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La dama col cappellino si chiamava Aino Marjatta Elin Nieminen. Al suo funerale c’era tanta gente, parenti e un numero sorprendente di suoi ex colleghi della stazione radiofonica Yleisradio, dove aveva lavorato per oltre quarant’anni, passando da semplice tuttofare a tecnico del suono.

«Gli impiegati della radio hanno tempo per andare ai funerali durante l’orario di lavoro. Con i soldi delle nostre tasse» disse l’ambasciatore ad alta voce.

«I soldi di Yleisradio sono raccolti con il canone, non con le imposte» lo corresse Margit con voce ancora più forte.

«Ma non hanno appena cambiato il sistema? Ora non è una tassa invece che un canone? Anche la nostra retta è raddoppiata. Adesso tassano tutto, presto arriverà pure la tassa per scopare» disse Eino, e Margit dovette zittire quel rimbambito del marito, sussurrandogli all’orecchio qualcosa di minaccioso.

Nella chiesa di Munkkiniemi il pavimento scendeva ripido verso l’abside. Era una cosa buona, così si vedeva bene la bara anche dalle ultime file, proprio dove loro erano stati costretti a fermarsi. In discesa, era meglio non fidarsi di girelli e carrozzelle. Il pastore parlava al microfono, era assurdo che la gente non sapesse più farne a meno. Perfino nelle chiese del XIII secolo avevano messo altoparlanti e microfoni, pareva che altrimenti non si sentissero i discorsi.

«Cosa? Cos’è che non si sente?» chiese Margit nel momento in cui tutti tacquero per pregare.

Il pastore era un parente della dama col cappellino e doveva avere anche lui più di novant’anni. Barcollava, con la voce spezzata per la commozione e il cuore difettoso. Era obbligato a fare lunghe pause e ad appoggiarsi alle stampelle. Quando gettò una manciatina di sabbia sulla bara, al momento di «polvere eri e polvere eccetera eccetera», temettero che il poveretto stramazzasse definitivamente ma, come per miracolo, sopravvisse e con le ultime forze si trascinò fino a una sedia dietro una colonna. I cantori iniziarono a cantare a ritmo di jazz, così che ci volle un bel po’ per capire che si trattava del salmo, bello e famoso, Vieni con me, Signore Gesù.

La posa dei fiori avvenne solo al termine della funzione, ma il gruppo del Lieto Tramonto non osò avvicinarsi alla bara. Fossero anche scesi, avrebbero poi dovuto trovare le forze per risalire. Preferirono evitare il rischio di una scena tragicomica. E poi c’è da dire che era piuttosto interessante stare a osservare gli altri da quella posizione privilegiata.

«All’unica e sola campionessa del suono» disse un ometto corpulento con una voce molto familiare, posando sulla bara delle fiammeggianti rose rosse.

«Ma quello non è quel cronista sportivo, quello che durante le olimpiadi di Sapporo era ubriaco? Fu uno scandalo tremendo. Com’è che si chiamava?»

Facevano a gara per riconoscere le celebrità della Yleisradio a mano a mano che, una dopo l’altra, omaggiavano la defunta con il loro personale addio.

«Non dimenticherò mai i tuoi cappelli» sussurrò piano un uomo barbuto e curvo.

L’ambasciatore e Anna-Liisa per poco non bisticciarono, non riuscendo a stabilire se fosse un conduttore o un corrispondente. Ovviamente, lo era stato una volta, in fin dei conti erano tutti pensionati, anche se l’ambasciatore immaginava che fossero tutti lì al funerale durante l’orario di lavoro.

Finita la fase dei fiori, un cantore improvvisò una brutta melodia, e otto signori decrepiti, per lo più leggende della radio, trasportarono gemendo e ansimando la bara su per la salita verso l’ingresso, e da lì giù per le scale. La meta era ovviamente il carro funebre. Con poco senso pratico, l’architetto non aveva pensato di sistemare le scale davanti all’entrata.

Il ricevimento di commemorazione si sarebbe tenuto al piano superiore del ristorante Ukko-Munkki. Dal momento che non avevano ancora identificato tutti quei famosi cronisti in pensione, decisero di partecipare. E poi, a detta di Anna-Liisa, l’idea di quella celebrazione in una simile bettola era eccitante.

«In pieno spirito Yleisradio» aggiunse l’ambasciatore, con Anna-Liisa che sghignazzava e lo teneva a braccetto.

Il pastore, vacillante e a un passo dalla morte, non si unì a loro. A fare le sue veci c’era un predicatore laico con i capelli lunghi e una cicatrice in viso, membro del club della Bibbia di cui faceva parte la dama col cappellino. Appoggiato al bancone del bar, parlava con fervore della profonda fede della cara Aino e del compimento dell’esistenza al termine di un lungo cammino. Bel giro di parole per indicare una cosa sola: la morte. A quel punto, estrasse da una custodia per violino una sega, proprio una normalissima sega, e con quella iniziò a suonare. Piegava ad arco la lama di quell’arnese così che ne usciva fuori qualcosa che somigliava a una melodia. Il suono era lancinante e Margit si tappò le orecchie. Probabilmente, suonò prima la sinfonia Finlandia e a seguire un bel po’ di salmi, a meno che non si fosse trattato di musica moderna. Uno strazio.

«È una specie di strumento di tortura. Per fortuna non ce l’hanno portato al Lieto Tramonto per rallegrarci» disse Anna-Liisa ad alta voce, e Siiri ebbe l’impressione che l’ambasciatore le prendesse la mano da sotto il tavolo, mentre diceva che al momento erano impegnati in attività ricreative del tutto personali.

«Cosa intendi, Onni?» chiese Siiri, e l’uomo trasalì sentendosi chiamare per nome.

«Voglio dire che non mi piace la sega musicale e nemmeno i salmi. A te piacciono?»

Poi versò per sé e per Anna-Liisa dell’altro vino rosso. Su ogni tavolo c’erano parecchie bottiglie, si poteva bere quanto si voleva. Ai tavoli della radio il vino era finito subito, ma il predicatore ne procurò dell’altro. Un robusto ex conduttore tenne un discorso allegro in cui raccontò storielle un po’ sconvenienti sulla dama col cappellino e su un programma d’intrattenimento che negli anni Settanta trasmettevano da via Fabian. Quasi piangendo, ringraziò la dolce Aino per avere sempre portato soccorso agli ubriaconi, a coloro che si addormentavano sbronzi e per aver timbrato i cartellini per conto di tutti.

«In ricordo dello studio 10!» concluse, e sollevò in alto il bicchiere di vino. La compagnia della radio esplose in una fragorosa risata, mentre al tavolo dei vecchietti regnava un silenzio imbarazzato.

«Uno studio del genere non è mai esistito» sussurrò una donna grassa con i capelli cotonati. «Chiamavamo così il ristorante Kellarikrouvi.»

Siiri faceva fatica a credere che fossero a un funerale. Il vino scorreva a fiumi, c’era una sega che suonava e due vecchi che flirtavano sotto al tavolo. Prima di far ritorno al Lieto Tramonto, l’ambasciatore e Anna-Liisa avevano fatto in tempo a insegnare a Eino i primi quindici centri abitati del loro elenco. Soffriva veramente di demenza grave e disturbi di memoria?