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Al Lieto Tramonto ci si accorgeva appena che era Natale. Il responsabile operativo d’istituto Erkki Hiukkanen aveva sistemato in salottino un abete spelacchiato, un gruppo di bambini dell’asilo era venuto a intonare canti natalizi e al laboratorio di manualità, con un po’ di ambizione, avevano tentato di realizzare delle decorazioni con filo e paglia. Molti degli inquilini della Villa raggiungevano i loro parenti, ma erano sempre più numerosi quelli che trascorrevano i giorni di festa alla residenza.
Per molti anni Siiri era andata da sua figlia a festeggiare il Natale con i nipoti. Quell’anno l’avevano avvisata con molto anticipo che avrebbero fatto tutti insieme un safari in Sud Africa. La ferì che andassero “tutti insieme” da qualche parte e lei non facesse più parte del gruppo. Comunque, nemmeno la figlia faceva più parte del Natale dei propri figli, dopo che si era trasferita in un convento di monache francesi. E neanche con una pistola puntata alla tempia Siiri sarebbe andata a passare le festività dall’altra parte del pianeta, tra la fame e le malattie.
Obbligata dalle circostanze, e in parte per sua stessa volontà, sarebbe rimasta nella residenza, in santa pace. Non avrebbe fatto né ricevuto regali. Non aveva più bisogno di nulla, letteralmente. La dama col cappellino aveva provato a mettere in piedi un meccanismo terribile per cui ognuno doveva comprare un regalo per qualcun altro. I doni sarebbero stati poi distribuiti nel corso di una serata da uno dei residenti vestito da Babbo Natale.
Reino sarebbe stato entusiasta di vestirsi da Babbo Natale, ma quel sistema di scambio dei doni non l’avrebbe per nulla convinto.
Dopotutto, che cosa poteva mai venirne fuori? L’ambasciatore ne avrebbe comprato uno troppo costoso e la dama col cappellino avrebbe cercato di risparmiare a ogni costo. L’unica che in passato aveva tentato di mantenere viva la tradizione dei regali era stata Sinikka Sundström, ma anche lei quell’anno aveva abbandonato i buoni propositi e con largo anticipo aveva fatto consegnare a tutti un bigliettino. Comunicava che la direttrice, al posto dei fiori e delle scatole di cioccolatini, avrebbe accolto più volentieri fondi per la sua cassa viaggi.
La mattina della vigilia Siiri dormì fino a tardi, si preparò un buon caffè e lesse con attenzione il giornale. In quel modo un’oretta passava facilmente. Ascoltò poi i canti di Natale alla radio. Era contenta che ci fosse ancora Yle Radio 1 a mandare in onda programmi decenti. Ma a un certo punto, durante la trasmissione dedicata alla scienza, cominciarono a parlare di cellule staminali, satelliti spaziali e ghiandole anali dei cani. Argomenti adatti al Santo Natale, non c’è che dire. Allora spense la radio e guardò l’orologio. Mancavano ancora due ore per il pranzo nella mensa al piano terra. Adesso era il momento della preghiera e dopo sarebbe iniziato il tortabingo, e lei non aveva voglia di partecipare a nessuno dei due.
Gran parte dei dipendenti era in vacanza, perfino Virpi ed Erkki, e naturalmente anche quella poveretta della direttrice che, prima delle sue ferie, si era presa due settimane di malattia. Aveva così avuto più tempo per preparare la partenza per l’India, e far riposare i suoi nervi stressati dall’assistenza agli anziani. Durante le feste, alla residenza arrivavano molte infermiere per sostituire quelle che andavano in vacanza. Per lo più erano musulmane e non festeggiavano il Natale. Era divertente vedere dei cristiani, alcuni anche molto devoti, che leggevano salmi, mangiavano prosciutto e cucinavano biscottini allo zenzero tenuti a bada da giovani donne musulmane.
