testa piena di capelli. «Anch’io. Soprattutto da quando si è ammalata Catriona.»

«Catriona, Al, non sapevo...»

«Non c’eri. E non l’abbiamo detto in giro. In parte perché è una cosa privata...» Esitò. «E in parte perché, a essere sincero, ancora non voglio crederci... Cancro. Le è stato diagnosticato quattro mesi fa.» Tenne gli occhi fissi sul fuoco. «Sto perdendo la ragione. Ho passato la vita intera ad affrontare ogni colpo a testa alta, e adesso accade questo e corro a nascondermi.»

«Le ragazze?» Mel e Elspeth avevano circa vent’anni.

«A pezzi, ovviamente. Non che lo diano a vedere. Sono molto più brave di me a gestire la situazione. Sai come sono le donne. Fanno quello che serve e dicono quello che pensano. Io sono soltanto un grosso ammasso di gelatina inutile.»

E finalmente si girò verso di me. «Ti va di venire a Arisaig, per la notte? Mi servirebbe un po’ di compagnia. Cat è a metà del ciclo di chemio al Beatson, così si ferma a Glasgow.» Fece una pausa. «E credo proprio che tu non sia venuto quassù nelle Highlands soltanto per fare un tuffetto nella nostra leggendaria acqua di sorgente.»

Medaglia al valore
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