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Una volta arrivate a Munkkiniemi, Irma volle offrire il pranzo a Siiri in un ristorantino francese di via Laajalahti. Siiri non sapeva che, prima del suo tour per gli ospedali di Helsinki, la sua amica aveva fatto in tempo ad andarci spesso e ormai conosceva tutto il personale. Un giovanotto straordinariamente affascinante si precipitò ad abbracciarla e un altro, barbuto, le portò la giacca al guardaroba. Per un po’ parlarono in francese e, alla fine, l’abbracciarono di nuovo.

«Hai visto? Non ho dimenticato neanche il francese, anche se ero scimunita» disse Irma orgogliosa, non appena quei ragazzi tornarono al lavoro. Il più basso era il cuoco, quello alto e bello il cameriere.

«È della Martinica» proseguì, e raccontò la vita di quell’uomo per filo e per segno, piena di fratelli e di colpi di scena. «Ora che ci lascerà, per noi sarà lutto nazionale.»

«In che senso, ci lascerà?»

«Sei andata sette volte al corso base dell’istituto civico e il francese ancora non lo capisci? Ha appena detto che resterà qui solo altre due settimane, deux semaines. Per questo mi ha abbracciato così calorosamente. La prima volta perché credeva che fossi morta, e la seconda perché dovrà lasciarmi!»

«È vero, saresti potuta morire» commentò Siiri.

«È un peccato che qui non possano servire vino rosso. All’Ikea c’è, e in un ristorante francese no, pensa un po’.»

Finalmente potevano festeggiare che Anna-Liisa si fosse sposata per la terza e ultima volta, che Irma fosse tornata di nuovo a casa e non fosse diventata demente, che pure la sua anca fosse guarita con un solo chiodo in titanio incandescente, e che con un colpo di fortuna le avessero ingegnosamente procurato una nuova casa. Usava ancora il girello, ma Siiri era sicura che, prima dell’arrivo della neve, ne avrebbe fatto a meno e si sarebbe nuovamente aggrappata al suo amato Cavalier Gastone.

«Probabilmente. E a settembre festeggeremo il tuo novantacinquesimo compleanno» disse Irma che, come d’abitudine, programmava la sua vita.

Al tavolo accanto c’era un bambino appena nato che iniziò a piagnucolare. Irma aveva sempre avuto un debole per i bambini molto piccoli, e quello doveva avere solo qualche settimana. Riuscì a scoprire che si chiamava Rudolf e che di notte teneva sveglia la sua mamma. La donna scoprì il seno e iniziò ad allattarlo, proprio davanti a loro, malgrado stessero pranzando. Persino Irma ebbe qualche difficoltà a sorridere al suo nuovo amico in quelle circostanze, e tirò fuori un altro argomento di conversazione.

«Come vanno le tue faccende giudiziarie?» domandò con leggerezza, come se stessero parlando di pulire i vetri. Al Lieto Tramonto dovevano arrangiarsi a fare anche quello. Nessuno era venuto a lavarli, sebbene l’estate fosse ormai agli sgoccioli e sui vetri ci fosse ancora il fango dell’inverno precedente, tanto che il sole riusciva a malapena a entrare. Tutti i vecchi malconci che non potevano andarsene al ristorante come loro se ne stavano chiusi al buio senza sapere se fosse estate o inverno.

«Non cambiare argomento. Finirai in galera per quell’incendio?»

Siiri raccontò quello che sapeva. Mika l’aveva tenuta aggiornata, non scompariva più misteriosamente come un tempo. Il suo ricorso era stato inviato da qualche parte, stava seguendo il suo iter e lei non aveva nulla di cui preoccuparsi. Sapeva bene quello che era successo e soprattutto quello che non era successo. E il fatto che possedesse senza autorizzazione le chiavi del reparto d’isolamento non era una prova sufficiente per metterla dietro le sbarre. Non era stata lei ad appiccare l’incendio e, se al Lieto Tramonto c’erano dei criminali, stavano nella direzione della Fondazione amorevoli cure per gli anziani. E di certo i cattivi avrebbero avuto la punizione che meritavano.

«Speriamo. Forse un giorno o forse mai lo scopriremo» disse Irma, spargendo un po’ di zucchero sulla sua baguette.

«In ogni caso, la faccenda richiederà molto tempo, e intanto a me non può succedere nulla.»

«Certo che può succedere qualcosa. Magari puoi morire. Ah, come scricchiola magnificamente lo zucchero sotto i denti!»

«È vero, ed è confortante. Ed è meraviglioso che tu sia di nuovo qui con me!» disse Siiri, e lo pensava davvero, fin nell’ultimo angolino del suo cuore malandato. Irma capì e disse che, prima del suo compleanno, avrebbero dovuto organizzare una grande festa in omaggio alla sua resurrezione.

«Visto che non c’è stato un ricevimento di nozze, organizzeremo una festa con i fiocchi, con lo champagne. Anche se, certo, quello pizzica nello stomaco e fa fare i ruttini. E se preparassimo solo del punch?»

«Punch o champagne, va bene lo stesso» rispose Siiri, stanca e felice. «Che altro hai architettato?»

«Che inizieremo a suonare il pianoforte a quattro mani. Sono già andata a parlare con la scuola di musica.»

Siiri immaginava che quelle scuole fossero dedicate ai bambini, ma Irma si era informata. Il direttore le aveva chiesto se avessero mai preso lezioni di piano in passato. Quando lei gli aveva risposto che il loro ben avviato esercizio musicale era stato interrotto dallo scoppio della guerra settantatré anni prima, aveva smesso di fare domande.

«Ma prima ancora che inizino le lezioni di piano, andremo al corso di Internet.»

«Cosa?»

«Dai che hai sentito bene. Si svolge all’istituto per la terza età di Munkkiniemi, accanto al centro di salute. Lì ci insegneranno per bene cos’è e come ci si naviga. Lo sai, senza Internet non si tira avanti.»

«Dovremo comprarci un computer?»

«Certamente! Adesso però non ci sono più i computer ma i tablet: si tocca, si accarezza, e lo strumento obbedisce docilmente. Ci prenderemo quello. Io lo voglio verde, ne ho visto uno tra le offerte di Stockmann.»

«Oh Irma, che forza che sei! Cos’altro mi potrà ancora succedere insieme a te?»

«Morire» rispose. Rise di gusto e finalmente disse quello che Siiri aspettava da tempo: «Tic tac, tic tac, tic tac.»