Al supermercato Siiri aveva comprato un piccolo prosciutto precotto. Lo avrebbe affettato un po’ alla volta, di più non le serviva. Era di nuovo a metà di Gerusalemme di Selma Lagerlöf, lo aveva letto e riletto un milione di volte. Stese sul tavolo una tovaglia rossa natalizia che conservava dalla sua casa d’infanzia. Era troppo grande ma l’aveva ripiegata in due e stirata con cura. Stava proprio bene. Nascose le macchie di vino rosso con i due candelabri in ottone e accese le candele per creare atmosfera. Ma quale atmosfera? Che cosa significava veramente il Natale per lei, se non che il tempo passava ed era quasi arrivata alla fine di un altro anno? Quanti ultimi Natali aveva già fatto in tempo a vivere?
Il suo fratellino Toivo aveva elaborato una formula matematica sulla soggettività del tempo. Aveva disegnato diverse parabole per illustrare un dato di fatto: che un anno nella vita di un bambino di tre anni era un tempo assai più lungo che per una persona di novant’anni. E che, per un bambino, il tempo scorreva però più velocemente che per un anziano. O forse era il contrario? Era il tempo dell’anziano che passava più in fretta, anche se con più tedio? La qual cosa, messa così, sembrava più misericordiosa. Toivo aveva dovuto spiegarle ancora una volta i suoi calcoli, ma lei non li ricordava più nel dettaglio.
Lui era morto, così come gli altri suoi fratelli. E suo marito e i suoi due figli, e pure il gatto. Fu assalita da una profonda nostalgia per il marito e per tutte le persone che non c’erano più, per i figli quando erano piccoli e giocavano in giardino. Trascorrere il Natale da sola, in santa pace, non le sembrò più una buona idea. Doveva trovare qualcosa da fare. Provò con le parole crociate, ma non conosceva persone e cose a cui si faceva riferimento nelle definizioni: artista rap e presentatore televisivo, amico del ministro... Il sudoku era più facile, ma dopo averne risolti un paio si sentì un po’ fiacca e tornò al suo prosciutto, si preparò un grosso panino e si versò un bel bicchiere di vino rosso.
«Tic tac, tic tac, tic tac» disse mentre, brindando da sola, si godeva quel freddo pasto natalizio.
C’era qualcosa di meraviglioso nel non dover preparare tutta da sola il pranzo per un’intera famiglia, senza mai poter contare sull’aiuto dei parenti: aringhe, pasticci al forno, l’insalata di patate, carote e barbabietole rosse, le torte e i biscottini di zenzero. Il maiale andava prima salato, e solo dopo si poteva cuocere. Adesso invece non doveva far altro che affettarlo e metterlo sul pane, quel buon prosciutto preparato da qualcun altro.
Tutto sommato sentiva più nostalgia per Irma che per tutti i suoi famigliari scomparsi. Non sapeva più immaginare la propria vita senza la sua allegra compagnia. Eppure, non sapeva neanche dove si trovasse. Dopo che Virpi l’aveva spinta via sulla carrozzella, non aveva più avuto notizie.
Aveva chiesto alla caporeparto ma quella aveva risposto scortesemente che le informazioni riguardanti la salute dei residenti erano confidenziali e riguardavano solo i parenti prossimi. E naturalmente era giusto così. Aveva provato a telefonare più volte a Tuula, la figlia di Irma, ma non l’aveva mai trovata. Gli altri tesorini non li conosceva abbastanza per poterli chiamare.
Irma era solita trascorrere il Natale in famiglia, diceva sempre che le dava gioia trovarsi tutti insieme, e non le dava alcun fastidio che per il pranzo fossero serviti involtini vietnamiti e spezzatini marocchini. Non la disturbava nemmeno che i suoi tesorini le regalassero capre, pecore e alberi. Erano sostegni a distanza e lei era favorevole alla cooperazione e alla beneficenza. Non aveva mai visto i suoi regali, ma ogni Natale, ridendo, raccontava che la sua mandria e la sua foresta erano cresciute.
«Pensa un po’, una cittadina di decima generazione che nei suoi ultimi anni di vita diventa allevatrice e guardia forestale!»
Siiri si sforzò di pensare che anche in quel momento Irma stesse trascorrendo i giorni di festa da qualche parte con la sua famiglia. Dovevano essere nella villa in riva al lago di Lohja, dove stava tutta la tribù. Magari era felice, magari stava facendo la conta dei suoi tesorini e riceveva in regalo un’altra capra brasiliana, o magari una mucca africana, e neppure dell’Alzheimer, a guardar bene, c’era alcuna traccia.